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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 4 -  3 giugno 1997
1. Editoriale: dove va la chioccioletta?
2. Quattro citazioni
3. Come uscire dalla trappola?
4. Perche' e' meglio non essere invasivi
5. Non tutto e' vendita
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1. Editoriale: dove va la chioccioletta?
Quando si parla di Internet, oggi si tende prevalentemente a pensare a World Wide Web. Con la solita confusione... ho sentito, in una trasmissione televisiva di largo ascolto, parlare di "indirizzi internet con http e chioccioletta" - che, naturalmente, non esistono. Ma è proprio sulla storica "chioccioletta" (nata quindici anni prima di "http" o "www") cioè su tutti quegli indirizzi con @, che dovremmo, secondo me, soffermare un po' di più la nostra attenzione. Una lumachina che per tanti anni è andata piano, ma ormai è un grosso lumacone globale. O forse un bruco, che può trasformarsi in imprevedibili e inaspettate farfalle. Certo non è una tartaruga: è ancora capace di scatti da far invidia alla lepre della favola.

Con molto meno fracasso della ragnatela (web) la posta elettronica si sta diffondendo al di fuori dei suoi terreni "tradizionali". In parte, non irrilevante, per uso privato; ma credo che la spinta più decisiva venga dall'area business. Man mano che le imprese si rendono conto di quanto sia costoso usare il telefono e il fax, diventerà sempre più diffuso l'utilizzo dell'e-mail. Si sentirà in Italia, come in tutto il mondo, un effetto di "trazione internazionale": non solo le filiali delle multinazionali, ma anche le imprese che hanno rapporti frequenti con l'estero (in pratica quasi tutte) si troveranno, presto o tardi, nella necessità di considerare "normale" e quotidiano l'uso di questo strumento. Non è facile sapere quanto è già successo, o quando succederà. L'esperienza quotidiana ci insegna che, ancora una volta, l'elemento determinante non è la tecnologia, ma il comportamento umano. Quante persone conosciamo che hanno una mailbox ma non la usano, o la usano raramente, e per abitudine continuano a preferire il telefono e il fax?

Fenomeni come questi tendono ad accelerare per aggregazione: quando in un certo ambito di relazioni (personali e d'impresa) un comportamento supera una certa "soglia critica", si estende con grande velocità. Come è accaduto per il telefono cellulare, verrà il giorno in cui avere l'indirizzo e-mail sul biglietto da visita e sulla carta da lettere non sarà più visto come un atto di snobismo, ma come una cosa normale. Potremmo in quel punto vedere una curva gaussiana impennarsi; potremmo davvero arrivare in tempi relativamente brevi a un numero di "utenti" di sette cifre anche in Italia. Anche se nessuno è in grado di prevedere quando.

Ma... ci sono due ma. Il primo è che il puro e semplice uso della posta elettronica non porta all'esplorazione dell'internet. Ci sono e ci saranno persone che si limiteranno a quell'uso; e non poche. Vediamo, in paesi più avanzati, che più di metà degli utenti di e-mail non ha mai usato altre funzioni internet - o lo fa molto sporadicamente. Ne deriva una conseguenza pratica: un grande numero di "utenti" potenzialmente raggiungibili, che non saranno raggiunti da una nostra proposta se non sapremo come informarli della nostra presenza in termini interessanti per loro.

L'altro problema è, oggi, di più difficile comprensione, ma potenzialmente molto rilevante. Non occorre leggere il ponderoso studio di Philips Tarifica (che costa 5000 sterline e che, confesso, non ho acquistato) per sapere che le compagnie telefoniche di tutto il mondo sono preoccupate per la concorrenza della rete (compresa la comunicazione "voce" via internet) e che da questo, oltre che dalla concorrenza che cresce con le "liberalizzazioni", tenderà a derivare un ulteriore, e forte, abbattimento delle tariffe telefoniche interurbane e soprattutto internazionali. Già oggi la tariffa più bassa per una conversazione telefonica fra Londra e New York è di 250 lire al minuto - e si pensa che debba scendere a 50 lire.

Intanto nascono le reti cellulari a copertura urbana ( DECT che competono con le reti telefoniche via filo; e si aprono altri spazi "via etere", compresi i satelliti a bassa quota... si sviluppano i sistemi di paging e di "messaggi brevi" sulla telefonia digitale... insomma tutto il sistema telefonico si avvia a un radicale sconvolgimento.

L'enorme differenza di costo che esiste oggi fra l'e-mail e altri mezzi di trasmissione, come telefono e fax, potrebbe ridursi fino a diventare poco rilevante. Contemporaneamente, si stanno sempre più diffondendo e consolidando reti interne, con proprie connessioni privilegiate, che comunicano principalmente con se stesse mantenendo solo alcune "porte" di comunicazione con l'esterno. Da quelle che preesistevano all'internet (come i grandi sistemi universitari) a quelle che hanno, o stanno sviluppando, grandi organizzazioni pubbliche o private.

Che conseguenze potrebbe avere tutto questo sulla diffusione dell'e-mail o addirittura sulla struttura delle reti? Non lo so, e non so chi possa azzardare profezie; ma è molto probabile che l'evoluzione della telefonia e della telematica porti a sistemi complessi, in cui l'internet come la conosciamo oggi potrebbe essere solo una di diverse componenti. Ancora una volta, una sola cosa è certa: i fattori (e gli interessi) in gioco sono così complessi che il futuro è imprevedibile.

Ma se basiamo lo studio e la disciplina della comunicazione in rete sulle relazioni umane, e non sulle tecnologie, tutto questo diventa secondario. Gli strumenti potranno evolversi, anche in modo del tutto imprevedibile: offrendo inaspettate possibilità e creando impreviste complicazioni. Ma ciò che avremo imparato nell'esperienza dei rapporti interpersonali resterà comunque valido, e continuerà ad accumularsi come "capitale di conoscenze" - quindi vantaggio concorrenziale - per chi avrà la pazienza e la capacità di approfondire e sperimentare.

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2. Quattro citazioni
Tre libri, molti anni fa, contribuirono a farmi nascere quella curiosità che mi ha portato a navigare oggi, quotidianamente, nelle reti "telematiche". Un quarto, più recente, mi ha molto aiutato a capire il quadro evolutivo in cui i nuovi sistemi di comunicazione si stanno sviluppando.

Due uscirono nel 1980. Tutti e due, in qualche modo, profetici. Perché era inimmaginabile, a quell'epoca, la diffusa disponibilità delle tecnologie che oggi ognuno di noi può usare; e perché l'evoluzione che descrivevano sta cominciando solo oggi a realizzarsi davvero.

Uno è Le Défi Mondial, in cui Jean-Jacques Servan-Schrieber spiegava come le nuove tecnologie elettroniche aprano alla conoscenza umana spazi prima inimmaginabili; e come nel mondo in cui viviamo l'elemento fondamentale non siano più le risorse o gli strumenti produttivi, ma l'informazione, il pensiero. Diceva: "Nell'età post-industriale la "finitezza" di sempre, che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si infrange. A portata degli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l'unica: l'informazione, la conoscenza, l'intelligenza". Questa può sembrare poesia, o sogno; è una teoria che spesso si è sentita ripetere e purtroppo è poco riflessa dai fatti. Ma è tutt'altro che un'utopia, anche se finora non siamo stati capaci di tradurla in pratica.

L'altro è The Third Wave, "La terza ondata", di Alvin Toffler. Ci sono tre "ondate", spiegava Toffler, nella storia dell'economia e della cultura umana. Che non si susseguono, ma si sovrappongono. La prima fu l'agricoltura; la seconda, l'industria; la terza è la comunicazione. Comunicare è sempre stato un elemento essenziale della natura umana; ma solo in tempi recenti (un batter d'occhio rispetto alla storia dell'umanità) i sistemi di comunicazione hanno assunto la diffusione, e l'istantaneità, che hanno oggi. Nell'era dell'informazione si aprono nuove, e prima inimmaginabili, possibilità di marketing; perfino una diversa concezione del concetto di prodotto, che può essere molto più personalizzato. Toffler parla di un nuovo tipo di utilizzatore, che definisce prosumer: cioè contemporaneamente produttore e consumatore. Un concetto che va molto al di là del "fai da te" e dei prodotti "semilavorati" che l'acquirente monta o costruisce; più estesamente significa coinvolgere nella produzione di un bene la persona o l'organizzazione che lo acquista. Un metodo già applicato in molti settori, ma che ha moltissime possibilità ancora non realizzate.

Nel 1982, uscì un altro libro che apriva nuove prospettive: Megatrends di John Naisbitt. Fra molte interessanti osservazioni di come il mondo può cambiare con le nuove tecnologie, ce n'è una che mi sembra più che mai di attualità: "High tech - high touch è la formula che uso per descrivere il modo in cui rispondiamo alla tecnologia. Ogni volta che una nuova tecnologia viene introdotta nella società, ci deve essere il contrappeso di una spinta umana che ristabilisce l'equilibrio - cioè high touch - se no la tecnologia viene respinta. Più c'è high tech, più occorre high touch". Quindici anni più tardi, questa osservazione è ampiamente confermata dai fatti. È un principio che, secondo me, dovrebbe tenere sempre in mente chi fa comunicazione in rete.

Lo stesso autore, nel 1994, ha pubblicato un altro libro, Global Paradox, la cui tesi fondamentale mi sembra molto rilevante per l'argomento di cui stiamo parlando. Il "paradosso globale" sta nel fatto che più grande è l'economia mondiale, più potenti sono gli operatori più piccoli. Perché con i nuovi sistemi di telecomunicazione diventa possibile per un piccolo operatore gestire il suo "segmento" di mercato su scala mondiale - con un livello di specializzazione e di servizio personale che difficilmente può essere offerto da strutture più grandi. Naturalmente questo non esclude dal gioco le grandi imprese, ma rende sempre più pressante la necessità di strutture più flessibili, cui le grandi organizzazioni si adattano con difficoltà.

Dice Naisbitt: "Le telecomunicazioni sono la forza di spinta che simultaneamente crea un'economia mondiale e ne rende i componenti più piccoli e più forti... in questo processo il sistema delle telecomunicazioni è entrato in una fase di turbolento, creativo caos". La turbolenza continua; il "caos" può creare sgomento e perplessità per chi non ne sa cogliere le regole... ma per chi sa muoversi con coraggio e dinamismo le occasioni possono essere straordinarie. Come ho già detto, molte imprese italiane hanno già la cultura e la struttura adatta per competere in questo territorio.

Ci sono infinite, affascinanti, talvolta astruse elaborazioni sulla teoria del caos e dei sistemi complessi. Ma per poter operare concretamente non è necessario conoscerne a fondo tutti gli approfondimenti teorici e scientifici. Mi viene in mente una vecchia parabola, talvolta citata anche nei corsi o seminari di gestione. Uno studio approfondito della struttura alare di una certa specie di calabrone, in relazione al suo peso, dimostra che non può volare. Ma il calabrone non sa leggere, non conosce quei libri... e vola lo stesso.

Ai fini pratici, spesso basta capire che gli scenari più interessanti non sono quasi mai i più ovvi o quelli che sembrano più probabili; saper usare il "pensiero laterale"; e saper rischiare senza fare irrimediabili "salti nel buio". La storia concreta di molte imprese dimostra come tutto questo sia perfettamente possibile; e assai più semplice in pratica di quanto può sembrare in teoria. Uno dei valori più importanti delle nuove possibilità di comunicazione interattiva sta proprio nella possibilità di allargare e moltiplicare le sperimentazioni, con rischi e costi relativamente bassi.

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3. Come uscire dalla trappola?
Questo episodio è vero, anche se (per dovere di riservatezza) non posso citare il nome: né dell'impresa, né del consulente. Ma sono convinto che non è un "caso isolato".

Una grande impresa multinazionale si è rivolta a un'organizzazione che si occupa di servizi in rete e ha detto: "Non ti chiedo di aiutarmi a entrare nell'internet: ti chiedo di aiutarmi a uscire".

Come molti, si era precipitata ad aprire una "presenza in rete" senza chiedersi come e perché. Non aveva una strategia chiara, ma voleva "esserci". Non ha controllato bene né il progetto, né le tecniche di attuazione - comunque era un'iniziativa che pesava pochissimo sul suo bilancio e cui non aveva assegnato significativi parametri per valutare i risultati. Insomma la direzione centrale dell'azienda sapeva che c'era, ma non aveva il tempo di occuparsene; e anche le varie direzioni e divisioni interessate, cominciando dal marketing, avevano cose più importanti e più urgenti cui badare.

Passati due anni... si sono accorti di essere caduti in una trappola. Non molte persone erano entrate in contatto con loro sulla rete, ma fra queste ce n'erano alcune importanti. Clienti, distributori, interlocutori che non potevano trascurare. Tutti delusi e insoddisfatti. Improvvisamente si resero conto che non avevano solo sprecato (poco) denaro, ma si stavano facendo un danno.

Così per la prima volta fecero un'analisi seria di costi e risultati: e si resero conto che per poter rimediare avrebbero dovuto non solo dare un servizio migliore in rete, ma anche modificare molte cose nella loro cultura aziendale e nei loro metodi. Un'impresa lunga, costosa, e senza una proiezione di "ritorno sull'investimento" che potesse giustificare non tanto la spesa quanto la distrazione di risorse di gestione e l'esteso riaddestramento del personale. Avevano imboccato la strada sbagliata e si erano accorti troppo tardi che era un vicolo cieco. L'unica soluzione pratica era chiudere; per poi rimanere fuori dalla rete, oppure riprogettare tutto da zero.

Ma ora sanno che non è così semplice. Senza rendersene conto, hanno instaurato rapporti, fatto promesse, assunto impegni. Non possono più semplicemente dire "chiudo".

Purtroppo il consulente chiamato non sono io... e anche se lo fossi non potrei rivelare i dettagli, né riferire qual è la soluzione in quel caso specifico.

Ma da questa storia si può trarre un insegnamento, sostanzialmente semplice, che si può riassumere in tre punti:

  • Non entrare in rete senza una strategia chiara
  • Procedere gradualmente, passo per passo, e verificare continuamente.
  • Essere pronti a cambiare strada, o a tornare indietro, prima di arrivare sull'orlo del precipizio.

Se non si ha il tempo, o non si hanno le risorse, per fare queste cose... vuol dire che il progetto non è chiaro, e occorre ripensarlo dalle basi. Costa molto meno di quanto costerebbero gli inevitabili errori provocati da una strategia confusa.

Eppure... quando dico a qualcuno che si occupa di queste cose "Dovresti chiedere ai tuoi clienti di avere strategie più chiare, e fare progetti più articolati" mi sento spesso rispondere "Guarda che non sono stupido, lo so anch'io; ma devo mangiare... la maggior parte dei clienti mi dice "non rompa le scatole e mi faccia una paginetta web", oppure "questo è il mio catalogo, lo prenda così com'è, aggiunga un paio di fronzoli e lo metta in rete" - e mi tocca obbedire". Insomma sappiamo tutti che con così pochi anni di esperienza non è facile che ci sia un'offerta qualificata di consulenza e servizio; ma il problema più preoccupante è che in molti casi, e nonostante l'ormai evidente problema degli insuccessi e del ciclo illusione-delusione, è ancora scarsa la qualificazione della domanda.

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4. Perché è meglio non essere "invasivi"
La tentazione è grossa - e pericolosa. Abbonda l'offerta di strumenti tecnologici che possono permettere di "invadere" lo spazio di qualcun altro, per cercare di "manipolare" il modo in cui si accede a un nostro sito, o di raccogliere informazioni.

A parte i rischi legali cui ci si può esporre se si tenta qualsiasi violazione della privacy o gestione di "dati personali", si entra in un campo minato. Ho già parlato in questa rubrica dei mali dello spamming; altrove dei problemi che possono provocare i cookie. Non voglio inoltrarmi nelle complesse polemiche tecniche riguardanti le differenze fra diversi tipi di "oggetti" - come gli ActiveX, generalmente considerati molto pericolosi, o i "chicchi" Java, che dovrebbero essere più sicuri (oltre che meno ingombranti) ma non tutti considerano ineccepibili. Al di là di ogni disquisizione tecnica, secondo me c'è un problema fondamentale di comportamento.

Un aneddoto si aggira sulla rete; credo che sia autentico, perché è citato da fonti affidabili. Pare che un sito "erotico" offra al visitatore di scaricargli un software, "per vedere meglio". Se l'incauto accetta, il programma stacca i segnali del suo modem; chiude la connessione; fa un nuovo numero, che è una linea a pagamento in Moldavia; poi ripristina i segnali. La "vittima" non se ne accorge se non molto più tardi, quando riceve la bolletta telefonica.

Ci sono molti altri esempi, meno pittoreschi ma non meno preoccupanti. Se decidiamo di inserire qualcosa di anche minimamente "invasivo" corriamo un duplice rischio. Gli utenti più esperti probabilmente lo rifiuteranno - e c'è una buona probabilità che ci cancellino dalla lista dei siti che vogliono visitare e dalla gamma delle imprese con cui vogliono avere un dialogo. I meno esperti probabilmente non se ne accorgeranno; ma se poi (come può facilmente accadere) ne deriverà qualche inconveniente...o se anche solo, diventando più esperti, scopriranno di essere stati ingannati... non avremo guadagnato la loro benevolenza.

Prima di introdurre un meccanismo tecnico che "invade" il territorio del nostro interlocutore, secondo me dobbiamo chiederci se il gioco vale la candela. Usare una tecnologia solo "perché esiste" (cosa che purtroppo molti fanno) non è solo inutile: può essere un grave errore.

Quali reali vantaggi ne possiamo ricavare? Quale significativo miglior servizio possiamo dare al nostro interlocutore? I vantaggi compensano i rischi? È proprio necessario usare quella tecnica o possiamo avere gli stessi risultati in modo più semplice e meno pericoloso?

Spesso scopriremo che, a conti fatti, non conviene. Se invece l'uso di una tecnologia più o meno "invasiva" (o la raccolta di informazioni personali) è veramente importante, credo che ci sia una soluzione semplice: informare chiaramente il nostro interlocutore, così che sia cosciente di ciò che accade e partecipi alla decisione. Può essere sorprendentemente facile, se offriamo davvero qualcosa di interessante, avere esplicito consenso e collaborazione. Oltre a proteggerci da ogni sorta di rischi, questo è anche un metodo selettivo: chi accetta esplicitamente di collaborare (se l'offerta è attinente, e non di puro gioco) è più interessato di altri al nostro argomento.

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5. Non tutto è vendita
Quando si parla di marketing in rete, l'attenzione sembra concentrarsi sulla forma più ovvia e più semplice: mettere su un sito web un catalogo, o una proposta di vendita, di prodotti o servizi. Questa impostazione, secondo me, è riduttiva: può far perdere di vista le molte altre possibilità che la rete può offrire.

Ci sono molte attività di marketing che si possono svolgere tramite la rete e che non sono la vendita di un prodotto o di un servizio al consumatore finale.

Impossibile elencarle tutte, anche perché ogni azienda può costruirne qualcuna su misura secondo la particolare struttura del suo mercato e della sua offerta. Ma ecco alcuni esempi.

   Orientamento all'acquisto

Gli utenti della rete (soprattutto i più esperti) se ne servono spesso per raccogliere informazioni. Esplorano, verificano, confrontano, controllano; anche se poi acquistano presso un negozio o un altro canale di vendita tradizionale.

Questo ci offre ottime occasioni per rendere disponibili, attraverso i diversi canali e sistemi che la rete offre, notizie e informazioni sui nostri prodotti o servizi.

Ci permette anche, esplorando la rete, di tener d'occhio le iniziative e le attività dei nostri concorrenti.

Ma... occorre muoversi con cautela, e con rispetto per gli interlocutori. Un comportamento sbagliato, un sito non interessante o mal costruito, una promessa di servizio o di informazione non pienamente mantenuta, possono produrre reazioni negative, che si risolvono in un danno per la marca e un orientamento negativo negli acquisti.

   Servizi alla distribuzione

La rete può essere molto utile per dare un servizio a una rete di concessionari o ad un'altra struttura di distribuzione. Offrire assistenza, fornire aggiornamenti continui, scambiare informazioni, rispondere "in tempo reale" alle domande dei clienti, raccogliere ordini, verificare gli standard di qualità e servizio, eccetera.

Il collegamento può essere immediato e continuo in qualsiasi angolo del pianeta, e quindi può rendere efficiente e competitiva anche un'organizzazione che non ha grosse strutture distribuite su scala geografica.

Questo tipo di operazione può essere realizzato tramite internet; ma per molte imprese può essere giustificata la creazione di una rete ad hoc.

   Assistenza tecnica

Non tutti i prodotti permettono di dare assistenza tecnica a distanza, ma per molti è possibile fornire un servizio, se non di assistenza "fisica" (come è possibile, per esempio, per tutto ciò che comporta il trasferimento di software o anche di "pezzi fisici" non troppo ingombranti) di consulenza specializzata e immediata a chi svolge assistenza "in loco": sono possibili ogni sorta di soluzioni che al tempo stesso riducono i costi, migliorano il servizio e il controllo qualità, danno un supporto qualificato ai centri di assistenza e controllano il loro funzionamento.

In sostanza credo che l'uso di un efficiente sistema elettronico di assistenza tecnica possa dare un forte vantaggio competitivo.

È sorprendente che perfino imprese del settore informatico non siano in grado di fornire un sistema di assistenza online (per rete e per telefono) adeguato alle richieste degli utenti.

Ma c'è chi lo fa, in questo come in altri settori, con molto successo. Anche quando non è possibile gestire interamente l'assistenza tramite la rete, il processo può essere molto semplificato, con un duplice risultato: miglior servizio al cliente e riduzione di costi. Per esempio, nel caso di un prodotto complesso, la diagnosi di un problema può essere fatta con un dialogo diretto fra due tecnici: anche se poi è necessario un intervento "fisico", il tecnico di servizio parte già preparato e con tutto il necessario, compresi eventuali ricambi.

Qualcuno potrebbe dire: "Ma questo non è marketing". Invece, secondo me, lo è. Definire ogni forma di assistenza in modo da dare un miglior servizio è un elemento essenziale di una strategia di marketing vincente.

   Lead generation

Questa è una tecnica tradizionale del direct marketing che, secondo me, può essere applicata con grande efficienza in rete.

Si tratta di offrire un servizio che permetta all'utente di informarsi, verificare, scegliere, valutare; e poi segnalare al rivenditore più vicino il suo indirizzo, insieme a tutte le informazioni necessarie per soddisfare nel modo migliore le sue esigenze. (Naturalmente occorre che l'interlocutore sia informato delle nostre intenzioni, per rispetto della cortesia e qualità della relazione prima ancora che delle leggi sulla "tutela dei dati personali").

Non solo questo metodo può semplificare enormemente il processo di vendita, riducendo i costi e migliorando efficienza e servizio; ma può permettere di identificare clienti potenziali di cui non si conosceva l'esistenza e così aumentare il giro d'affari sia dell'impresa, sia dei suoi intermediari.

Naturalmente questo è un metodo particolarmente adatto per prodotti complessi e con un prezzo unitario elevato, o che richiedono installazione o messa a punto da parte del concessionario o rivenditore locale; ma credo che il concetto si possa applicare, con opportuni adattamenti, a parecchi tipi di prodotti e di servizi.

   Gestione di "club"

Anche questa è una tecnica classica del direct marketing, che può essere efficacemente applicata in rete. Si tratta di creare e gestire una comunità di persone o imprese interessate a uno specifico argomento (o acquirenti di un prodotto o servizio) cui offriamo informazioni utili e una serie di vantaggi.

Non c'è lo spazio qui per entrare nei dettagli e nelle tecniche di questi meccanismi, ma il concetto è semplice: costruire e coltivare relazioni con i nostri clienti, o con persone o imprese che possono essere interessate a ciò che offriamo; e coltivarne la "fedeltà" con un sistema di informazioni, servizi e "privilegi" a loro riservati.

Un'organizzazione di questo tipo può essere fatta partendo dalla rete (se gli interlocutori che ci interessano sono collegati e sappiamo come raggiungerli) o partendo da una struttura già esistente o che possiamo far nascere con strumenti esterni alla rete. Non è utopistico pensare che, se si tratta di interlocutori particolarmente interessanti, si possa creare una rete "ad hoc" o regalare la connessione: non sono pochi i casi in cui questo è già stato fatto.

Ci cono anche casi in cui gruppi esistenti (come forum o mailing list) hanno accettato di avere come "sponsor" un'impresa interessata al settore. Come non mi stancherò mai di ripetere, è un problema di gusto e di buone maniere - e soprattutto di consenso. Se un'operazione di questo genere viene fatta in modo invasivo o pesante, riesce solo a uccidere l'area di dialogo che crediamo di aver "comprato" - o a farne uscire gli interlocutori più interessanti. Ma se è fatta con il consenso e la collaborazione di chi gestisce la lista (e di tutti i partecipanti) e poi gestita con civiltà e autentico spirito di servizio, può essere uno dei tanti modi per costruire relazioni, rapporti di fiducia, spazi di dialogo e di azione che crescono e si consolidano nel tempo.

   Ricerche

È abbastanza ovvio che la rete, se usata correttamente, può essere uno strumento per le ricerche di mercato. Naturalmente occorre prudenza nell'impostazione del metodo e nell'interpretazione dei risultati. Ricerche svolte con questionari inviati "via rete" possono essere devianti se non si esercita un controllo rigoroso sulla corrispondenza fra il campione e l'universo di riferimento. Il fatto stesso di rispondere a un questionario può essere deformante: le persone più interessate e attive, o comunque disponibili a rispondere, hanno quasi sempre un comportamento diverso dalla media.

Ma l'invio di questionari per via telematica è solo uno dei tanti modi in cui la rete può essere usata per raccogliere informazioni.

Per esempio si può partecipare a gruppi di discussione (liste, forum, newsgroup) su argomenti vicini al tema che ci interessa. Naturalmente è bene farlo in modo "non intrusivo", cioè non lasciarsi prendere dalla tentazione di farne uno strumento di vendita. Leggere ciò che dicono i nostri clienti, o le persone che vorremmo che lo diventassero, o i nostri concorrenti... può essere molto interessante. Possiamo anche, con i nostri interventi, portare la discussione sui temi che più ci interessano.

Ovviamente non tutti, nella rete come nella vita in generale, sono sinceri, obiettivi e disinteressati. Ma se ogni tentativo sfacciato di "vendere" qualcosa può portare a reazioni anche violente, fare domande e chiedere consigli è cosa di solito ben accettata.

Ricordiamo anche che un comportamento poco e male accettato nella rete, oltre allo spamming, è l'essere off topic, cioè fuori tema. Prima di farsi vivi in un gruppo di discussione è meglio ascoltare attentamente, per capirne il tema, lo spirito, lo stile, le abitudini. Se non le sapremo rispettare rischieremo, prima ancora di una censura del moderatore, la reazione irritata dei partecipanti. Se invece capiremo bene l'ambiente in cui ci muoviamo, saremo molto più facilmente accettati dal gruppo come "uno di noi".

In questo modo possiamo tener d'occhio il mercato, capire le esigenze e la mentalità dei nostri clienti, scoprire in anticipo situazioni di rischio o aperture di nuovi spazi per il nostro sviluppo. Spesso ascoltando attentamente queste discussioni si possono trovare segnali importanti per il miglioramento di prodotti o servizi, o anche per l'ideazione di prodotti nuovi - o di nuovi modi per distribuire e vendere. Sono infiniti i casi in cui la tecnologia esiste, o è facilmente adattabile, ma non si è capito come farla corrispondere a un'esigenza nascente del mercato. Chi sa cogliere in anticipo un'occasione del genere può trovarsi in forte vantaggio sui suoi concorrenti.

Insomma uno dei valori più interessanti della rete è la possibilità di usarla come un elemento integrato nel sistema informativo dell'impresa.

Si possono anche fare area test, o prove di zona. Con la fondamentale differenza che non si è obbligati a delimitare le aree in base a strutture geografiche o politiche. Il territorio è il mondo; le aree possono essere definite per categorie di interesse e di attività e non per luogo di residenza. Le possibilità di sperimentazione sono infinite; e possiamo "tagliarle su misura" secondo le nostre esigenze.




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