Non è colpa di Ettore Petrolini se ci portiamo a
spasso una bufala da quasi duemila anni. La famosa scenetta
su Nerone merita di essere ricordata, non solo perché
è divertente, ma anche perché è
un’educativa lezione ironica sulla manipolazione del
consenso. Il mestiere di Petrolini non era lo studio delle
fonti storiche. Non era compito suo scoprire quanto sia poco
credibile che Nerone abbia incendiato Roma.
Panzane altrettanto infondate continuano a circolare, a
distanza di millenni o di minuti, con una preoccupante
mancanza di verifica e di controllo. Che cosa c’entra
l’internet? Molto. Perché è un argomento su cui
si accumula una quantità impressionante di disinformazione.
E perché è uno strumento per andare un po’
oltre le apparenze e capire un po’ meglio come stanno le cose.
Cominciamo con una notizia vera – e positiva. Un recente
aggiornamento dei dati internazionali ed
.europei conferma che la rete sta
continuando a crescere, con un ritmo vigoroso. Alla fine del
2003 c’erano 233 milioni di host internet.
Cresciuti del 36 % in un anno, raddoppiati rispetto al 2000.
Quando imperversavano le proiezioni fantastiche su
un’immaginaria “crescita esponenziale” la rete
aumentava molto meno del previsto. Da quando si sono
scatenati i piagnistei su
un’immaginaria “crisi”
lo sviluppo continua con un’evoluzione tutt’altro che
debole o lenta. Forse dovremmo incoraggiare le prefiche a insistere
con le giaculatorie. Sembra che portino fortuna.
L’Italia, che fino a quattro o cinque anni fa era la
cenerentola della rete, sta crescendo più velocemente
della media mondiale ed europea. Quando il numero di persone
online in Italia cresceva più dei nostri nodi attivi
c’era qualche motivo di preoccupazione, perché la
tendenza era passiva – eravamo più dedicati a ricevere
che a trasmettere. Ma ora il ciclo si è invertito:
l’attività si sviluppa più velocemente del
numero di persone che si collegano.
Sarebbe semplicistico dedurne che l’Italia sia diventata
una forte esportatrice di idee e di proposte. Ma la tendenza
è troppo chiara e costante per essere priva di
significato. Dobbiamo smetterla di piagnucolare sulla nostra
arretratezza tecnica (o di pensare che gli italiani siano
inetti nell’uso di tutto ciò che non è un
telefono cellulare) per cercare di capire come potremmo usare
meglio le risorse di cui disponiamo.
Intanto continuano a proliferare le bufale a proposito
dell’internet. Anche quando se ne parla bene, lo si fa in
modo ambiguo. Per esempio un ponderoso studio della Michigan
State University ci fa sapere, come se fosse una sorprendente
rivelazione, che «l’uso dell’internet non ha alcun
effetto negativo sul coinvolgimento sociale degli studenti e sul benessere
psicologico». Cosa ovvia per chiunque abbia le idee chiare
sull’argomento. (Vedi l’articolo di Carmen Castillo su
Puntonet del 20 marzo 2004).
È preoccupante che ci sia bisogno di un ennesimo
studio universitario per tranquillizzare le famiglie e
smentire le diffuse panzane su una rete popolata di
misantropi e di persone psicologicamente disagiate.
Lo stesso studio rileva che l’uso dell’internet
«aumenta le capacità scolastiche dei ragazzi e
consente di prendere voti più alti». Il che non
è solo evidente, ma è tautologico. L’internet
aiuta a far meglio a scuola, oppure i più svegli imparano
meglio a usare la rete? Sono ovviamente vere tutte e due le cose.
Un’altra pseudo-notizia è quella che risulta da
uno studio di Gartner alla fine del 2003. «L’età
media delle persone online è 41 anni». Può
apparire sorprendente solo a chi ha creduto nella diffusa
idiozia che la rete sia popolata di ragazzini. Qualsiasi
analisi seria ci dice che è sempre stata prevalente la
presenza di persone adulte (è recente un maggiore
afflusso di giovani). Semmai ci dovremmo preoccupare della
scarsa diffusione dell’internet fra gli anziani. (Vedi
I giovani e la comunicazione
e I vecchi e la comunicazione).
Qualcun altro si sorprende perché aumenta la
presenza femminile nell’internet. La notizia, per fortuna,
è vera. Ma non è una novità – né
una stranezza. Anche in Italia (benché in ritardo
rispetto ai paesi più evoluti) la percentuale di donne
online sta aumentando da parecchio tempo. Sei o sette anni fa
le donne erano circa il 30 % degli italiani online. Oggi sono
il 41 %. Fra le persone arrivate in rete negli ultimi due anni
sono il 54 %. (Vedi La rete
è femmina e i dati
sull’internet in Italia).
Intanto si continuano a spargere notizie negative –
con casi estremi che sarebbero pittoreschi se non fossero
allarmanti. Per esempio due studi presentati alla National
HIV Prevention Conference negli
Stati Uniti accusano l’internet di essere una causa di diffusione
dell’Aids. Perché aiuta le persone a conoscersi
e incontrarsi... e fra quelle persone ci sono anche “categorie
a rischio come gli omosessuali” (vedi l’articolo
di Luciano Sposari sullo stesso numero di
Puntonet).
A parte i problemi di discriminazione... l’assurdità
di “colpevolizzare” la rete è evidente.
Alla stessa stregua si potrebbe dare la colpa al telefono, alla
posta o a qualsiasi luogo di incontro. Sarebbe meno assurdo
dire che l’internet è un antidoto. Le aree di
più grave diffusione della malattia sono quelle in cui
è più scarso l’uso della rete.
Potremmo mettere cose come questa nel mucchio delle
assurdità che si dicono e si pubblicano su qualsiasi
argomento, se non ci fosse dovunque (e particolarmente in
Italia) un fenomeno insistente di “demonizzazione”
dell’internet.
Da almeno dieci anni si straparla e si sragiona sulla
“pornografia”. Ma la sequenza non finisce mai.
Anche recentemente, in una trasmissione di largo ascolto,
è stato presentato lo strano caso di un uomo afflitto
da “dipendenza pornografica” a tal punto da dover
ricorrere alle cure di uno psicologo. Può darsi che
fra tante patologie mentali ci sia anche quella. Ma quel caso
è stato presentato come se fosse una sindrome diffusa
fra le persone che usano la rete. Da quanti anni sentiamo
ripetere stupidaggini come questa?
Si è arrivati, in quella trasmissione, a dire che
ci sono 260 milioni di siti “pornografici”. A
quella cifra si sta avvicinando il numero totale di host
internet (che ovviamente non sono tutti “porno”). E
comunque un host non è un sito. L’Online
Computer Library Center stima che ci fossero 7 milioni di siti web
nel 2001 – oggi potrebbero essere 10 o 11 milioni. Il problema
non è solo che si “danno i numeri” a vanvera.
È che si diffondono paure e pregiudizi senza minimamente
verificare se siano basati su qualcosa di attendibile.
C’è, da anni e anni, un’allucinante
perseveranza nelle diatribe su un fenomeno stranamente definito
“pedofilia”. Si continua a non affrontare i nodi
veri delle violenze e persecuzioni contro bambini o adolescenti,
per deviare l’attenzione verso un’insensata
criminalizzazione dell’internet (vedi
Perseverare diabolicum
e i link che lì si trovano). Lo stesso accade, da tempo
immemorabile, con il terrorismo.
L’elenco potrebbe essere interminabile. Per limiti di
spazio, per non annoiare chi legge e per non ripetere troppe
cose già dette – devo limitarmi a questi pochi esempi.
Ma non è difficile scoprirne infiniti altri. E non
può essere ignorata la persecuzione legislativa – che
continua fin dalle origini della rete e che si è
ripetuta in due casi recenti. Vedi due comunicati di
ALCEI:
Ambiguità e pericoli della
prevenzione (24 gennaio 2004) e
Un’altra legge persecutoria
contro l’internet (15 marzo 2004).
Oltre a essere vittima di una quantità esasperante
di disinformazione, la rete è anche accusata di
esserne l’origine. Ormai la paura dovrebbe essere passata...
è evidente che non stiamo andando verso la morte della
carta stampata, che la rete non sostituisce la televisione o la radio,
eccetera. (Vedi Cenni di storia
dei sistemi di comunicazione). Ma si continua a dire
che dell’internet bisogna diffidare, perché
dà informazioni non verificate.
È ovvio che online si trova tutto e il contrario
di tutto. E che perciò non tutto può essere
sempre preso alla lettera. Ma il problema è
radicalmente diverso quando notizie false o deformate vengono
da mezzi di comunicazione considerati autorevoli e qualificati
– e perciò più facilmente creduti
senza verifica.
La rete non è la causa del malanno. Può
essere una medicina per curarlo. Perché ci aiuta a
controllare quanto poco attendibili siano le informazioni che
ci somministrano i sistemi omogeneizzati. Questo è uno
dei motivi per cui la cultura dominante non ama l’internet
e continua (per fortuna, almeno finora, senza riuscirci) a
tentare di soffocarla o di ridurla all’obbedienza.
Post scriptum
giugno 2004
Devo alla cortesia di un gentile lettore la scoperta di una
“bufala” che mi era sfuggita. Non avevo notato
un articolo apparso nell’Espresso del 20 maggio
2004 – lo stesso numero in cui era stata pubblicata una
“bustina” di Umberto Eco da cui derivano alcune
osservazioni su Il problema
dell’idolatria.
Si tratta di un’intervista a Camille Paglia, che
ripete alcune considerazioni già ampiamente note
sul “condizionamento” televisivo, in particolare
fra i bambini e gli adolescenti. Parla soprattutto di televisione,
con un accenno marginale ai videogiochi e senza alcun
riferimento all’internet. Un ignoto “titolista”
ha messo il titolo Drogati da Internet – che non
ha alcun rapporto con i contenuti dell’intervista.
Il caso, in sé, è marginale. Ma è
un esempio di cose che si ripetono continuamente e che,
nel loro insieme, contribuiscono a confondere le idee
– su questo come su molti altri argomenti.