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timone1.gif (340 byte) Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 13 - 15 gennaio
1997
1. Editoriale: l'America e lontana
2. Numeri in Europa
3. Povera Italia
4. Nasce un supermarket dei banner?
5. La vanita delle immagini
6. Una nuova rivista
7. Il tarlo del millennio
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1. Editoriale: l'America è lontana
Al di là di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che davvero la rete stia cominciando a entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone negli Stati Uniti (e in pochi altri paesi). L'esperienza americana è quindi un punto di riferimento di cui occorre tener conto; ma, secondo me, con molta cautela.

Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, credo che sia pericoloso e deviante cercare di "copiare" passivamente il loro percorso. Per vari motivi.

  •    Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche enormemente più grande la quantità di denaro che si muove. Che ci piaccia o no, i nodi centrali della rete sono quasi tutti negli Stati Uniti; chi opera nella "periferia" del sistema si muove non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
  •    Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è pratica diffusa l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico" in una situazione come quella è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate. Già vent'anni fa una sola catena di distribuzione, Sears, aveva 60 milioni di carte di credito diffuse in quasi tutte le famiglie americane.
  •    C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso (anche se poco giustificato) timore che qualcuno riesca a intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per quasi tutti.
  •    C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro.
  •    Ci sono fenomeni sociali, come l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, che fanno della posta elettronica uno strumento quasi necessario; e fanno nascere molto più velocemente che da noi una nuova e diffusa cultura della rete.
  •    Infine... in molte attività la situazione italiana pone pastoie burocratiche e normative, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.

Questi sono solo alcuni dei molti motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra; e nulla può farci pensare che le differenze siano superabili in tempi brevi.

Come ho già detto, la nostra arretratezza non è necessariamente un male, dal punto di vista di una singola impresa od organizzazione; perché aprire nuove strade può essere faticoso e impegnativo, ma può dare un rilevante vantaggio concorrenziale.

Credo che le possibilità di successo siano molte, anche per imprese italiane, ma penso che per ottenere buoni risultati l'esplorazione debba seguire tre strade diverse:

  1.    Capire, dal nostro punto di vista, la situazione negli Stati Uniti (come in Canada e in alcuni altri paesi di sviluppo paragonabile) e approfittare delle occasioni che ci offre quel grande mercato. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una "nicchia" o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
  2.    Capire quali possibilità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati" ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
  3.    Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete (ma non per questo "uguali" al mercato americano) fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".

Insomma l'arretratezza italiana, come tutte le cose, può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma non mi stancherò mai di ripetere che la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su fantasia, flessibilità e pazienza: continua esplorazione e verifica.

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2. Numeri in Europa
Fra qualche settimana saranno disponibili i dati su scala mondiale. Vedremo se ci saranno novità. Intanto, può essere interessante osservare i dati di fine anno 1997 su scala europea, secondo il solito hoscount  RIPE.

Numero di host  internet in 18 paesi nell'area Europa-Mediterraneo

Numeri in migliaia. 18 paesi con più di 50.000 host  su un totale di 54 paesi nell'area RIPE (Réseaux IP Européens )

La parte verde delle barre in questo grafico rappresenta l'aumento nella seconda metà del 1997. Vediamo una crescita piuttosto vivace dei paesi più forti, che aumentano le distanze. Due paesi, Germania e Gran Bretagna, hanno superato la soglia del milione di host . Non si nota ancora un effetto degli interventi del governo di Parigi per correggere l'anomalia francese, cioè spostare il traffico dal minitel  all'internet. Debole l'Italia, che è stata di nuovo superata dalla piccola Norvegia. Approfondiremo questo tema poco più avanti.

Vediamo ora, come è ormai consuetudine, l'incidenza pro-capite.

Host  Internet per 1000 abitanti

21 paesi con più di 10.000 host  e densità superiore a 4 - su 54 nell'area RIPE (Europa e Mediterraneo)

La Finlandia mantiene il suo tradizionale primato, i paesi scandinavi riconfermano una densità superiore al resto dell'Europa. La Germania cresce, ma non raggiunge la Gran Bretagna, che rimane al primo posto fra i "grandi paesi" europei. L'Italia non migliora la sua posizione, anzi perde terreno rispetto ad altri paesi; superata dall'Ungheria, dalla Repubblica Ceca e ancora una volta, anche se di poco, dalla Spagna. Fra i paesi dell'Unione Europea siamo al penultimo posto, insieme al Portogallo; dietro di noi c'è solo la Grecia.

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3. Povera Italia
I dati RIPE del dicembre 1997 mostrano una diminuzione del 10 per cento nel numero di host  internet in Italia rispetto al mese precedente, mentre la crescita europea è del 2,5 per cento. Non è il caso di sopravvalutare un'oscillazione che può essere momentanea; ma se osserviamo la tendenza negli ultimi cinque anni vediamo che l'arretratezza italiana rimane grave.

A prima vista, se osserviamo i dati "assoluti", notiamo che anche da noi la rete ha avuto un certo sviluppo, specialmente dal 1995 alla prima metà del 1997.

Host  internet in Italia 1991-1997

La rete si è sviluppata molto, anche in Italia, rispetto a qualche anno fa; ma la crescita è discontinua e sta rallentando. Nella seconda metà del 1997 l'incremento medio mensile è sotto all'1 per cento, mentre per l'Europa è quasi il 4 per cento. Insomma non solo l'Italia non ricupera lo svantaggio, ma sta perdendo terreno. Il fenomeno si nota con evidenza se si osserva la variazione nel tempo delle percentuali di crescita.

Host  internet in Italia: percentuali di crescita trimestrali 1991-1997

Naturalmente nei primi anni le percentuali sono meno significative, perché si riferiscono a cifre piccole. Ma in tutti i periodi si nota un andamento discontinuo. C'è stata una crescita sostenuta nel 1995 dovuta probabilmente alla diffusione della disponibilità di accessi internet - e allo sviluppo di un nuovo fenomeno, la World Wide Web  - ma quella spinta si sta esaurendo. Dall'inizio del 1996 (con l'eccezione di un "balzo" isolato nel gennaio 1997) le percentuali di crescita sono in declino.

Può essere interessante osservare la variazione nel tempo della percentuale di host  italiani rispetto al totale europeo.

Host  internet in Italia: percentuale rispetto all'area RIPE (Europa e Mediterraneo)

L'Italia ha gradualmente guadagnato terreno, dal 2 per cento nel 1990-92 al 3 nel 1993-95 al 4 nel 1996 e al 5 nel 1997, ma con una discesa a poco più del 4 per cento nell'ultimo periodo. Anche se ritornassimo, nei prossimi mesi, al 5 per cento sarebbe una quota molto bassa. Per esempio la Gran Bretagna, con una popolazione poco più numerosa e un reddito quasi uguale al nostro, ha quasi il 18 per cento degli host europei.

C'è un miglioramento rispetto a cinque o sei anni fa, ma non basta. L'Italia ha il 12 % del PIL di tutta l'Europa, il 10 % dei telefoni, il 14 % delle automobili... ma solo il 4 % della rete. Dovremmo almeno triplicare la nostra quota per poter avere un ruolo nella rete paragonabile a quello che abbiamo nella situazione economica generale dell'Europa (e del mondo). Comunque si osservino i dati, l'arretratezza dell'Italia rimane allarmante.

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4. Nasce un supermercato dei banner?
Alcune "voci" che si aggirano nel mercato dicono che nel 1997 in Italia le entrate "pubblicitarie" dei siti in rete (in sostanza, banner ) siano state di circa un miliardo. Altre, che le imprese italiane abbiano investito in questo genere di comunicazione circa due miliardi. Le due ipotesi non sono inconciliabili, perché è facile immaginare che almeno metà della spesa italiana in banner  o cose simili sia andata su siti stranieri: per esempio sui grandi "motori di ricerca" americani.

Si tratta di cifre molto piccole. Un miliardo si trasforma in poco quando suddiviso fra molte centinaia di "pretendenti". Soprattutto, è un decimo dell'uno per mille degli investimenti pubblicitari in Italia.

Le stesse "voci" dicono che ci sarà un brusco aumento nel 1998: la cifra salirà a 10 o 20 miliardi. Sempre pochissimi, rispetto agli investimenti pubblicitari nei mezzi tradizionali; ma molti rispetto alla realtà ancora piccola della rete in Italia. È possibile un tale cambiamento? Forse si. Ma il modo in cui potrebbe succedere è piuttosto bizzarro.

È ragionevole pensare che alcuni grandi quotidiani, che stanno investendo nelle loro edizioni in rete, abbiano chiesto alle concessionarie (le organizzazioni che vendono spazi pubblicitari) di raccogliere un po' di denaro per sostenere il loro impegno. Fin qui, non è una cattiva idea: quelle iniziative meritano di essere sviluppate, e quindi sostenute anche da un punto di vista economico. Ma lo scenario è curioso...

Immaginiamo il venditore di una di queste concessionarie che visita un cliente. Una grande azienda, un'agenzia di pubblicità o una delle grandi "centrali" di acquisto. Negozia un contratto per centinaia di milioni, se non miliardi. Alla fine dice "dunque, ci sarebbe anche l'internet..." e naturalmente presenta la rete come se fosse un qualsiasi altro mezzo. Armato di un po' di documentazione, propone un numero abbastanza irreale di "utenti" (come se fossero un "mercato" raggiungibile "in massa") e fa notare le loro caratteristiche: livello socioculturale e reddito elevato, persone attive e moderne, eccetera eccetera.

I due interlocutori ragionano secondo le logiche dei mezzi tradizionali. Nessuno dei due ha il tempo o la voglia di approfondire. La cifra in gioco è molto piccola rispetto al contratto che si sta discutendo. Il venditore può anche "regalare" un po' di banner per "mettere una ciliegina sulla torta" (questa non è un'ipotesi, so che è già accaduto). Alla fine qualcosa (più o meno l'uno per mille del contratto medio) viene comprato.

Qualche giorno più tardi, qualcuno (probabilmente product manager  di un'azienda e l'account executive  di un'agenzia di pubblicità) si trova con qualche briciola investita in questa nuova e sconosciuta cosa. Nessuno ha il tempo o la voglia di approfondirla. La faccenda passa di mano in mano, un po' distrattamente; finisce sul tavolo di qualche assistente, che cerca di liberarsene con il minor impegno possibile. Una pioggia di banner  messi insieme più o meno a casaccio si abbatte sulla rete.

Alla fine, gli apologeti grideranno esultanti: "decuplicati gli investimenti in pubblicità su Internet in Italia". Pochi, probabilmente, andranno a vedere di che cosa si tratta davvero. Così si sarà innestato un nuovo giro del circolo vizioso che porta verso la delusione e la mancanza di approfondimento.

Ho detto molte volte che non credo nelle previsioni, specialmente in un territorio nuovo e mutevole come questo. Quindi non sto azzardando alcuna "profezia". Staremo a vedere che cosa succederà. Ma quello che ho descritto mi sembra uno scenario probabile.

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5. La vanità delle "immagini"
Un interessante articolo di Gerry McGovern pubblicato il 6 gennaio nel rapporto Year in Review di NUA è intitolato Don't Believe the Image Makers  (non credete ai "fabbricanti di immagini"). È breve e chiaro; eccolo quasi per intero:

Le cose che ho trovato utili nell'internet nel 1997 sono le stesse che mi erano utili nel 1996, 1995 e 1994. Comunicare con la posta elettronica. Trovare e fornire informazioni valide. Cose semplici. L'unica differenza fra il 1997 e gli anni precedenti è che ho comunicato con più persone e ho trovato più informazioni. 

No, non ho guardato fantastiche animazioni. Mi sono stancato presto del push. Non ho usato videoconferenze. Non ho organizzato incontri interattivi con l'Internet (sarebbe una buona idea, se riuscissi a far funzionare il software). Non ho parlato per telefono via rete. Non ho usato Java o ActiveX. Ho fatto cose semplici nel 1997 e farò lo stesso nel 1998. 

Gli  image maker si affollano alla mia porta, spingono, insistono, dicono che se ho il tempo di aspettare mi mostreranno tante cose. Vogliono farmi annoiare dell'e-mail. Non dovremmo essere la Generazione degli Annoiati, che cercano sempre qualcosa di nuovo perché in un quarto d'ora si stufano di quello che hanno? 

Gli  image maker sbagliano. Non capiscono l'internet. Non capiscono che non è una cosa di immagine, è una cosa di comunicazione e informazione. 

L'internet ha continuato la sua crescita nel 1997 perché continua a fare bene cose semplici. La posta elettronica funziona (non sempre... ma insomma funziona). I siti web cominciano a ridurre la grafica e a investire in una migliore organizzazione delle informazioni. Le risorse dei buoni siti oggi sono la qualità dei contenuti e la struttura di ricerca.  

Si comincia a incoraggiare l'ìnterattività fra un'impresa e i suoi clienti. Si comincia a fare davvero commercio elettronico. Gli scambi fra imprese ( business-to-business) stanno crescendo. Cose semplici. Ma spesso le cose semplici sono le migliori. 

Non ho nulla da aggiungere, se non che in Italia siamo più indietro; le tendenze che questo articolo descrive sono meno sviluppate. Ma la strada è quella, anche per noi. Se seguiremo la direzione giusta, sarà meno difficile ricuperare il terreno perduto.

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6. Una nuova rivista
Il 9 gennaio è uscito il primo numero di un nuovo mensile, Web Marketing Tools. Devo ammettere che non sono del tutto obiettivo, perché hanno avuto la cortesia di chiedermi una collaborazione, che comincerà dal numero di febbraio. Ma credo che sia un'iniziativa interessante.

Mi hanno spiegato il loro progetto; mi sembra bene impostato. Tre punti fondamentali sono a loro favore:

  •    Ci sono dozzine di riviste che parlano di informatica o di rete, ma nessuna finora che si concentri sul marketing. Questa è la prima nel suo genere.
  •    La loro ottica non si limita alla definizione riduttiva (se non del tutto sbagliata) di "commercio elettronico", ma affronta con una visione più ampia, e più approfondita, i vari aspetti del marketing in rete.
  •    Non seguono la prospettiva tradizionale del marketing e della comunicazione "a senso unico" (come troppi ancora fanno, anche quando in teoria dicono il contrario) ma ragionano su una reale interattività.

Saranno i contenuti, nei prossimi mesi, a dirci se e come questa nuova iniziativa editoriale raggiungerà i suoi obiettivi e saprà dare un contributo valido e concreto alla cultura del marketing in rete. Ma credo che meriti di essere seguita con interesse fin dall'inizio.

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7. Il tarlo del millennio
Il cosiddetto millennium bug non riguarda previsioni apocalittiche o speranze "millenaristiche" ma un problema, apparentemente banale, nella gestione delle date da parte dei sistemi elettronici.

Il tema è molto discusso, con opinioni diverse fra chi lo considera un dettaglio irrilevante e chi pensa che ci siano davvero rischi gravi. Sembra che non ci siano problemi per quanto riguarda i personal computer  e i software che abitualmente usiamo. Ma alcuni grandi sistemi potrebbero andare in crisi; e le conseguenze ricadrebbero non solo su chi usa un computer, ma su qualsiasi persona che dipenda, per qualsiasi motivo, da qualcosa che viene gestito da un apparato elettronico pubblico o privato. In pratica, tutti.

L'origine del problema sta nel fatto che negli anni sessanta, quando i sistemi di conservazione dei dati erano molto meno potenti e molto più costosi di oggi, si considerava rilevante l'economia di memoria ottenuta con l'uso di numeri a due cifre invece di quattro. Ne risultano programmi, ancora in uso, che non sono in grado di gestire date oltre il 31 dicembre '99. Che un problema così ovvio sia rimasto ignorato per più di trent'anni, e che solo oggi si tenti di risolverlo, è un'ennesima dimostrazione dell'infinita potenza della stupidità umana.

Non è facile capire quanti e quali sistemi possano andare in crisi. Ma il problema esiste, e se ne sono già sentite le prime conseguenze. Per esempio migliaia di carte di credito sono risultate inutilizzabili perché alcuni sistemi di controllo non riescono a decifrare le date di scadenza se vanno oltre l'anno 1999.

Questa bizzarra situazione può creare anche problemi legali. In un articolo di Daniel R. Mummery e Thomas A. Unger pubblicato dal National Law Journal  il 3 novembre 1997 si mettono in evidenza i complessi fattori giuridici per cui un'inefficienza del sistema di elaborazione può tradursi in responsabilità per inadempimento o informazione non corretta. Non è questa la sede per approfondire un argomento così complicato e non credo che ci siano motivi di esagerato allarme; ma penso che per molte imprese e organizzazioni sia opportuno assicurarsi che non ci siano inconvenienti tecnici le cui conseguenze potrebbero essere imprevedibili. Evitando però di cadere in braccio a qualche spacciatore di panacee, perché (come fanno notare anche Mummery e Unger) può succedere che il rattoppo sia peggio del buco.




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