timone Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it

 

Numero 29 - 18 dicembre 1998

  1. Editoriale: Il paese dei balocchi
  2. Numeri in Italia e in Europa
  3. Sesso, favole ed equivoci
  4. Una voce sincera
  5. Le false "innovazioni"
  6. Il problema degli "incentivi"
  7. L'uso della mailbox aziendale

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rossoSommario

 

loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: Il paese dei balocchi
Sembra che i "grandi mezzi" di informazione, dopo aver passato anni a dire tutto il male possibile dell’internet, siano presi da un improvviso amore per la rete. Non che sia diminuita la quantità di sciocchezze pubblicate su questo argomento, ma prevalgono i discorsi entusiastici. Ci sentiamo raccontare (specialmente in televisione) che questo natale sarà tutto elettronico; che si regaleranno non solo videogiochi e telefoni cellulari ma anche computer e collegamenti internet. Se è vero o no, lo sapremo dopo che sarà passata la bagarre natalizia. Grandi quotidiani e periodici pubblicano supplementi dedicati alla rete, probabilmente attratti dall’idea che siano buoni "contenitori di pubblicità" (con qualche preoccupazione, credo, per gli editori delle riviste di settore, che si erano moltiplicate a dismisura ma stanno in parte scomparendo).

È probabile che questo cambiamento nasca dalla convergenza di parecchi fattori diversi. Non ultima, credo, la "benedizione" papale che ha riconosciuto i valori umani e civili della rete, probabilmente lasciando un po’ interdetti molti dei suoi detrattori.

Un fatto assai meno solenne, ma molto vistoso, è l’intensa pubblicità della Telecom per la vendita di collegamenti alla rete. Non possiamo ancora avere una misura dell’investimento, ma si tratta di cifre importanti, paragonabili a quelle per la telefonia cellulare o alle decine di miliardi sprecati alcuni mesi fa nella sfortunata campagna sul "prefisso". Continuano anche forti spinte promozionali. La campagna (specialmente nella versione televisiva) è stata oggetto di molte critiche; qualcuno l’ha anche denunciata per scorrettezza. Non è casuale, credo, che questa forte spinta venga proprio nel momento in cui l’associazione degli internet provider ha promosso un’iniziativa presso l’autorità garante per la concorrenza e il mercato (la cosiddetta antitrust) contro la "posizione dominante" della Telecom. E ha dedicato a questo tema il suo convegno annuale che si è svolto a Napoli il 27 novembre, in cui si è parlato di "emergenza internet" non solo per quella distorsione del mercato ma anche perché si è preso atto di un problema più generale: l’arretratezza italiana in rete. Per chi volesse approfondire i temi di quel convegno, c’è un mio articolo sull’argomento.

Ma indipendentemente dal tono e dai contenuti è probabile che questo vistoso impegno pubblicitario, unito alle diffuse iniziative di vari gruppi editoriali, abbia contribuito a creare una nuova fase di "moda" della rete presso i mass media. Vedremo nei prossimi mesi se questo si tradurrà in un aumento delle "utenze private" (l’area in cui l’Italia è più debole) e potrà contribuire a diminuire un po’ la nostra arretratezza (che rimane preoccupante, come dimostrano anche le cifre più recenti – vedi il  punto 2).

Non posso non condividere le critiche, diffuse fra le persone più esperte e attente, sulla superficialità dell’enfasi e sull’infondatezza di certe affermazioni ("quest’anno, dice la RAI, seguita dal solito coro ripetitivo, gli acquisti di natale saranno fatti online"; dimenticando che il "commercio elettronico" in Italia deve ancora nascere). Ma spero che anche da questa confusione possa nascere qualcosa di utile, se contribuirà a diffondere la percezione della rete come un mezzo di comunicazione utile a tutti e non riservato solo a qualche appassionato di tecnologia. Non è, come ci stanno raccontando, il "paese dei balocchi"; ma forse anche chi comincia un po’ per gioco può poi scoprire valori più interessanti e meno grossolani. Rimane, naturalmente, da svolgere il compito più importante: diffondere una cultura autentica e umana, meno banale o tecnofantastica, sui valori della comunicazione interattiva. Come ho detto molte volte, ma sembra ancora necessario ripetere.

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loghino.gif (1071 byte) 2. Numeri in Italia e in Europa
Se scrivessi come fanno alcuni giornalisti un po’ superficiali, direi: "il popolo della rete è in fremente attesa dei nuovi dati sul hostcount". Ma non sono così stupido. So che non esiste alcun "popolo della rete", che anche chi si occupa seriamente dell’internet non dedica ai "numeri" generali più interesse di quanto meritano; e soprattutto che le oscillazioni dei dati in due o tre mesi non sono molto significative.

Tuttavia so che queste informazioni interessano ad alcuni dei lettori più attenti; e poiché nei mesi scorsi si erano visti i segni di una possibile nuova tendenza, può valer la pena di seguirne l’andamento in questo periodo. Purtroppo i segnali rimangono abbastanza confusi. In settembre avevamo visto interrompersi quella crescita vivace in Italia che poteva aprire la strada a un recupero della nostra arretratezza. In ottobre e novembre l’andamento rimane incerto. È ancora difficile capire quale possa essere la tendenza di "medio periodo".

Questa analisi è basata sui dati pubblicati da RIPE (Réseaux IP Européens) il 7 dicembre, per i primi 22 paesi in Europa e nell’area mediterranea:

 

 

 

Variazione %
in 12 mesi

% su totale
Europa
Gran Bretagna 1.430.494 + 42,7 18,3
Germania 1.429.538 + 31,3 18,3
Olanda 611.957 + 60,2 7,8
Francia * 489.834 + 41,4 6,3
Finlandia 460.414 – 2,4 5,9
Svezia 417.894 + 21,1 5,4
Italia 370.242 + 31,3 4,7
Norvegia 319.628 + 9,8 4,1
Spagna 298.730 + 53,8 3,8
Danimarca 293.927 + 78,4 3,8
Svizzera 231.842 + 26,1 3,0
Belgio 203.660 + 92,7 2,6
Russia 193.837 + 59,7 2,5
Austria 164.803 + 57,2 2.1
Polonia 125.317 + 45,8 1,6
Israele 107.522 + 30,5 1,4
Ungheria 89.830 + 48,3 1,2
Repubblica Ceca 78.175 + 38,1 1,0
Irlanda 54.555 + 40,0 0,7
Portogallo 54.049 + 29,1 0,7
Grecia 49.455 + 88,0 0,6
Turchia 45.602 + 43,7 0,6
       
Europa (e Mediterraneo) 7.815.458 + 38,5  

* Nota: i dati per la Francia non tengono conto del fattore minitel.


Si nota una tendenza verso l’equilibrio per aree. È comprensibile la staticità della Finlandia (che rimane al secondo posto nel mondo, superata solo dall’Islanda, per densità rispetto alla popolazione) e della Norvegia. Ma è interessante la crescita nell’Europa settentrionale: l’area che sta intorno al Mare del Nord e al Baltico tende a diventare più omogenea. Rimane debole l’Europa meridionale (dove però Francia, Spagna e Grecia hanno un indice di crescita superiore all’Italia).

L’Italia ha una crescita inferiore alla media europea; dovrebbe almeno raddoppiare la velocità per poter recuperare lo svantaggio nei prossimi anni.

Vediamo un aggiornamento del grafico di andamento del hostcount in Italia:

 

Host Internet in Italia – novembre 1997 - novembre 1998

Dati RIPE Réseaux IP Européens – numeri in migliaia

graf29a

 

Se le oscillazioni fra luglio e novembre fossero dovute a fattori tecnici, come squilibri temporanei nei metodi di controllo, la tendenza di crescita dovrebbe collocarsi, più o meno, nel senso della linea tratteggiata. In questo caso non sarebbe sufficiente per recuperare quota rispetto ai paesi (europei e non) più avanzati; per ottenere quel risultato avremmo bisogno di una crescita più simile alle tendenza che sembrava esserci il luglio-agosto. Ma le oscillazioni mensili (che si notano anche in altri paesi) non sono facilmente interpretabili e possono essere dovute a vari fattori, anche tecnici. Solo gli andamenti su periodi più lunghi sono significativi. Dovremo aspettare i dati dei prossimi mesi per capire meglio qual è la tendenza.

Che ci sia un andamento discontinuo è confermato dai dati di registrazione di nuovi domain pubblicati dalla registration authority italiana; ma purtroppo le loro statistiche sono aggiornate solo fino al luglio l998. Questo è un grafico che si trova su nic.it

graf29d

 

Questo è l’andamento di crescita dei host internet in Italia e in Europa dall’inizio di quest’anno:

 

 

Italia

Europa

% Italia su Europa

gennaio 250.713 – 1,4 % 5.942.491  + 2,6 % 4,2
febbraio 268,311 + 7,0 % 6.103.338  + 2,7 % 4,4
marzo 276.910 + 3,2 % 6.321.235  + 3,6 % 4,4

1° trimestre

 

+ 8,9 %

 

+ 9,2 %  
aprile

308.333

+ 11,4 % 308.333    + 11,4 % 4,8
maggio

322.491

+ 4,6 % 6.655.681   + 1,8 % 4,9
giugno

332.354

+ 3,1 % 6.705.885   + 0,8 % 5,0

2° trimestre

 

+20,0%

 

+6,1%

 

luglio

357.919

+ 7,7 %

6.982.995

+ 4,1 %

5,1

agosto

397.724 

+ 11,1 % 7.250.734 + 3,8 %

5,5

settembre

349.706 

– 12,0 %

7.455.316

+ 2,8 %

4,7

3° trimestre

 

+5,2%

 

+11,2%  
ottobre

393.204 

+ 12,4 %

7.674.544

+ 2,9 %

5,1

novembre

379.242

– 3,6 % 7.815.458 + 1,8 % 4,7
           

in 12 mesi

 

+31,3%

 

+38,5%  

 

Vediamo ora in forma grafica l’andamento italiano in confronto a quello europeo.

 

Host internet in Italia e in Europa
agosto 1997 = 100

Elaborazione su dati RIPE Réseaux IP Européens

 

graf29d

 

Purtroppo non risulta confermata la tendenza che sembrava rivelarsi fra aprile e agosto di quest’anno. La percentuale di host italiani rispetto all’Europa rimane al di sotto del "massimo storico" dell’agosto 1997 (era allora il 5,2 per cento, oggi è il 4,7).

Qualcuno pensa che la scarsa crescita di host italiani sia dovuta al fatto che alcune nostre imprese e organizzazioni si presentano con domain "americani" (.com o .org o .net). Questo secondo alcuni è dovuto alle difficoltà burocratiche dell’autorità di registrazione italiana, secondo altri alla tendenza di imprese italiane a "travestirsi" e "vergognarsi della loro origine". Non credo che la dimensione di questo fattore sia tale da poter influire in modo significativo sull’analisi del hoscount in confronto ad altri paesi; in ogni caso non mi sembra che questo si possa considerare un fenomeno "sano", ma semmai come un ennesimo sintomo della nostra debolezza.

Per concludere questa "parentesi numerica", vediamo un quadro aggiornato della densità della rete in 24 paesi europei:

 

Host internet per 1000 abitanti

24 paesi (su 100 nell’area RIPE) con più di 20.000 host e densità superiore a 1

graf29c

La parte verde delle barre indica la crescita in un anno – dal novembre 1997 al novembre 1998.

La parte gialla della barra riguardante la Francia è una stima approssimata del fattore minitel.


Non ci sono grandi cambiamenti rispetto al passato. Avevamo già notato nei mesi scorsi una forte crescita della Danimarca, dell’Olanda e del Belgio. La Germania rimane, anche se di poco, al di sotto della media dell’Unione Europea. Fra i "grandi paesi" si conferma il predominio della Gran Bretagna. L’Italia è stata di nuovo superata dalla Spagna. In Francia è ancora limitato il trasferimento dell’attività telematica dal minitel all’internet.

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3. Sesso, favole ed equivoci
Non vorrei ritornare sul tema delle campagne scandalistiche intorno all’internet, di cui si è già parlato ampiamente nei numeri precedenti di questa rubrica e in diversi altri articoli. Sembra che le "crociate" contro la rete si siano un po’ calmate, almeno per il momento; ma continua a circolare un curioso pregiudizio: e cioè che un tema dominante nell’internet (o addirittura "il tema" più importante in assoluto) sia il sesso. Sarebbe molto strano se un tema così diffuso e discusso in tutta la storia dell’umanità, e così onnipresente (anche a sproposito) nei "grandi mezzi" di comunicazione tradizionale fosse assente nel mondo della rete. Sarebbe altrettanto strano se nei dialoghi in rete non ci fossero anche schermaglie amorose e tentativi di seduzione, che sono così spesso presenti in ogni comunità od occasione di incontro.

Abbiamo sentito dire e ripetere all’infinito che "sesso e pornografia" (come se fossero la stessa cosa) sono i contenuti più diffusi in rete, o più spesso cercati da chi la frequenta. Chi ha approfondito l’argomento sa che non è vero. Parlavo di questo problema in un articolo più di due anni fa; il tempo è passato, ma la situazione non è migliorata.

Sono state citate diffusamente sui giornali statistiche del tutto immaginarie... il 40 per cento (un po’ enfaticamente qualcuno ha scritto 80 per cento) della rete dedicata a "sesso e pornografia". Le analisi fatte da alcuni "motori di ricerca" dicono che le richieste con parole-chiave basate su "sesso" sono circa il 2 per cento: un indice sorprendentemente basso. Ho voluto personalmente verificare questa situazione e ho chiesto ad alcuni provider, che (in seguito a varie campagne scandalistiche e minacce di sanzioni) avevano chiuso l’accesso ai newsgroup dedicati ad argomenti "sessuali", di quanto è diminuito il traffico dopo questa decisione. Se la frequentazione fosse stata quella di cui si parla, avrebbero necessariamente registrato una caduta immediata e chiaramente visibile. La risposta è stata "nessuna diminuzione rilevabile".

Insomma anche questa, benché infinitamente ripetuta, è quella che in gergo giornalistico si chiama una "bufala". Qualcuno potrebbe chiedersi perché mi soffermo su un argomento apparentemente "futile". I motivi sono due. Il primo è che abbiamo una verifica precisa che ci permette di misurare la falsità di ciò che è stato detto e ripetuto – e questo ci dice quanto poco attendibili siano molte "informazioni" diffuse, su qualsiasi argomento ma specialmente su cose nuove e poco capite come la rete. Il secondo è che la presenza di materiale ritenuto "indecente" è il pretesto più diffuso per tenere le persone (specialmente le famiglie) lontane dalla rete; e per proporre regole e censure che ne possono limitare la libertà.

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4. Una voce sincera
Come ho già detto, molto spesso le voci di persone concretamente attive nella rete dicono semplici verità che non affiorano nei congressi o nelle pubblicazioni più o meno trionfalistiche. Non sempre queste affermazioni sono scritte; e non sempre ottengo il permesso di pubblicarle. Ringrazio Nicola Salvi per avermi autorizzato a citare queste sue interessanti e sincere osservazioni.

1998: anno dell’esplosione Web in Italia. 1999: anno dell’esplosione Web in Italia. 2000: anno dell’esplosione Web in Italia. Tempo Zero: anno della riflessione su Web in Italia.

Senza la pretesa di essere esaustivo, né di essere polemico, ma con il chiaro intento di essere provocatorio, vorrei esprimere la mia opinione sulle lamentele frequenti che gli internet marketer esprimono nei confronti delle aziende e del mercato in Italia. Vorrei invitare tutti a riflettere sul profilo dell’operatore medio di settore consulenza di webmarketing: basso.

Non ha esperienza. Si è inventato un lavoro per passione. Non ha preparazione qualificata. Si è "riciclato" da altri campi della comunicazione. O è uno smanettone del computer. Prende decisioni in allegria di fronte a un bicchiere di vino. Di fatto il consulente di webmarketing non esiste, se non attraverso la sua autoformazione e il suo spirito commerciale.

Bene. Vediamo un po’ cosa sono le aziende italiane. Più o meno 3 milioni. Quasi tutte esportano prodotti finiti e semi-lavorati in tutto il mondo. Hanno venduto il made in Italy anche a chi l’Italia non la conosceva. Sono sul mercato dall’ultimo dopoguerra, e ci stanno a meraviglia. Hanno, nella media europea, un contenuto tecnologico elevatissimo, tanto che pure Clinton è venuto in Italia per studiare i nostri metodi di qualità. Le aziende italiane riescono a "campare" egregiamente anche se sono strozzate da un sistema fiscale e burocratico terribile.

Allora, come viene fuori il confronto? Se fossi imprenditore, con uno come me, consulente di webmarketing, non ci vorrei neanche parlare. Chi sono io, per poter dire cosa fare a un imprenditore? Risposta: nessuno. O meglio: semplicemente uno che cerca di vendergli spazzole (con tutto il rispetto per i venditori di spazzole).

Non voglio spiegare nient’altro, se non che prima di dialogare con un’azienda avremmo bisogno di imparare a conoscerla e capire le sue esigenze. Altrimenti ci proponiamo come venditori di inutili formule "prefabbricate" e non come portatori di innovazioni.

Io questo lavoro me lo sono inventato – e sto ancora cercando di impararlo. E voi?


Ho poco da aggiungere. Che nessuno abbia esperienza, è ovvio: questo è un fenomeno troppo nuovo perché chiunque possa definirsi "esperto" – ed è in continua evoluzione. L’importante è capirlo e ammetterlo; perciò agire con quella pazienza e quella volontà di sperimentazione che è necessaria in un nuovo territorio. Se le imprese sono confuse e diffidenti, non è solo perché molti venditori propongono formule semplicistiche e ripetitive (quindi, per ipotesi, sbagliate) ma anche perché da "pulpiti" molto solenni si predicano certezze che nessuno può avere.

L’unico modo per uscire dal circolo vizioso è ripartire da zero. Quali sono le esigenze dell’impresa? Quali le possibilità di migliorare la sua efficienza e la sua capacità competitiva con gli strumenti di comunicazione resi possibili dalle nuove tecnologie? Quali i valori di servizio? Quali le sinergie? Questa analisi è molto meno complessa in pratica che in teoria (il numero delle variabili teoriche tende all’infinito, nella realtà di ogni singolo caso si riduce a pochi fattori ben identificabili). La cosa sconcertante è che non viene fatta quasi mai. Le imprese si sentono dire "devi mettere su un sito web", senza una definizione chiara di come o perché; e poi ci si mette a infarcire il sito di "cose qualunque" per giustificarne l’esistenza. L’ovvia conseguenza è che esitano a farlo, perché non capiscono a che cosa serva; e se lo fanno i risultati sono deludenti. Per seguire il percorso corretto (che è esattamente il contrario) non è necessario avere un’esperienza che praticamente nessuno ha, né conoscenze tecniche molto complesse. Basta una forte dose di buon senso.

Ma devo dire che anche le imprese si comportano in modo bizzarro. Chi mai metterebbe su una vetrina senza uscire per strada e vedere che effetto fa? Come si spiega che qualcuno mi chieda "dimmi che cosa pensi del mio sito web" quando mi basta una rapida occhiata per accorgermi che nessuno, in quell’azienda, è mai andato sul sito guardandolo con gli occhi di un visitatore? Perché alcune grandi imprese, che offrono informazioni interessanti, hanno dato al loro sito una struttura così barocca da renderlo inesplorabile, così che se proprio si vuole trovare qualcosa è meglio andar fuori e tentare con un motore di ricerca esterno? Perché una signora intelligente, che ho incontrato ieri sera in casa di amici, mi dice che la sua azienda sta per andare online e quando le chiedo perché mi risponde "Non lo so, ma dicono tutti che devo avere un sito"? Dovrà pur venire il giorno in cui smetteranno le fanfare trionfalistiche e le imprese si sentiranno dire la semplice verità: non fare nulla in rete, né con l’informatica, se prima non hai stabilito bene che cosa vuoi fare e perché – e se non hai definito come controllerà, passo per passo, i risultati.

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loghino.gif (1071 byte) 5. Le false "innovazioni"
Un interessante articolo pubblicato recentemente da Clay Shirky, Don’t believe the hype, mette vigorosamente e spiritosamente l’accento sulla continua proliferazione di "innovazioni tecniche" mirabolanti quanto inutili. Eccone una sintesi.

Il mio compito ..... è valutare le nuove tecnologie di rete ..... per stabilire dove la mia società dovrà concentrare le sue energie nel lontano futuro (più o meno nel maggio dell’anno prossimo). La parte piacevole sono le t-shirt che mi regalano. La parte spiacevole è leggere i comunicati stampa per cercar di capire che cosa ci offrono.

"La nostra società ha un prodotto assolutamente originale che trasformerà completamente l’internet. Se non lo usate fin dall’inizio, precipiterete in un oscuro abisso di anacronismi dove sarete sbranati di demoni. La versione alfa è prevista nel nonsoquale trimestre del prossimo anno ...."

Davanti alla crescente pigna di questi gioielli sul mio tavolo, ho capito che potrei passare tutto il tempo a cercar di valutare le nuove tecnologie e riuscirei solo a tentare di indovinare. Ci vogliono criteri per separare il grano dal loglio ..... Eccomi a presentare la mia piccola lista delle "cinque regole per capire quando i fornitori di networking stanno vendendo fumo".

Regola 1: Non credere alle ricette miracolose.

La rete che conosciamo è vecchia di decenni, la ricerca che l’ha prodotta è ancora più antica. Nonostante il culto della novità che circonda l’internet, i sistemi che guidano la rete cambiano molto lentamente.

Cambiare il funzionamento di una rete è un’operazione complessa. Gli eventi che cambiano tutto (quelli che Thomas Kuhn chiama mutamenti di paradigma) sono molto rari. La nascita di ARPAnet fu un mutamento di paradigma. Lo sviluppo del protocollo TCP/IP fu un mutamento di paradigma. Forse potrebbe rivelarsi tale lo sviluppo originale del Mosaic NCSA. Il lancio di Netscape Navigator 4.0 per Macintosh non è un mutamento di paradigma.

Oggi le ipotesi rilevanti sono l’uso di un browser come interfaccia alla rete e l’uso di programmi a oggetti distribuibili. Tutti gli altri sono dettagli... modi di applicare una di quelle idee o ripetizioni di cose già sperimentate dieci anni fa. Ci metteremo alcuni anni a digerire quel paio di idee – tutto il resto è solo coloritura.

Regola 2: "Io la userei?"

La domanda che ci dobbiamo fare quando esaminiamo una nuova tecnologia non è "funzionerebbe sulla mia macchina?" ma "io la userei?" .....

Sappiamo che cosa vogliono le persone che usano le reti: vogliono fare quello che stanno già facendo, con un costo più basso e meno perdita di tempo; o tutte e due le cose. Preferiscono i sistemi aperti a quelli chiusi, i programmi compatibili alle soluzioni "proprietarie". .....

Diffidiamo dei sistemi basati sul concetto che le persone preferiscono ricevere le nostre informazioni invece di comunicare, che preferiscono i sistemi chiusi a quelli aperti; e di qualsiasi protocollo basato sul concetto che la gente è disposta ad accettare l’incompatibilità pur di aggiungere funzioni. Ogni idea di servizio in rete che non soddisfa i desideri fondamentali degli utenti è destinata a fallire.

Regola 3: non confondere le loro idee con le tue

Uno dei trucchi più diffusi è fare affermazioni assurde con tale sicurezza da farle sembrare credibili. L’antidoto è avere sempre pronta nella mente una risposta. Quelli che seguono sono esempi di cose che mi sono state dette davvero, con tono molto serio.

"Secondo noi... perché non dovrebbero usare il nostro ....?" (Perché non ne hanno alcun bisogno).

"Siamo un anno avanti rispetto ai concorrenti". (Non è vero).

Secondo noi... perché gli utenti non dovrebbero registrare un’identità e password con noi?" (Perché fanno già fatica a ricordare le altre 17 password che hanno).

"Non abbiamo concorrenza" (Cioè non avete mercato).

"Secondo noi... perché non dovrebbero abbonarsi?" (Perché trovano di meglio, e gratis, altrove).

Regola 4: L’informazione deve costare poco

L’informazione si è separata dagli oggetti. Per sempre. ..... Come la nascita del testo scritto ha sostituito la tradizione orale, la separazione dei dati dai contenitori è irreversibile. Con l’internet il costo di conservare e distribuire informazione è zero. ..... Gli utilizzatori delle reti lo sanno, anche se non esprimono esplicitamente il concetto – e si comportano di conseguenza.

Chi basa i suoi progetti sulla disponibilità dei lettori a pagare l’informazione elettronica come paga oggetti fisici come libri o cd-rom è destinato al fallimento. ..... Potrebbero pagare qualcosa per opinioni qualificate, tempestività o consulenza; ma non per l’impacchettamento di informazioni da altre fonti (possono farlo da sé) o per le inefficienze di chi organizza il sistema informativo.

Regola 5: Ciò che conta è l’economia

Il futuro della rete sarà guidato dall’economia – non l’economia dei dollari, ma quella di milioni di utenti che scelgono ciò che vogliono.

La tecnologia non è la rete; è solo lo strumento con cui la rete funziona. La rete è fatta delle persone che la usano. ..... I gruppi che si formano e cambiano creano un’economia fluida di preferenze personali. Le scelte individuali sono leggere se considerate una per una, ma nel loro effetto cumulato sono una forza invincibile. Chiunque tenti di controllare l’accesso all’informazione oggi ha imparato questa lezione, spesso dolorosamente. .... Chi ha pensato di poter negare unilateralmente un certo genere di informazioni ha scoperto che le reti rendono impossibile un tale controllo.

L’economia delle preferenze personali dominerà la rete nel prevedibile futuro. I servizi online appassiranno se non sapranno offrire valori al di sopra di ciò che la rete comunque offre. .... Le economie che guideranno la rete saranno basate su ciò che gli utenti vogliono comprare, non su ciò che i venditori vogliono vendere.

Queste osservazioni mi sembrano interessanti. I punti fondamentali, secondo me, sono tre. Che molte presunte "innovazioni" tecnologiche sono inutili, se non dannose. Che le soluzioni aperte e compatibili sono molto meglio dei sistemi chiusi. E soprattutto che la rete è fatta di persone; tecnologie e servizi sono utili soltanto se soddisfano le loro reali esigenze.

 

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loghino.gif (1071 byte) 6. Le false "innovazioni"
Il problema della scarsa diffusione della rete in Italia è arrivato anche all’attenzione delle autorità politiche. Si parla di "incentivi" e di "agevolazioni".

Non vorrei ripetere ciò che ho scritto nel numero di dicembre di Web Marketing Tools con il titolo Timeo Danaos et incentiva ferentes, e più ampiamente in un articolo (lo stesso che ho citato all’inizio) a proposito del convegno AIIP, in cui si è parlato anche di questi argomenti.

Vorrei solo aggiungere che se è giusto cercare di agevolare la diffusione della rete nell’uso privato, cioè nelle famiglie (e così favorire lo sviluppo del "commercio elettronico" in Italia) mi sembra che si debba pensare anche al mondo delle imprese, e particolarmente delle "piccole e medie", specialmente per quanto riguarda l’esportazione. Nella situazione attuale è probabile che una diffusione degli acquisti in rete vada in gran parte a favore di imprese internazionali (specialmente americane) che hanno più risorse ed esperienza in questo campo. Certo non è giusto porre limiti alla libera concorrenza, ma se da un lato si "agevola" il mercato di importazione mi sembrerebbe giusto non trascurare quegli interventi che possano aiutare le imprese italiane a usare la rete per rinforzarsi e crescere su scala mondiale. È un argomento un po’ troppo complesso per poter essere svolto qui – ma mi sembra che meriti un approfondimento.

 

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loghino.gif (1071 byte) 7. L'uso della mailbox aziendale
Confesso che non mi ero mai soffermato su questo problema, fino a quando me l’ha posto un funzionario di una grande impresa, che segue con particolare attenzione l’uso della rete. La domanda non mi sembra irrilevante. È giusto che ci si possa servire, per uso personale, dell’indirizzo e-mail di un’impresa – o di un ente pubblico o di qualsiasi altra organizzazione? Secondo me la risposta è no.

È abitualmente consentito usare per motivi personali il telefono dell’ufficio. Ma non credo che questo criterio si applicabile all’e-mail: perché si tratta, appunto, di posta. Cioè è come scrivere una lettera privata sulla carta intestata dell’ufficio. Meglio quindi avere due mailbox diverse. Questo, fra l’altro, risolve anche un problema di privacy: perché è legittimo che un’impresa legga e controlli la posta dei suoi dipendenti quando si tratta di cose d’ufficio, ma non è ammissibile che controlli la corrispondenza privata.

D’altro lato, credo che sia molto consigliabile per le imprese incoraggiare i propri collaboratori a fare uso privato della rete, e così imparare a conoscerla meglio. Le soluzioni possono essere semplici e non particolarmente costose. Un’impresa può abbastanza facilmente raggiungere un’intesa con un provider per poter offrire a ognuna delle sue persone un doppio indirizzo di posta elettronica.

Questo può sembrare un piccolo dettaglio, ma credo che non lo sia. La chiarezza delle identità e il rispetto dei ruoli sono elementi importanti nella civiltà della rete.

 

 

 

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