L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini

di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 48
La “posta elettronica”


La cosa più importante nell’internet non è il sistema dei “siti” o la struttura web. La “posta elettronica”, o e-mail, è l’elemento portante della rete. Non solo è la funzione più utile per tutti, ma è anche la struttura su cui si basano altri sistemi fondamentali, come le aree di dialogo “collettivo” di cui parleremo nel prossimo capitolo.

Come ho già detto nel capitolo precedente, la “posta elettronica” esiste da più di trent’anni. Non ha sostituito, e probabilmente non sostituirà mai, la posta “tradizionale” (carta, busta e francobollo) – né, ovviamente il telefono. Sarebbe ragionevole che sostituisse il fax (che tuttavia continua a essere largamente usato) e probabilmente anche il telegrafo.

Per quanto riguarda la telefonia, è irrilevante che la comunicazione passi attraverso sistemi “a modulazione” o “digitali” . Quando si parla “a voce” è telefono.

Per quanto riguarda il telefax, è uno strumento antiquato e concettualmente inefficiente. Non solo (a differenza dell’internet) richiede connessioni telefoniche dirette e ogni copia deve essere mandata individualmente a ciascun destinatario; ma è anche tecnicamente grossolano perché trasmette immagini, come i vecchi sistemi di “telefoto”. In questo senso era più efficiente il vecchio telex, che trasmetteva testo (come il telegrafo). Alcuni dicono che il telefax era stato inventato dai giapponesi perché più adatto a un alfabeto ideografico. Un fatto non molto noto è che se un fax viene spedito da un computer la qualità è migliore, anche se a destinazione arriva “su carta”: perché ha un solo passaggio dall’immagine trasmessa alla carta (o viceversa) invece di due.

Ma anche se “convive” con altri sistemi di comunicazione è un’innovazione straordinaria.

Un evidente vantaggio dell’e-mail è che costa pochissimo.

Questo vantaggio può trasformarsi in un problema quando se ne fa cattivo uso, come nel caso dello spamming.

Non solo si possono spedire decine di messaggi con un collegamento di pochi minuti, ma si annullano le distanze; mandare un messaggio in Australia ha lo stesso costo che spedirlo a cento metri da dove siamo. Soprattutto arriva (più o meno) con la stessa velocità. Ormai siamo abituati a questa comodità, ma non molti anni fa era un privilegio riservato a pochi. Siamo così abituati all’innovazione tecnologica che non ci stupiamo più di nulla... ma non sarebbe male ritrovare un attimo di stupore (e di entusiasmo) per le possibilità che ci si aprono con uno strumento di questo genere.

Un’altra caratteristica fondamentale del sistema è che possiamo scrivere contemporaneamente a un numero pressoché illimitato di persone. Da questo fatto nascono, come vedremo nel prossimo capitolo, possibilità molto interessanti di dialogo collettivo.

Ma proprio perché il sistema ci offre straordinarie possibilità vale la pena di dedicare un po’ di tempo a scoprirne i valori – e anche le difficoltà. Il problema è... come usare bene la posta elettronica?


Scegliere l’identità

La prima cosa cui pensare è il nostro indirizzo e-mail – cioè la nostra mailbox o “casella postale”. Ciò che accade quasi “automaticamente” è che la troviamo definita dal sistema che usiamo. Se è un ufficio in cui lavoriamo, probabilmente c’è uno standard predefinito dall’azienda o organizzazione e siamo più o meno “obbligati” a seguire quel criterio. Se abbiamo un abbonamento con un provider, siamo “costretti” a usare il suo modulo: ci chiameremo nome@provider.it e avremo solo il compito di scegliere un nome che non sia già usato da qualcun altro su quel sistema. Ma non è così semplice. Che cosa succederà se un giorno decideremo di cambiare provider? Diventeremo irreperibili e dovremo comunicare a tutti il nostro nuovo indirizzo? Ci sono molti modi con cui è possibile avere una mailbox “permanente” che rimane nostra anche se cambiamo fornitore. Possiamo ricorrere a uno dei tanti servizi che offrono questa possibilità; oppure chiedere a un amico di permetterci di avere un indirizzo sul suo domain; o (se prevediamo di fare un uso intenso ed esteso della rete) registrate un domain.

La cosa, purtroppo, è un po’ complessa per le pesanti procedure burocratiche della registration autority italiana (nic.it) e per il fatto che molti domain sono già registrati e non è facile trovarne uno “disponibile” e adatto a noi. Ma questo non è un buon motivo per desistere, né giustifica l’abitudine, secondo me sbagliata, di molti italiani che usano domain “americani” invece di .it. Fra l’altro, se abbiamo la fortuna di scoprire che il nostro nome (o un’altra parola che ci interessa) non è registrato... ci conviene “occupare la posizione” prima che lo faccia qualcun altro.

Se abbiamo una mailbox aziendale... è sufficiente? Ci conviene usare quella per tutta la nostra corrispondenza? No. A parte il fatto che se cambiassimo lavoro avremmo perso l’identità, ci sono vari motivi per cui è meglio avere un indirizzo personale. Prima di tutto, non è corretto usare un’identità aziendale per la corrispondenza privata.

Non è come telefonare a casa dall’ufficio. È come usare la carta intestata dell’azienda.

Vedi a questo proposito
L’uso della mailbox aziendale
I misfatti dell’e-mail aziendale
Mailbox, domain, indirizzi: una questione di identità

Nei documenti della netiquette è detto che ogni messaggio in un’area di dialogo dev’essere sempre considerato come un’opinione privata. Ma non basta. Se scriviamo usando l’indirizzo di un’impresa dobbiamo aspettarci che chi legge possa facilmente confondersi: è un messaggio personale o una comunicazione aziendale? Inoltre, cade ogni diritto alla riservatezza: un’impresa non è autorizzata a “spiare” la nostra corrispondenza privata, ma ha l’indiscutibile diritto di controllare tutto ciò che viene detto o scritto a suo nome.

Vedremo più avanti come ogni messaggio e-mail sia “pubblico e trasparente”; ma nonostante questo fatto è bene distinguere fra ciò che è concettualmente privato e ciò che non lo è.

Insomma (salvo il caso, forse, di chi lavora “in proprio”) è meglio, fin dall’inizio, avere due mailbox: una per il lavoro e una per uso personale. O addirittura più di due, se vogliamo distinguere diverse identità. Potrebbe essere utile far capire immediatamente se chi scrive è il Dottor Rossi della Società Bianchi, o il mio a amico Gigi Rossi, o il presidente della bocciofila.

Quando scegliamo la nostra “id” abbiamo varie possibilità. Molti preferiscono mettere il nome per esteso: per esempio luigi.rossi@oceano.it ma credo che la soluzione migliore sia scegliere una definizione breve, come gigi@oceano.it – perché è bene ricordare che non sempre chi ci scrive usa un sistema automatico di risposta o un “copia e incolla” da un testo in elettronica. Può aver trovato il nostro indirizzo stampato (su un foglio di carta intestata, su un biglietto da visita o in qualsiasi altra forma “cartacea”) e quindi doverlo trascrivere a mano – o può averlo ricevuto per telefono e doverlo ricordare a memoria o decifrare un appunto affrettato. Più è complicato, più gli rendiamo difficile il compito di scriverci senza sbagliare.

Negli indirizzi e-mail aziendali si trovano diverse varianti... da luigirossi tutto attaccato a g.rossi o alla strana abitudine (secondo me sbagliata) di aziende od organizzazioni che usano una “punteggiatura” più complessa come luigi_rossi@impresa.bianchi.it

La possibilità di errore, quando si “digita” un indirizzo, è “esponenziale” rispetto al numero di caratteri. Se sono quattro battute, la possibilità di sbagliare è 4 alla terza potenza, cioè 64; ma se sono dieci l’esponente è 9 e il “fattore di rischio” è 260.000.

Questo va ricordato anche nel caso che si metta qualcosa online. Non sempre si può semplicemente “cliccare” su un link o “copiare” automaticamente un’intera serie di caratteri. Se troviamo l’indirizzo in un libro, su una rivista o in un documento “cartaceo”... non è difficile scrivere fiori.it/rosa.htm ma le cose si complicano se dobbiamo compilare manualmente www.esseriviventi.it/botanica/angiosperme/dicotiledoni/arch_num-10.04.99~linneo/rosacee/873.html

Naturalmente nessuno ci obbliga a usare il nostro nome. Possiamo scegliere, se vogliamo, uno “pseudonimo” o un’identità di fantasia. Parleremo nel prossimo capitolo dell’uso degli alias in rete.


Non essere impazienti

Di questo si è già parlato; ma vale la pena di ripeterlo e di spiegarlo in modo un po’ più dettagliato. Non possiamo aspettarci di ricevere sempre una risposta immediata. Solo in teoria i messaggi in rete viaggiano “alla velocità della luce”. Il percorso non è semplice, spesso è tortuoso. Un messaggio può arrivare in pochi minuti o parecchie ore. Talvolta un “ingorgo” in un nodo della rete può causare un ritardo di giorni. Non tutti leggono frequentemente la loro mailbox. Non tutti hanno computer portatili o sistemi di collegamento “fuori sede”. Ognuno ha i suoi impegni, non sempre ha il tempo di risponderci. Inoltre, se il destinatario del nostro messaggio ha molta corrispondenza o è abbonato a molte liste o gruppi di discussione, la sua “cassetta della posta” può essere molto affollata.


Leggere e scrivere “offline”

Non so perché tante persone abbiano l’abitudine di “lavorare online”. Cioè di leggere la posta, e rispondere, mentre rimangono collegate. A parte il fatto che, se non si ha una linea “dedicata”, restare collegati costa soldi e tiene occupato il telefono... la fretta può produrre parecchi inconvenienti. Questa è una delle situazioni in cui una cosa fatta prima in modo affrettato può costare dopo tempo, fatica e imbarazzo. (Vedi il capitolo 27).

È molto meglio “scaricare” la posta, leggerla e rispondere con calma. E rileggere sempre ogni messaggio che mandiamo prima di spedirlo. Il problema non è se c’è qualche errore di ortografia... se i nostri interlocutori sono intelligenti e gentili ce lo perdoneranno. Ma è meglio chiedersi sempre se ci siamo espressi in modo chiaro, se il tono riflette le nostre intenzioni... e se c’è qualche parola in più che possiamo togliere (scrivere bene vuol dire spesso accorciare). La maggior parte delle incomprensioni in rete sarebbe evitata se chi scrive rileggesse prima di spedire.


Eliminare gli “automatismi”

Il sistema di posta più diffuso è Outlook e la cosa più consigliabile è sostituirlo con un altro.

Ci sono molti OLR (off-line reader) e parecchi si trovano facilmente online. Fra i più noti, Eudora e Pegasus. Funzionano abbastanza bene anche i sistemi di posta contenuti in alcuni browser (ma nel caso di Netscape è meglio evitare le versioni successive alla numero 4, perché sono troppo complicate, ingombranti e piene di bug, cioè di guasti e inconvenienti).

Ma indipendentemente dal sistema che si usa è meglio eliminare o modificare alcuni degli “automatismi” che troviamo predisposti.

Per esempio Outlook (se non si cambiano le istruzioni “predefinite”) manda i messaggi in formato html. Molti non se ne accorgono neppure; e fin che la loro corrispondenza è con persone che si trovano nella stessa situazione... almeno in apparenza non ci sono problemi. Ci sono vari motivi per cui questa soluzione è sbagliata (compreso il fatto che html, come tutti i “linguaggi” complessi, può contenere segnali e informazioni che non vediamo). Per risolvere questo problema basta verificare le “opzioni” per la posta in uscita e sostituire “html” con “testo normale”.

Un’altra funzione da eliminare è quella che apre automaticamente gli allegati. Consentire quell’automatismo significa esporsi, molto più del necessario, al rischio di infettarsi con un virus. Ma anche caricarsi di materiale che non necessariamente ci interessa – o mettere in moto file “eseguibili” (cioè programmi) che non avevamo alcuna intenzione di installare o di usare... e anche se non sono virus possono provocare inconvenienti.

Un altro “servizio” poco desiderabile è quello che produce una lista di “indirizzi preferiti”. Non è indispensabile... uso l’e-mail da otto anni e non ne ho mai sentito la necessità. Questo è un dispositivo che piace molto ai creatori di worm (virus “replicanti”) che se ne servono per diffondere l’infezione. E può produrre anche altri problemi... basta dare distrattamente un’istruzione sbagliata per spedire un messaggio a un’infinità di gente cui non era destinato. Nell’uno e nell’altro caso... non stiamo facendo un piacere ai nostri amici.

Infine, un difetto di vari sistemi di posta è quello di cui ho già parlato nel capitolo sulla netiquette: l’inserimento automatico nella risposta dell’intero testo del messaggio cui si risponde.


“Citare” poco e bene

Le “citazioni” esagerate (overquoting) sono sempre un errore. In molti casi non è affatto necessario “citare” nella risposta ciò che un altro ha detto. Quando serve, è meglio farlo in modo “ragionato”. Cioè scegliere brevi frasi (spesso si possono accorciare), inserirle come citazioni (i sistemi di posta generalmente le inseriscono precedute dal segno >) e rispondere a ciascuna, punto per punto.

Ma anche con questo sistema talvolta accadono cose strane. Qualcuno comincia a rispondere, leggendo man mano... il risultato è che scrive cose che non hanno senso rispetto a quello che segue. Può risultarne una sequenza come questa:


  > Zia Caterina ha detto
  > che il panettone non era buono

  Ma come! Le ho regalato un panettone fantastico

  > perche' l'ha fatto assaggiare a zia Eufrasia

  Eufrasia non capisce niente :-(

  > ma, come sai, le zie sono un po’ svampite

  Uffa, meno male che te ne sei accorto anche tu

  > e il panettone di cui parlavano
  > non era il tuo. :-)

  ?#%!*&?! il mio dove e’ andato a finire?


Eccetera... il fatto è che quello era solo l’inizio; la persona cui sta rispondendo voleva parlare delle manie delle zie, non del panettone. Ma ormai ha cominciato in quel modo e si va a ingarbugliare in un percorso tortuoso. La corrispondenza successiva sarà in buona parte sprecata a districare quell’inutile pasticcio.

Come si evita questo problema? È facilissimo. Basta leggere tutto il messaggio che ci è arrivato prima di cominciare a rispondere. Sembra incredibile... ma il mondo è pieno di gente che non lo fa. E spedisce la risposta pasticciata senza rileggerla.


Usare bene il titolo

Anche di questo ho già parlato nel capitolo sulla netiquette. Ma vorrei ritornare brevemente sul tema. I saggi inventori dell’e-mail sapevano quello che facevano quando hanno inserito la funzione subject (o “oggetto”). Non solo serve a capire al volo, nella posta in arrivo, qual è l’argomento di ciascun messaggio; ma può aiutare anche a orientare la lettura. Forse nel caso del panettone si sarebbe evitato un pasticcio nella risposta se il messaggio iniziale avesse avuto come subject “Le manie delle zie”.

Come nella corrispondenza “ordinaria”, può essere accettabile che si trattino temi diversi nello stesso messaggio. Ma in generale, specialmente quando si scrive per lavoro o a qualcuno che non si conosce bene, è meglio trattare in ogni messaggio un solo argomento.

Se in un messaggio si parla di cose diverse, può essere utile mettere un segno di separazione fra i vari argomenti; e, se possibile, riassumerli nel titolo (senza allungarlo troppo... se si usa una parola per ciascun argomento si possono fare subject “completi e corti”).


Organizzare la posta in arrivo

Questo è un caso in cui un “automatismo” può essere molto utile. Se riceviamo poca posta, e da poche persone, non c’è problema. Ma se ne arriva molta, e in parte si tratta di “liste”, cioè dialoghi collettivi... come facciamo a distinguere?

In alcuni dei migliori software di gestione e-mail ci sono sistemi che permettono di “separare” la posta in arrivo. I “filtri” possono servire per eliminare i messaggi indesiderati (ma questo è rischioso, perché si può perdere anche posta interessante). Soprattutto servono per ordinare, suddividere e catalogare i messaggi così che prima ancora di leggerli sappiamo qual è la provenienza. Questo è particolarmente utile quando si tratta di raggruppare le mailing list e separarle dai messaggi personali. Chi, come me, riceve più di 200 messaggi al giorno non potrebbe sopravvivere senza un sistema di quel genere.

In questo modo, fra l’altro, è più facile evitare di rispondere a un messaggio personale a una lista – o viceversa. Su mailing list, forum e newsgroup vedi il prossimo capitolo.


Il “tu telematico”

Un problema di netiquette che non esiste in inglese è l’uso del tu. Sembra che non ci sia, in Italia, una “prassi” del tutto “consolidata”. La tendenza prevalente è l’uso del tu nei messaggi in rete – cui non sempre segue automaticamente la stessa forma amichevole quando ci si incontra di persona. Ci sono, specialmente nei rapporti aziendali, persone che usano il lei anche in rete. Si può immaginare che l’uso del tu sia più frequente fra i giovani, ma non è sempre così. Più che dall’età dipende dalle abitudini personali e dal tipo di relazione. In sostanza, l’uso prevalente rimane il tu ma ogni persona è libera di scegliere il modo che preferisce; e anche in questo è bene non “imporre” il proprio stile ma tener conto del comportamento delle altre persone.


Il problema delle lettere “accentate”

La rete è stata concepita per comunicare in inglese: una lingua in cui non si usano gli accenti. Il risultato è che i testi sull’internet si possono trasmettere solo con la gamma “ristretta” dei caratteri ASCII, che comprende tutte le lettere dell’alfabeto, tutti i numeri e i normali segni di punteggiatura, più alcuni simboli come @ < > $ ~ % # * & eccetera; ma non le lettere con l’accento.

Nel codice “esteso” ASCII (American Standard Code for Information Interchange) ci sono anche le lettere accentate, ma non rientrano nella “gamma ristretta” usata per le trasmissioni in rete.

Può sembrare che il problema non esista, perché molti sistemi di posta lo “nascondono”. Tutto va liscio se tutti i nostri corrispondenti usano un sistema con gli stessi automatismi... ma quando la nostra attività in rete si allarga le cose si complicano. Ciò che noi vediamo come una semplice lettera accentata; in realtà è “codificata” con uno di vari sistemi... per cui a chi legge con un software diverso può comparire come Š o F o =E8 o =82 o /&'e0 o &agrave; – e in vari altri modi. (La “à” è il carattere numero 133 nell’alfabeto ascii, la “è” è il numero 138, “é” 131, “ì” 141, “ò” 149 e “ù” 151).

C’è una soluzione, ed è molto semplice. Per nostra fortuna l’italiano (a differenza di altre lingue, come il francese e lo spagnolo) pone gli accenti sempre alla fine delle parole. Per evitare problemi nella comunicazione inhref rete basta prendere l’abitudine di usare l’apostrofo al posto delle lettere accentate: cioè invece di perché o perciò o così scrivere perche' o percio' o cosi'.


Il problema dei “testi nascosti”

Non è mai una buona idea usare allegati ingombranti, o formati complessi, per trasmettere informazioni che si possono trattare come “puro testo”. È molto più pratico ed efficiente mandarli come testo all’interno del messaggio. Non è un’operazione difficile; anche chi non ha particolare competenza tecnica può farlo usando la semplice funzione copy and paste – “copia e incolla”.

E se è proprio necessario mandare un “allegato” ingombrante... meglio comprimerlo, cioè “zipparlo”. Oltre a ridurne le dimensioni, l’algoritmo di compressione lo rende anche più facilmente trasferibile nell’internet. Ma se la compressione riduce l’ingombro non toglie il problema di ciò che può essere “nascosto” nel file.

Pkzip è il più diffuso sistema di compressione (produce file con l’estensione .zip – cioè, per esempio, un testo cosa.txt diventa cosa.zip). È gratuito e liberamente disponibile online. Ne esistono diverse varianti, di cui la più comunemente usata (nei sistemi windows) è una versione “shareware” che si chiama winzip.

Si è già parlato di come un “formato complesso” di testo non sia solo ingombrante ma possa dare anche altri problemi, perché spesso contiene una notevole quantità di “frammenti” e “avanzi” di cui non notiamo la presenza. La maggior parte dei lettori probabilmente non se ne accorgerà mai; ma se quel file capita in mano a una persona esperta, o un po’ curiosa... può leggere cose che non avevamo alcuna intenzione di mandare in giro. E non è tutto. In un sistema farraginoso e mal strutturato come windows, può accadere che in un file vadano a finire frammenti di testo “invisibile” che non hanno mai fatto parte di quel documento, neppure in “versioni” precedenti, ma sono state “prelevate” casualmente da qualcos’altro che si trovava sul nostro computer (o su quello di un’altra persona che ha lavorato su quel testo). Quando un mio amico tecnicamente esperto mi ha raccontato questa stranezza, non volevo crederci; ma ho potuto controllare che è vero. Un motivo in più per evitare di spedire per e-mail cose di cui non conosciamo “tutto” il contenuto.

In più... se si guarda il “codice” di un documento in html (è facile farlo con qualsiasi browser o lettore di testo) ci si accorge che contiene un’infinità di “segnali” non visibili alla normale lettura. È un fatto verificato che in alcuni casi queste indicazioni sono usate per dare istruzioni che sfuggono al nostro controllo. Meglio quindi non usare questo formato (né altri con caratteristiche complesse) per la posta elettronica. E non lasciarci sedurre dalle offerte di chi ci dice «lascia fare a me, vieni sul mio sito e sistemerò tutto io» perché non sono mai “disinteressate” e non sappiamo quali trucchi nascondano.

È bene sapere anche che non è necessario usare il software “predisposto” che ci viene offerto dai provider (o fornitori di connettività) per accedere alla rete. Quando abbiamo una mailbox possiamo collegarci con qualsiasi software, compreso quello che è generalmente già predisposto nel sistema operativo. Ciò che ci propongono nei cd distribuiti o ci chiedono di “scaricare” dalla rete è quasi sempre inutile per noi ma interessante per loro, perché tende a “orientarci” sul loro servizio e condurci al loro “portale” come percorso privilegiato di accesso.


L’uso delle “tag”

È abbastanza diffusa l’abitudine di usare una tag, come se fosse un “cartellino” attaccato a tutti i nostri messaggi. Si tratta di un “testo fisso” che viene inserito automaticamente. Può essere semplicemente una serie di informazioni (nome, indirizzo, telefono) o una “dichiarazione di identità” (spesso con intenzioni “promozionali” per la persona o per l’impresa che rappresenta. Oppure una massima, un proverbio, una frase che ci sembra interessante e simpatica.

Di solito si parla di tag quando è una citazione letteraria o una frase di qualsiasi genere – e invece di signature (o “file di firma”) quando è una “scheda di identità” o un indirizzo.

Può essere, secondo il caso, più o meno opportuno. È meglio, naturalmente, che non sia lunga o ingombrante. Ma non sempre è una buona idea, specialmente se è un “automatismo” che continua a funzionare anche quando non ci pensiamo. Che senso ha rispedire continuamente la stessa tag a persone che ormai ci conoscono? È davvero una buona idea continuare a ripetere qualcosa che magari ci sembrava interessante sei mesi fa, ma continuiamo a “infliggere” a tutti senza più rendercene conto? Meglio controllare – e decidere se e quando vogliamo aggiungere una “coda” ai nostri messaggi.

Inoltre... alcuni sistemi di posta attaccano, a nostra insaputa, una loro tag a tutti i nostri messaggi. Meglio controllare... mandando un messaggio a noi stessi o guardando che cosa arriva ai nostri amici.


Un “demone” utile e servizievole

Si chiama daemon un servizio automatico di controllo sulla posta elettronica. La scelta di quel nome non ha alcuna origine diabolica. Viene dal greco, nel senso di “spirito” o “anima”. Nel linguaggio Unix indica un programma che “è continuamente disponibile e si attiva in presenza di un particolare evento”.

Il mailer-daemon che controlla e sorveglia l’e-mail ci dà un utile servizio. Per esempio ci segnala che un nostro messaggio non è arrivato a destinazione. In quei casi è bene leggere con attenzione che cosa il daemon dice (in inglese... ma è facilmente comprensibile). Se segnala un “ritardo” e dice che “riproverà” non è il caso di preoccuparsi, se non si tratta di un messaggio molto urgente. Nella maggior parte dei casi arriva a destinazione poco dopo che il daemon ci ha segnalato il problema. Ma se ci dice che è definitivo (permanent) vuol dire che quel messaggio è irrimediabilmente perduto. O abbiamo sbagliato l’indirizzo, o quella mailbox non esiste, o il server del destinatario ha un problema che non si risolve in pochi giorni. Non ci resta che verificare se avevamo l’indirizzo giusto – e rispedire il messaggio.

(Ma le vie della rete possono essere complicate e imprevedibili. Accade che un messaggio non arrivi a destinazione e che nessun daemon segnali il problema. E naturalmente se l’abbiamo spedito a un indirizzo sbagliato ma esistente nessun sistema automatico se ne può accorgere... e non possiamo sempre sperare che chi riceve il messaggio per sbaglio sia così gentile da risponderci segnalando l’errore).

Insomma i daemon sono utili e servizievoli; qualche errore (nostro o altrui) o difetto di funzionamento della rete, ogni tanto, è inevitabile. Ma se ci arrivano troppo spesso segnalazioni di errore vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato nel nostro modo di gestire l’e-mail. E comunque la rete è straordinariamente efficiente ma non è infallibile. È sempre possibile che qualcosa vada perso... o che arrivi nel posto sbagliato.


Trasparenza, riservatezza e crittografia

La posta elettronica non è “riservata”. Non è molto probabile che sia letta da qualcuno che non è il destinatario; ma è possibile. Viaggia nella rete in modo “trasparente”. La può leggere, come e quando vuole, il gestore del sistema (sysadminsystem administrator); e se qualche organizzazione di “spionaggio” la vuole intercettare lungo il percorso... può farlo abbastanza facilmente. Insomma non è del tutto vero che spedire una e-mail sia “come mandare una cartolina”, ma è certo meno “riservata” di una lettera in una busta chiusa e ben sigillata.

In generale... non è un gran problema. Quante cose scriviamo che vogliamo tenere segrete o riservate? Quante probabilità ci sono che qualcuno voglia “intercettare” proprio noi? Ma se c’è qualcosa che vogliamo tenere “personale”... meglio non metterlo sull’internet; oppure proteggerlo con la “crittografia”. Non è difficile. C’è un sistema gratuito e liberamente disponibile che si chiama PGP (pretty good privacy).

I sistemi di “cifratura” servono per proteggere la riservatezza dei contenuti ma hanno anche un’altra funzione: la “certificazione” di autenticità. Cioè un messaggio può essere “codificato ” in modo che il suo contenuto rimane visibile a tutti, ma non è possibile modificarlo.

Su PGP vedi la documentazione nel sito ALCEI e pgp.com

Per una serie di articoli e documenti sulla crittografia vedi la sezione Crittografia e firma digitale nel sito andreamonti.net

Come quasi tutti i sistemi di questo genere, PGP funziona con due “chiavi” crittografiche, che sono come le due metà della moneta con cui si riconoscevano i personaggi delle favole. Il testo “cifrato” è leggibile solo quando tutte e due le “chiavi” agiscono insieme. La “chiave pubblica” viene messa a disposizione di tutti. La “chiave privata” rimane solo al suo proprietario. Basta che il destinatario abbia la nostra “chiave pubblica”, e noi la sua, perché noi possiamo “cifrare” il messaggio in modo che solo lui (con la sua “chiave privata”) lo possa leggere.

Questo significa che neppure l’autore del messaggio può leggerlo quando è “cifrato”. Ma se vogliamo possiamo “codificarlo” (encode) con una doppia chiave di lettura (la nostra e quella del destinatario) così tutti e due siamo in grado di “decodificarlo” (decode). Naturalmente la “cifratura” può essere usata non solo per la posta, ma anche per rendere “illeggibili” documenti riservati che teniamo sul computer. A condizione che la chiave di decodifica non sia troppo facilmente disponibile sulla stessa macchina o su un’altra collegata nella stessa rete...

In più c’è un’altra protezione: quando andiamo ad aprire un messaggio “cifrato” con PGP il software ci chiede una password cioè una “parola d’ordine” o codice di accesso.

Non è “gran cosa”, perché è molto più facile per un eventuale “intruso” o “intercettatore” decifrare una password che un codice crittografico; ma comunque è una protezione in più. Naturalmente è sempre meglio ricordare le password a memoria (o annotarle su un taccuino che poi evitiamo di “lasciare in giro”) e non metterle “in chiaro” su un computer dove qualcuno le può trovare. E non usare per la crittografia la stessa password che ci serve per l’accesso alla posta o per altre funzioni. Ed è meglio se le password sono un po’ complesse; cioè non sono “parole della lingua” e non sono di solo testo, ma composte di lettere, numeri e punteggiatura. Può essere meno facile ricordarle a memoria, ma la protezione è più efficace.

A proposito di “spionaggio” (e in particolare di Echelon) vedi la documentazione citata in un articolo del 20 maggio 2001.

Non è il caso di allarmarsi per quanto riguarda la nostra posta quotidiana; ma neppure di accettare che ci siano continui tentativi di invasione della nostra privacy e altre violazioni dei nostri diritti (vedi il capitolo 40).




A proposito di e-mail c’è un’altra vignetta che non compare nel libro stampato e che mi sembra oppurtuno aggiungere qui.

È la traduzione di un cartoon di Illiad (J. D. Frazer) del 21 maggio 2001 (altre due dello stesso autore sono nella versione online dei capitoli 36 e 44).


mail server


Forse ci sono davvero persone con una “dipendenza” esagerata dall’e-mail. Ma soprattutto ci sono strutture di servizio che sottovalutano l’importanza di una manutenzione accurata e puntuale. In base alla nota Legge di Murphy, i mail server hanno spesso una tendenza a guastarsi proprio nel momento in cui ne abbiamo più urgentemente bisogno.





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