Newsletter

timone1.gif (340 byte) Il Mercante in Rete
available also in English

timone1.gif (340 byte)
Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 16 - 28 marzo 1998
1. Editoriale: La batracomiomachia della pubblicita' in rete
2. Qualche aggiornamento sui dati
3. Gli "utenti" internet in Italia
4. Chi puo' fare da "apripista"?

bottone
rossoSommario



1. Editoriale: La batracomiomachia
della pubblicità in rete
Se l’ignoto autore ellenistico della Batracomiomachia vivesse oggi, forse potrebbe divertirci tutti con un poemetto eroicomico sul tema della "pubblicità" in rete. Avevo già scritto qualche tempo fa a proposito dei curiosi scenari che nascono dall’impegno di grosse concessionarie nella vendita di banner. Come spesso accade, la realtà supera l’immaginazione. Mi dispiace di dovermi trincerare dietro la stucchevole scappatoia ("non posso citare le mie fonti") troppo spesso usata dai giornalisti... ma so per certo che ci sono personaggi "importanti" che si presentano in grosse imprese dicendo "lei non deve più fare pubblicità in televisione e sui giornali perché saranno soppiantati dalla rete". Tanto è vero che, come vedremo più avanti, venditori di pubblicità tradizionale stanno passando alla controffensiva.

Intanto il 4 marzo l’UPA (l’associazione dei grandi utenti di pubblicità) ha presentato l’annuale analisi sul "futuro della pubblicità" in Italia, basata su studi di Astra-Intermatrix e Nielsen. Dopo la "crisi" del 1993-95 e le constatazioni di debolezza, cui ho accennato nel numero 5 di questa rubrica, c’è un po’ più di ottimismo; si parla di ripresa degli investimenti pubblicitari in Italia Questi sono i dati e le previsioni (in miliardi di lire):

  1995 1996 1997 1998 1999
Televisione 5.290 5.682 6.215 6.638 6.948
Stampa 3.646 3.881 4.161 4.323 4.494
Radio

413

455

505

543

576

Pubblicità esterna

402

425

468

505

540

Cinema

32

35

39

43

47

Totale 9.783 10.478 11.388 12.052 12.608

In tutto il volume distribuito dopo questa presentazione (160 pagine) la parola "internet" compare tre volte. La prima, con questa un po’ distratta e superficiale annotazione:

... il ritardo dell’affermazione dei new-media rientranti nei mezzi classici, come la televisione digitale, o di quelli, come Internet, di più immediato sviluppo nell’ambito delle forme dell’area allargata (il direct response su tutti...) che in quello del media advertising (i banner...) ...

Le altre due volte, solo come vaga citazione della possibilità di usare "indirizzi internet" nell’ambito di banali e tradizionali operazioni di direct marketing.

Il sintomo è chiaro: i grandi utenti e gli analisti che lavorano per loro non pensano neppure remotamente che la rete possa essere un mezzo "pubblicitario" rilevante, né oggi, né fra due o tre anni. E, secondo me, hanno ragione. (Chi legge questa rubrica sa qual è la mia opinione: il marketing in rete esiste ed esisterà, ma è e sarà tanto più efficace quanto meno somiglia alla "pubblicità" tradizionale).

Il fatto preoccupante è un altro. Come risulta anche da ricerche specifiche, le grandi imprese non hanno capito che cosa sia la rete e a che cosa possa servire. Tutt’al più lo considerano uno strumento fra tanti per la comunicazione direct response; una disciplina che in Italia ha scarso sviluppo e che sta attraversando un’ulteriore fase di crisi per varie ragioni, comprese le complessità burocratiche e formali della farraginosa legge sulla tutela dei dati personali.

Le piccole imprese? Men che meno. Purtroppo non è ancora completa l’analisi, quindi non si possono pubblicare i risultati di una recente ricerca commissionata dall’Unione Europea sull’attività in rete delle "piccole e medie imprese" in Italia. Ma ecco alcune "prime impressioni".

Si sono verificate le presenze di siti web in cui vengono offerti prodotti o servizi, in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e nelle tre regioni venete. In quest’area, che comprende il 40 per cento della popolazione italiana, si sono identificate 117 imprese "presenti in rete".

Se ne può facilmente dedurre che se la ricerca fosse stata estesa su scala nazionale non avrebbe potuto identificare più di 300 presenze. Un numero estremamente piccolo rispetto ai tre milioni di imprese "piccole e medie" rilevati dall’Istat.

Delle 117 presenze rilevate solo 47 risultano "disponibili": 33 imprese non rintracciabili, 37 non disponibili al dialogo in rete. Il 60 per cento dei casi identificati sembra appartenere alla diffusa categoria di chi ha "messo su un sito" come semplice atto di presenza ma poi l’ha lasciato in abbandono. Fra le (poche) imprese che hanno risposto a un questionario, l’80% dichiara che il fatturato in rete rappresenta meno dell’1 % del totale; e anche le aspettative per il futuro non sono brillanti. Quasi nessuna (comprese le pochissime che hanno ottenuto risultati concreti) ha fatto "pubblicità" in rete; nessuna ha usato altri mezzi pubblicitari per far conoscere il suo sito.

Ci sono altri fenomeni curiosi. Per esempio, pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio e-mail da un neo laureato, che mi aveva chiesto consigli per la sua tesi. Dice:

Sa, mi sono laureato il 16 marzo 1998 presso la facoltà di economia dell’Università di Verona con una tesi di marketing su Internet. Adesso sono alla ricerca di lavoro. Mi piacerebbe tanto lavorare in un’azienda che si occupa di marketing sul web. Qui a Verona purtroppo simili aziende non esistono. Pensi che cosa mi ha risposto il dirigente di un’azienda veronese quando gli ho parlato di Internet. Mi ha detto: "Ah, Internet è un mare di immondizia!" Ci sono un po’ rimasto male.

(Ho cambiato data e città, perché questo è un messaggio personale e non voglio tradire la privacy di chi mi ha scritto; ma la sostanza è quella).

Un caso isolato? Tutt’altro. Ormai è diffusa la constatazione che pullulano le tesi di laurea sulla rete, ma quasi sempre gli studenti sono privi di guida, perché i docenti ne sanno meno di loro – e sono un po’ disperati nella ricerca di dati e informazioni significative. Quando si tratta di marketing, il tema è quasi sempre banalizzato ("commercio elettronico") e quasi sempre gli studenti non hanno altra scelta che far riferimento al mercato americano, senza tener conto delle profonde e crescenti differenze fra la nostra situazione e quella d’oltre oceano. E quando poi, dopo la laurea, cercano lavoro...

La diffidenza delle imprese è più che giustificata. Come ho scritto in un articolo di prossima pubblicazione, spesso si sentono offrire l’equivalente di un biglietto ferroviario per Marte. Molte, saggiamente, si rifiutano di comprarlo; ma il risultato è che la loro opinione della rete tende a somigliare a quella dell’innominato imprenditore che ha così brutalmente deluso il giovane laureato. Alcune si lasciano tentare, per poi pentirsi amaramente di un "incauto acquisto".

Insomma la barriera di "smog culturale" che impedisce una visione chiara dei problemi e delle possibilità comincia a dissiparsi, ma c’è ancora chi insiste ad alzare il "polverone".

Intanto, sta cominciando una "bagarre" pubblicitaria (sui mezzi tradizionali) per le connessioni in rete. Parte all’attacco la Telecom, che ha la dichiarata intenzione di dominare il settore, e già vediamo qualche reazione dei suoi concorrenti. Non credo che assisteremo a una battaglia di dimensioni paragonabili a quella della telefonia, dove nel 1997 si sono spesi 200 miliardi nei mezzi tradizionali (di cui più di 120 per i telefoni cellulari); ma immagino che ci sarà un dispiego di mezzi e di risorse molto superiore a quanto abbiamo visto finora. Ne capiremo di più man mano che il fenomeno si evolve, ma
intanto alcune annotazioni sono già possibili.

  • Il linguaggio di queste campagne si rivela, come era prevedibile, grossolano e superficiale. Sembra improbabile che possa dare un contributo alla crescita di una "vera" cultura della rete.
  • La prevalenza delle smisurate risorse di una sola impresa tenderà a creare una situazione di egemonia, se non di monopolio. (Già prima dell’imminente scontro competitivo alcuni provider, anche seri e tecnicamente validi, sono in difficoltà). Questo non è mai un bene.

Ma...

  • Nonostante tutto, vediamo già una tendenza, più vivace che in passato, alla diffusione della rete. Un forte impegno pubblicitario difficilmente può "creare" tendenze inesistenti, ma è quasi sempre un forte acceleratore per tendenze già in atto. Questo è uno dei motivi per cui sono convinto che il numero di "utenti" della rete in Italia avrà una crescita vivace nel 1998.

La qualità del risultato non dipenderà da chi "promuove" gli accessi. Dipenderà dalle scelte individuali che faranno le persone in rete e dalla qualità dei contenuti che sapremo offrire.

ritorno all'inizio

 

2. Qualche aggiornamento sui dati
Le variazioni in un mese non sono significative; ma può essere interessante notare che dopo una diminuzione del numero di host internet in Italia alla fine del 1997 e all’inizio di quest’anno i dati di fine febbraio, pubblicati da RIPE il 10 marzo, mostrano un incremento del 7 %. Sembra che la diminuzione registrata nei mesi precedenti fosse dovuta, almeno in parte, a un incidente tecnico: il malfunzionamento di due "importanti" nameserver italiani.

Ma anche se non teniamo conto delle oscillazioni di breve periodo il numero di host italiani risulta tuttora inferiore al livello di ottobre-novembre dell’anno scorso; la percentuale rispetto al totale europeo, che fra marzo e novembre 1997 era al di sopra del 5 per cento, oggi è al 4,4.

Un’ennesima conferma della nostra arretratezza, che risulta evidente da questo confronto:

graf16.gif (5572 bytes)

L’Italia ha il 10-11 % dei telefoni e dei televisori in Europa, il 12 % del prodotto interno lordo, il 14 % delle automobili, oltre il 16 % dei telefoni cellulari, poco più del 4 % della rete. Dovremmo almeno triplicare la nostra presenza per essere "in linea" con il nostro ruolo, come cultura e come economia, in Europa e nel mondo.

Senza entrare in dettagli tecnici, mi fa piacere constatare che l’uso del hostcount come strumento di valutazione, abituale in questa rubrica da più di un anno, sia confermato da fonti autorevoli (compresa la relazione del Prof. Maurizio Decina al convegno Internet di Repubblica-Somedia del 12 marzo) come la misura più affidabile e verificabile dell’attività in rete (nonostante gli "incidenti tecnici" di breve periodo come quello che ho appena citato).

Questa è la situazione di alcuni paesi europei se confrontiamo i dati più recenti con quelli di tre mesi prima:

Host Internet in 18 paesi (Europa e Mediterraneo)

(18 paesi con più di 50.000 host – su 52 paesi nell’area RIPE Réseaux IP Européens)

  Novembre
1997
Febbraio
1998
Variazione
% area RIPE
% su totale
Host per
1000 abitanti
Finlandia 471.498 412.641 -12,5 6,8 80,7
Norvegia 291.111 305.104 + 4,8 5,0 70,3
Danimarca 164.671 179.739 + 9,1 2,9 34,7
Svezia 344.955 352.647 + 2,2 5,8 40,2
Svizzera 183.813 198.634 + 8,1 3,2 27,6
Olanda 382.107 409.476 + 24,8 6,7 26,4
Gran Bretagna 1.002.792 1.117.398 + 11,4 18,3 19,2
Belgio 105.672 173.049 + 63,8 2,8 17,1
Israele 82.370 95.151 + 15,5 1,6 16,9
Austria 104.850 126.971 + 21,1 2,1 15,9
Germania 1.089.018 1.162.484 + 6,7 19,0 14,2
Ungheria 60.585 73.307 + 11,3 1,2 7,3
Francia 346.511 399.764 + 15,4 6,5 6,9
Repubblica Ceca 56.615 60.059 + 6,1 1,0 5,8
Spagna 194.196 202.860 + 4,5 3,3 5,1
Italia 282.052 268.311 - 4,9 4,4 4,7
Polonia 85.960 95.633 + 11,2 1,6 2,5
Russia 121.393 163.827 + 35,0 2,7 1,1
Totale RIPE 5.645.111 6.103.338 + 8,1   6,6
Naturalmente la  densità media nell’area RIPE è più bassa della media nell’Unione Europea, che è di oltre 11 host internet per 1000 abitanti, o dell’Europa in generale, che è vicina a 9; perché l’area comprende paesi di numerosa popolazione extra-europea come la Russia e la Turchia, oltre a paesi mediterranei con bassa densità di rete, come quelli del Nord Africa.

Nessun mutamento sostanziale nel quadro; Germania e Gran Bretagna hanno ancora il 40 % della rete in Europa e i paesi scandinavi mantengono il loro primato (la Norvegia si avvicina alla Finlandia, che diminuisce in questo periodo ma rimane al più alto livello mondiale). Forti, come sempre, la Svizzera e l’Olanda; in aumento il Belgio. La Francia comincia a dare segni di crescita, probabilmente dovuta all’inizio di uno spostamento di attività dal minitel all’internet.

Fra gli altri paesi dell’Europa mediterranea, modesta crescita del Portogallo (+ 3 %) che ha una densità di 4,4 host per 1000 abitanti, poco inferiore a quella italiana; statica e arretrata la Grecia (densità 2,5). La vicina Slovenia cresce relativamente poco (5,5 %) ma ha una densità molto superiore alla nostra (10,1). L’Ucraina cresce del 22 %, tuttavia meno dinamica della Russia e con una densità molto bassa (0,3). L’Egitto cresce del 47 % in tre mesi, ma sempre su basi molto piccole (densità 0,04 host per 1000 abitanti). La Turchia del 18 % (densità 0,6).

ritorno all'inizio

 

3. Gli "utenti" internet in Italia
Confesso che mi occupo malvolentieri della vexata quaestio di quanti siano gli "utenti" internet in Italia, per quattro motivi:
  • Perché il concetto di "utente" rimane confuso e difficilmente definibile.
  • Perché l’argomento è fin troppo dibattuto, con dati spesso di scarso significato e comunque di non facile interpretazione.
  • Perché verso la fine di quest’anno, in base ad alcune ricerche un po’ più approfondite, forse avremo dati più significativi.
  • Soprattutto perché il dato è poco rilevante. L’internet non è e non sarà mai un "mercato di massa" o un mezzo di comunicazione simile ai mezzi tradizionali.

Tuttavia... sto continuando a cercare di approfondire l’argomento, anche con l’incrocio di dati provenienti da ricerche diverse; l’analisi è complessa, ma spero di poter pubblicare qualche risultato un po’ meno vago in un prossimo numero di questa rubrica.

Intanto, ecco alcuni segnali che mi sembrano interessanti.

Secondo una ricerca di Eurisko, il numero di persone che si collegano alla rete (o "dicono" di farlo, che non è la stessa cosa) è aumentato di circa il 30 per cento fra il novembre 1996 e il giugno 1997 ma molto meno (circa il 7 percento) nel semestre successivo. In complesso mi sembra credibile che ci sia stato un incremento del 40 per cento in un anno.

L’aumento è venuto soprattutto dalla diffusione della rete in casa, che è cresciuta del 70%, mentre l’uso "al lavoro", cioè in ufficio, ha avuto un aumento relativamente più basso, circa 20%. Oggi su 100 persone che si collegano alla rete 65 lo fanno dal lavoro e 45 da casa (cioè circa un utente su 10 si collega da casa e anche dal lavoro).

Quanti sono? Come ho premesso, non ho ancora approfondito abbastanza l’analisi... ma credo sia ragionevole pensare (se usiamo una definizione "estesa" di "utente") a circa 800.000 persone, di cui meno di 400.000 si collegano da casa e probabilmente più di 700.000 hanno un collegamento sul luogo di lavoro, ma in larga misura utilizzato solo su reti "interne" aziendali. È quasi impossibile valutare con buona approssimazione il numero dei "navigatori abituali" che frequentano con una certa regolarità la rete, ma secondo me chi stima che siano circa 100.000 non è lontano dalla realtà. Un numero piccolo, rispetto alle stime mirabolanti che circolano; ma un aumento notevole rispetto a due o tre anni fa.

Non mi fido mai nelle profezie... ma tutto lascia pensare che quest’anno l’uso della rete in Italia si stia diffondendo più velocemente. Basta guardarsi intorno... oggi accade un po’ più spesso che una persona, finora poco interessata all’idea di collegarsi, ci dica "senti, ci sto pensando, secondo te come devo fare?" oppure che ci arrivi, del tutto imprevisto, un messaggio e-mail da un amico: "eccomi! sono in rete anch’io". Credo che un aumento del 50 per cento nel 1998 non sia un’ipotesi esagerata; il che, anche con un calcolo prudenziale, ci porta a oltre un milione di "utenti" prima della fine dell’anno. Siamo sempre molto lontani dai livelli di crescita che occorrerebbero per portarci a un livello "europeo", ma tutto fa pensare che la diffusione dell’internet in Italia stia davvero cominciando a crescere. Questa tendenza, come abbiamo visto, potrebbe essere accelerata dall’imminente battaglia competitiva per la vendita di connessioni.

Grazie alla già citata Eurisko, ecco alcuni dati, che mi sembrano interessanti, sulla suddivisione degli utenti internet (in senso lato) secondo cinque criteri demografici.

graf16a.gif (5126 bytes)

Vediamo una forte concentrazione nel Nord-Ovest e una certa debolezza nel Sud, ma nonostante i forti squilibri la situazione mi sembra meno "drammatica" di quanto possa apparire da questo grafico. Ci sono segni di interessante vitalità in rete sparsi in tutto il territorio, compreso il Sud e le Isole. Si tratta, per ora, di nuclei relativamente piccoli, ma se la rete cominciasse a raggiungere fasce di popolazione più estese queste risorse culturali potrebbero rivelarsi preziose.

Il mitico "nord est" appare debole; in quell’area l’uso della rete "dal lavoro" (15,6 % sul totale Italia) è leggermente più basso che "da casa" (16,4 %), mentre nel Nord-Ovest è più diffuso l’uso dal luogo di lavoro (46,6 %). Nel Centro i due dati sono simili. Al Sud e nelle Isole è un po’ più diffuso l’uso "domestico" (23,7 %); quest’ultimo dato, se la tendenza si confermasse, potrebbe rivelarsi interessante.

Anche da altri segnali risulta ancora estremamente debole la presenza in rete delle "piccole e medie imprese" italiane; e questo è uno degli elementi più preoccupanti di tutta la situazione.

Per dimensione dei centri abitati, il quadro è questo:

graf16b.gif (6976 bytes)

La concentrazione nei "grandi centri", abbastanza ovvia e prevedibile, è tuttavia un altro sintomo di "sottosviluppo". È interessante tuttavia constatare che l’uso "da casa" è un po’ più alto nei centri con meno di 10.000 abitanti (21,2 %) e nettamente più basso nelle grandi città (26,4 %).

Questo è il quadro per fasce di età:

graf16c.gif (6502 bytes)

La scarsa presenza in rete di persone oltre i 55 anni è comprensibile, ma questo è uno dei fenomeni che meriterebbero attenzione. Sono proprio le persone che si trovano in situazioni di isolamento, come spesso accade agli anziani, che potrebbero avere un particolare vantaggio dall’uso della rete.

All’altro estremo della scala di età, la presenza dei giovani sull’internet è solo leggermente più alta rispetto alla popolazione; questo riflette non solo una carenza della scuola, ma anche un inadeguato impegno delle famiglie. Uno dei rischi gravi è che le nuove generazioni (all’infuori di quei "privilegiati" che crescono in famiglie più acculturate e attente) restino tagliate fuori dalla cultura del mondo e dalla possibilità di trovare lavoro.

Ecco l’analisi per "titolo di studio":

graf16d.gif (6655 bytes)

Nulla di sorprendente... ma si conferma che siamo molto lontani da quella diffusione "popolare" della rete che, come abbiamo visto, sta cominciando a realizzarsi negli Stati Uniti.

Un altro significato di questo dato è che i frequentatori della rete sono persone più attente ed esigenti del "pubblico medio". Non credo che il "livello scolastico" sia un indice di valore assoluto; tutti conosciamo persone laureate che vivono in un abisso di ignoranza – e persone di straordinaria cultura che hanno completato poco più della scuola dell’obbligo. Ma è abbastanza evidente che le persone in rete sono più impegnate e più attente della media; spesso hanno poco tempo da sprecare e perdono facilmente la pazienza. Non sono clienti "facili", possono essere molto severi: chi vuol fare marketing in rete deve trattarli con molto rispetto e saper soddisfare le loro esigenze.

Per livello di reddito, queste sono le percentuali:

graf16e.gif (6468 bytes)

Anche qui, nulla di sorprendente. Ma c’è un fatto, secondo me, importante: la barriera che tiene lontane dalla rete le fasce di reddito medio-basse (fra cui molti, giovani e non, che potrebbero servirsi della rete per migliorare le loro possibilità di trovare lavoro o di migliorare la loro condizione) non è solo economica: è soprattutto culturale. Una delle "rivoluzioni" necessarie sta nel capire che per collegarsi all’internet non è necessario avere attrezzature costose, né particolari competenze tecniche; e che ciò che oggi sembra "il giocattolo dei ricchi" può diventare uno strumento di recupero sociale ed economico per le categorie più deboli ed emarginate.

ritorno all'inizio

 

4. Chi può fare da "apripista"?
Mi sembra chiaro, anche se non ancora diffusamente percepito, che il cosiddetto "commercio elettronico" non è l’unica attività di marketing che si può svolgere in rete – e che ci sono molti altri modi per usare con successo le nuove tecnologie di comunicazione.

Altrettanto chiaro, e ormai percezione abbastanza diffusa, è che questo tipo di attività commerciale non solo non "decolla" in Italia ma è quasi inesistente. Sembra meno diffusa, ma dovrà necessariamente farsi strada, la comprensione del fatto che non si tratta solo di un "ritardo" nello sviluppo della rete in Italia, ma di profonde differenze strutturali rispetto al mercato americano e ad altri paesi in cui le vendite mail order (cioè su catalogo o comunque per posta) e in generale il direct marketing hanno una diffusione enormemente più ampia che da noi.

Questa è una partita definitivamente perduta? Ci troviamo davanti a ostacoli insormontabili? Credo di no. Ma anche in questo caso mi sembra necessaria una piccola rivoluzione copernicana, per partire dalla constatazione della realtà e costruire su basi che non siano troppo fragili.

Credo che si debba, prima di tutto, pensare al comportamento di chi si collega in rete. Dopo una possibile fase iniziale, in cui la curiosità per il "nuovo giocattolo" e la voglia di sperimentare possono portare a una "navigazione" fine a se stessa, i comportamenti si assestano: ognuno trova il "suo" utilizzo della rete. Per alcuni può essere prevalente l’uso della posta elettronica, per altri la partecipazione a gruppi di discussione, per altri ancora la ricerca su argomenti specifici o la visita abituale ad alcuni siti dove trovano informazioni interessanti per il lavoro, lo studio, interessi culturali o divertimento personale. Insomma ognuno si costruisce la "sua" rete e tende a chiudersi in un sistema di abitudini. Nessuna di queste, salvo rare eccezioni, è la ricerca o l’acquisto di prodotti e servizi (fra le poche eccezioni immaginabili ci può essere la visita periodica a una grande libreria internazionale online per vedere se ci sono novità interessanti).

Ma il comportamento potrebbe cambiare se ce ne fosse un motivo. Se chiunque di noi scoprisse che c’è un’offerta attraente in rete, per qualcosa cui è specificamente interessato, potrebbe essere indotto ad accendere computer e modem per il solo motivo di verificare quell’offerta. Non è bizzarro immaginare che anche chi non ha un accesso internet chieda a un collega di lavoro, o a un amico personale, di aiutarlo nella ricerca.

Che cosa può rendere un’offerta così interessante da indurre una persona a cambiare abitudini? Ovviamente, il prezzo. Per fare un solo esempio fra tanti, c’è chi compra cd musicali negli Stati Uniti perché li trova a un prezzo più basso (spedizione compresa) che in qualsiasi negozio in Italia. Ma anche cose meno banali. Ci possono essere prodotti o servizi che non si trovano facilmente da un rivenditore vicino a casa. Ci possono essere possibilità di verifica e di confronto che si fanno molto più rapidamente e facilmente in rete che girando per negozi. Ci possono essere valori di qualità e servizio, basati su un uso intelligente della comunicazione interattiva, che rendono l’offerta in rete più attraente.

Anche pochi "pionieri" intelligenti e coraggiosi porrebbero aprire la strada per molti altri. Perché se un comportamento dà risultati soddisfacenti fa nascere la disponibilità a riprovare.

Chi e come? Solo l’esperienza concreta lo potrà dire. Ma prima di parlare dei settori che potrebbero fare da "apripista" vorrei accennare a tre fattori che, se ben capiti e coltivati, potrebbero modificare in modo interessante l’atteggiamento delle persone che hanno un collegamento all’internet.

  • Il primo e più ovvio "acquisto" online è il prelievo di software. Spesso cominciando con freeware o shareware: cioè con prodotti gratuiti o concessi "in prova" per un certo periodo di tempo. Ma la stragrande maggioranza delle persone collegate in rete, e specialmente dei "nuovi utenti", non lo sa. Si accontenta di ciò che trova pre-installato o va in un negozio a comprare software, spesso pagandolo di più e comunque trovando assai meno scelta di quanto avrebbe in rete. Mi sembra perciò che la "prima mossa", se si vuol rendere un po’ più familiare il concetto di acquisto in rete, sia diffondere la conoscenza di quanto software sia disponibile e come sia facile averlo. Questo significa superare le resistenze e ostilità dei produttori e rivenditori dei software commerciali più diffusi... ma sarebbe fortemente nell’interesse di tutte le altre imprese, in ogni settore, che fossero interessate a far nascere il mercato degli acquisti online.
  • Il secondo è l’esplorazione di siti stranieri. Alcuni grandi venditori americani, o comunque internazionali, offrono un ottimo servizio. Il settore più noto è quello dei libri, ma ce ne sono altri. Dovremmo imparare a non essere "gelosi". Più italiani si accorgeranno della qualità di questi servizi, impareranno a usarli e ne saranno soddisfatti, più possibilità si apriranno per nuove offerte, anche da parte di imprese italiane.
  • Il terzo è l’esportazione. Sono ancora poche, ma possono diventare molte di più, le imprese italiane che vendono online all’estero (soprattutto negli Stati Uniti). La loro esperienza può essere preziosa. Operando in quei mercati in cui l’e-commerce è una realtà, possono accumulare competenza e risorse; costruire una base economica e strutturale che sarebbe impossibile, o esageratamente costoso e frustrante, sviluppare basandosi solo sulle scarse possibilità offerte dal mercato "interno". La rete è, per sua natura, internazionale... un cliente soddisfatto nel Colorado può trasmettere la sua esperienza a qualcuno che sta a Perugia.

Vediamo ora l’aspetto più difficile, a prima vista quasi impossibile: il "commercio elettronico" dall’Italia e per l’Italia. Alcuni settori merceologici possono prestarsi, prima di altri, alla vendita online; e fare da "apripista" per tutti. Per esempio:

Software

È l’esempio più ovvio, ma non per questo irrilevante. Non si tratta solo della ricerca di software gratuito o di shareware, cui ho già accennato (e che comunque è una delle nozioni generali che sarebbe utile diffondere). Si tratta anche della vendita di programmi più o meno specializzati. Naturalmente c’è già offerta di software in rete, ma può crescere molto in qualità e quantità.

Hardware

C’è chi vende in rete computer e accessori, anche in Italia. Alcune imprese, benché quasi sconosciute al "grande pubblico", stanno crescendo e guadagnano bene. Ma c’è ancora un grande spazio per estendere questo settore, migliorare la qualità di servizio e soprattutto farlo conoscere.

Libri

Ho già analizzato l’ipotesi, secondo me realistica, di una grande libreria italiana in rete.

Musica

Sembra che molti ci stiano pensando, ma per ora sono iniziative di respiro limitato. Anche in questo settore ci sono ovvie e grandi possibilità

Servizi

Una categoria molto estesa, che andrebbe definita in modo più preciso, ma che certamente offre grosse possibilità. Viaggi, alberghi, turismo, aggiornamento professionale... e tanti altri settori... alcune iniziative ci sono, ma per ora un po’ disperse. Un esempio interessante è quello della Camera di Commercio di Milano (credo anche altre) che offre un ottimo servizio ai commercialisti: semplificazione delle procedure, risparmio di tempo e di denaro. Qui si apre un discorso lungo e complesso, che forse riprenderemo fra qualche tempo, per il settore bancario e assicurativo, dove molti ostacoli restano ancora da superare, soprattutto nella mentalità e nei metodi delle nostre istituzioni finanziarie.

Business-to-business

Anche questo è un settore ovvio, che richiederebbe un approfondimento; ma non è facile. Forse ci sono già oggi più casi di successo di quanti si conoscano, che per vari motivi non vogliono far troppo parlare di sé (molti sono gelosi delle loro conoscenze: forse troppo preoccupati di rivelare "segreti" la concorrenza, comunque più interessati a mantenere i loro privilegi che a diffondere cultura del marketing interattivo). Ma sono, in generale, il puro e semplice trasferimento online di attività che già si svolgevano per telefono o per fax.

Qualcuno ci sorprenderà

La realtà supera sempre l’immaginazione. Possiamo ragionare "a tavolino" quanto vogliamo, ma certamente succederà qualcosa che nessuno oggi prevede. Capire queste esplorazioni inaspettate e trarne insegnamento sarà, credo, uno dei compiti più importanti per chi desidera sviluppare una cultura sull’efficace utilizzo della rete.


Insomma se insisto, come mi sembra necessario, sul grave "sottosviluppo" della rete in Italia e sulla necessità di sgombrare il terreno da ipotesi irrealizzabili, non è perché penso che nulla si possa fare. Al contrario, sono convinto che solo partendo da una constatazione della realtà si possa costruire davvero.

In un modo o nell’altro, nuovi "utenti" stanno arrivando e arriveranno in rete. Siamo pronti ad accoglierli, a dare servizi veramente utili, ad aiutarli a trovare un orientamento, a offrire qualcosa che sia davvero interessante per loro? Temo di no. La scarsità della domanda dipende soprattutto dall’immaturità dell’offerta.

Non è solo un problema italiano. Uno studio della Shelley Taylor & Associates pubblicato dall’Economist il 4 marzo rileva che solo tre imprese, su cento che hanno un sito web, sanno gestire la loro comunicazione online in modo interessante per i visitatori. Insomma nel mondo la confusione e l’inesperienza continuano a dominare la comunicazione in rete. Ci sono occasioni molto interessanti per chi sa la saprà usare meglio. Ci saranno sempre; ma soprattutto in questa fase iniziale, in cui il disorientamento prevale e le offerte di autentica qualità sono ancora poche.

Come sempre, in ogni settore ma specialmente nei fenomeni nuovi e inesplorati, le vere forze traenti saranno gli innovatori concreti, le singole imprese che sapranno trovare una formula di successo, gli "apripista" che faranno nascere e crescere il mercato. I migliori, cioè tutti coloro che hanno cominciato a costruire un capitale di competenza pratica, non dovrebbero essere troppo egoisti. Ognuno può guadagnare di più dalla comunità delle conoscenze che da uno sterile isolamento. Più ci sarà apertura, più le esperienze saranno condivise, meglio sarà per tutti.


ritorno all'inizio ritorno all'indice



Homepage Gandalf Homepage WMTools