Ingormazione

Giancarlo Livraghi – agosto 2012

con un supplemento ottobre 2012

 
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Questo giochino ortografico può sembrare un po’ sciocco e banale, ma l’argomento è serio. Non ho intenzione di inventare un bizzarro neologismo. Ma da quando, qualche mese fa, mi capitò di scrivere questo refuso (subito corretto) mi è rimasto in mente che forse può essere utile definire con una sola, ironica parola un problema grave – che sta andando di male in peggio.

In inglese la parola gergale gorm (o gormless) vuol dire stupido. E nella “cosiddetta informazione” la stupidità imperversa. Quella di chi parla o scrive – ma anche quella che, con balorda arroganza, si attribuisce a chi ascolta o legge. In una perversa spirale di reciproco intontimento, come ho spiegato in Il circolo vizioso della stupidità).

È un refuso che può accadere spesso, perché “F” e “G” sono vicine nella tastiera. Ma è meno facile capire perché siano tanti i casi in cui l’errore non è corretto. Con un po’ di ricerca in rete si scopre un fatto curioso: compare in molti testi “ingormazione” in italiano, “ingormation” in inglese e francese, “ingormación” in spagnolo – e così anche in altre lingue. Fra le cose più bizzarre c’è un domain “ingormation.com” registrato nel 2011 da qualcuno in Australia che sta cercando, inutilmente, di venderlo. Non si trova alcun esempio di uso intenzionale: sono tutti (e tanti) refusi che, a quanto pare, nessuno si è preoccupato di correggere.
(Una conseguenza della crescente incuria con cui si pubblicano libri e giornali è l’abbondanza di refusi – e ogni sorta di altri errori – anche nella carta stampata).

Comunque... la parola ha “un suono giusto”,
se pensiamo che ing stia per “inganno” (o “ingorgo”).

Si può supporre che l’ingormazione sia intenzionale deformazione, inganno e imbroglio. In parte, lo è. Anche dove è reale la libertà di informazione e di opinione, c’è chi ha le leve per poter influire su quali (plausibili o presunte) “notizie” sono diffuse – e anche quando, come e perché. Troppo spesso non è neppure molto chiaro chi tira i fili, né quali spettacoli (e con quali intenzioni) siano in scena nei mescolati e sovrapposti teatri delle marionette.

È tristemente reale anche un fenomeno chiamato tittytainment, cioè sistematico intontimento . Così lo spiega, nel suo Panfleto contra la estupidez contemporánea, Gabriel Sala. «Una mescolanza di “intrattenimento” mediocre e volgare, spazzatura intellettuale, propaganda, elementi psicologici e fisicamente nutritivi con il fine di soddisfare l’essere umano e mantenerlo convenientemente sedato, perennemente ansioso, sottomesso e servile ai dettami dell’oligarchia che decide il suo destino senza permettergli alcuna opinione sull’argomento>.

E definisce così il suo effetto. «L’entetanimiento è il migliore fornitore di alibi che sia mai esistito, il prisma attraverso il quale possiamo osservare il mondo senza sentirci colpevoli e senza vederci obbligati ad assumere la responsabilità delle nostre azioni>.

Così scriveva Gabriel Sala nel 2007. Ma proprio in quel momento l’ingormazione stava cominciando a trovare un nuovo e diverso percorso.

Rimangono diffuse le superficialità, i pettegolezzi, le insulse divagazioni. Ma sempre più incombenti diventano l’angoscia, la paura, la depressione, con l’oscura e misteriosa minaccia della “crisi economica”.

In ogni epoca della storia umana la paura è sempre stata un’arma perversa del più sordido potere. Ancora lo è nelle (troppe) culture in cui non c’è libertà e sono scarse le risorse di comunicazione. Ma la estupidez contemporánea ha caratteristiche diverse, mai prima sperimentate, proprio per l’abbondanza di strumenti e canali con cui si diffonde e si moltiplica l’ingormazione.

Così rischiamo di diventare tutti, involontariamente, propalatori di ingormazione. Anche le critiche e le proteste sono spesso confuse, disorientate, sprofondate nelle stesse sabbie mobili in cui si dibattono le opinioni e i comportamenti cui tentano di opporsi.

Mentre è evidente che molti, in vari modi capaci di influire, approfittano della confusione, non c’è alcun motivo di pensare che ci sia un “occulto regista” capace di organizzare tutta l’ingormazione su scala mondiale. Possono esserci diverse origini, ma nessuno ha il controllo di “tutto”.

Nel caso della cosiddetta “crisi economica” un fatto evidente (quanto balordamente trascurato) è che a condurre il gioco è la speculazione finanziaria. Ma il suo ingordo obiettivo è uno solo: guadagnare soldi e nasconderli lontano dai rischi e dagli impegni dell’economia reale.

I disastri umani, civili e sociali che ne derivano sono “effetti collaterali”, irrilevanti per una spietata cricca di maniaci deformati da una precisamente diagnosticata patologia. Sono «psicopatici afflitti da una condizione biochimica che li rende incapaci di avere una normale empatia umana>. Come è spiegato in un “supplemento” del novembre 2011 a “C’era una volta il mercato.

Insomma si tratta soprattutto di una estesa e crescente manifestazione del potere della stupidità e della stupidità del potere. Una situazione in cui anche gli ingormatori sono ingormati. E anche i governi di tutto il mondo e ogni sorta di “autorità” nazionali e internazionali che “dovrebbero” risanare il sistema ma sembrano, almeno finora, del tutto incapaci di farlo.

Si tratta di malvagia complicità? Forse, in parte. Ma è soprattutto ingiustificabile ignoranza o superficiale disattenzione alla realtà dei fatti, che è molto meno complicata (e molto più corrotta) di come la descrivono.

Non intendo ripetere qui ciò che ho già scritto (alla fine c’è un elenco di testi, per chi non li ha già letti). Ma ci sono alcune cose da aggiungere.

Lo stato generale dell’ingormazione, in Italia e su scala mondiale, resta sostanzialmente lo stesso. Ma nulla rimane mai “del tutto uguale”. Ci sono alcune evoluzioni, che forse non sono irrilevanti.

Continua la confusione sul tema ossessivo della “crisi”. Ora accade che, talvolta, la litania funebre del catastrofismo sia interrotta da valutazioni più positive. Ma sempre, ostinatamente, nel quadro demenziale dominato dai capricci finanziari.

Sembrava che la “crisi economica” fosse solo un problema europeo. Con i soliti uccelli del malaugurio dedicati a pronosticare “il declino della vecchia Europa”. Come hanno fatto varie volte in decenni passati, poi sempre smentiti dai fatti. Che cosa succederà questa volta, è impossibile prevedere. Ma comunque nessuno, né in Europa né altrove, può illudersi di poter ragionare in base a un perverso, quanto stupido, mors tua vita mea.

Non siamo “tutti nella stessa barca”, ma abbiamo abbondanti prove del fatto che i problemi (o i progressi) in paesi vicini o remoti si riflettono sempre più fortemente (anche se non sempre direttamente) su scala mondiale.

Intanto è chiaro che la “crisi” non è “europea”. Ha molti perversi effetti anche nel resto del mondo – comprese le cosiddette “economie emergenti” che ora si scoprono in difficoltà (non solo perché sono contagiate e danneggiate, anche loro, dalla speculazione finanziaria, ma soprattutto per croniche debolezze strutturali che non hanno neppure cominciato a risolvere).

L’ingormazione (non solo in Europa) saltella in una folle danza macabra fra profezie e smentite di “morte della moneta unica”. Che succeda davvero, non sembra probabile. Intanto anche i più abituali “euroscettici” hanno capito che, se così fosse, sarebbe un disastro per tutti (anche per l’arrogante, ma non immune, Germania – e per tutte le economie di tutto il pianeta).

Speriamo che si arrivi presto a un chiarimento. Intanto gli ingormatori potrebbero risparmiarci (o almeno contenere in dimensioni meno esagerate) le quotidiane ripetizioni delle stesse irrilevanti dichiarazioni o ipotesi che tolgono tempo e spazio a notizie o approfondimenti più interessanti.

È comprensibile che molte persone siano prese da strani dubbi. Hanno ovviamente il sovrano diritto di essere distratte (soprattutto quando si tratta, come in questo caso, di complicazioni indecifrabili). Ma la triste e pericolosa conseguenza è che possono cominciare a chiedersi se, vista l’apparente ingestibilità dell’euro, sia desiderabile ritornare alla lira (o addirittura uscire dall’Europa). Sarebbe un disastro. Ma nessuno sta spiegando con sufficiente chiarezza i motivi per cui è meglio restare nell’Unione e nella sua moneta.

Un pessimo “effetto collaterale” dell’ingormazione è che i più squallidi e irresponsabili movimenti (pseudo) politici approfittano dei falsi problemi per “farne una bandiera”, nel tentativo di carpire i voti di elettori incerti e confusi. E ad abundantiam gli ingormatori diffondono le loro panzane, aumentando l’inquinamento di un sistema politico e culturale già affitto da una pericolosa carenza di idee chiare e di programmi ragionevoli.

Continua la dissennata altalena dei cosiddetti “mercati finanziari”. Le incoerenze sono così vistose che comincia ad affacciarsi, anche nella ingormazione dominante, qualche dubbio sulla natura di quelle frenetiche oscillazioni. Ma quando verrà il giorno in cui si agirà per eliminarle?

Il quadro politico (in particolare, ma non solo, in Italia) è spesso vittima dell’ingormazione. È molto scarsa l’attenzione ai problemi più rilevanti e ai metodi per risolverli. Cioè ai programmi e alle concrete intenzioni di chi (non si sa quando) chiederà di essere eletto. Imperversano cicalecci, “sentito dire”, fantasie, pettegolezzi, insinuazioni, opinioni o intenzioni attribuite all’uno o all’altro e spesso smentite dopo poche ore (talvolta pochi minuti).

Che tutte queste chiacchiere siano vere o false, opportunistiche o sincere, “sfuggite”, “carpite” o inventate... il risultato è sempre lo stesso. L’aumento della confusione e il crollo della (già scarsa) fiducia dei cittadini nei politici.

A tutto vantaggio dei disonesti e dei fanfaroni (“tanto sono tutti uguali”). Anche così, l’ingormazione è un aiuto agli avventurieri e ai disorientanti “protestatari” a vanvera sulle cui reali intenzioni è meglio avere molti dubbi.

Questi avvilimenti della politica ci sono sempre stati, in Italia come in ogni altra democrazia. Ma con l’esorbitante allagamento dell’ingormazione (e con la fabbrica di paure e distorsoni che è la cosiddetta “crisi economica”) in questo periodo stanno crescendo in modo sempre più stupido e deviante.

Un altro fenomeno, che continua a ripetersi, è l’improvvisa attenzione a una “notizia” che imperversa per un giorno o due, poi è del tutto dimenticata. Scompare prima che sia stato possibile capire se avesse un significato degno di maggiore attenzione. La mania dello scoop, cioè di trovare velocemente una “notizia”, anche a rischio di dover poi scoprire che è falsa o sbagliata, si riflette nell’abitudine di trascurare approfondimenti di cose interessanti per correre alla ricerca della prossima irrilevante panzana.

Un esempio che riguarda direttamente il dibattuto problema della “crisi economica” è la notizia di un’analisi sui “paradisi fiscali”, diffusa il 22 luglio 2012 – e poi più nulla. (Vedi “Inferni e paradisi).

Che sia un fenomeno “scandaloso” non è una scoperta – è cosa nota da molto tempo. Ma c’è davvero una novità importante. Per la prima volta, una metodica valutazione della quantità di denaro occultato. Si tratta di numeri enormi. Decine di migliaia di miliardi di dollari.

Un recupero delle evasioni fiscali (e, in non pochi casi, dell’intero importo, perché ovviamente molti di quei soldi appartengono al crimine organizzato, a bande terroristiche o a varie altre specie di abusi e illegalità) potrebbe essere usato per invertire il percorso della “crisi economica”.

Ma finora non risulta che alcun governo, né autorità economica, stia facendo qualcosa per riportare alla luce quell’immenso patrimonio nascosto.

Ci sono complicità? È possibile. Ma non è credibile che tutti i poteri e tutti i potenti del mondo siano compromessi nei giochi della finanza.

Il successo di “passare alla storia” come l’eroe geniale che ha scoperchiato i nascondigli, recuperato migliaia di miliardi e salvato l’economia mondiale deve avere, per qualcuno dei protagonisti, molto più valore di un escamotage fiscale. Che (per quanto ci è dato sapere) nessuno finora abbia deciso di fare qualcosa può essere solo un problema di (imperdonabile) distrazione.

O forse agenti segreti, insieme a intrusori informatici, stanno silenziosamente lavorando per trovare le “mappe del tesoro” e aprire i forzieri nascosti? Se così fosse, sarebbe importante che, a risultati ottenuti, l’esito fosse pubblicamente noto – e si sapesse anche come sarebbero usate le immense risorse ritrovate.

È altrettanto improbabile che tutta l’ingormazione sia dovuta a sotterfugi e corruzione. È purtroppo vero che ci sono giornalisti “comprati” (molti più dei pochi casi di cui si ha pubblica notizia) e varie altre forme di influenza, “pressione” e condizionamento. Ma l’ingormazione è enormemente più estesa, molto oltre i limiti della distorsione intenzionale. Nutrita dalla superficialità, dalla fretta, dall’approssimazione, dall’ignoranza e dalla stupidità.

L’ingormazione è una malattia contagiosa. La confusione che genera confonde e travolge anche chi ne è immune. L’informazione corretta, seria e attendibile, che c’è, rischia di essere trascurata – o mal capita – per l’inquinante contiguità con la comunicazione infetta.

Insomma l’ingormazione sta provocando un’infinità di pericolosi guasti. Con la “crisi” è di moda pensare soprattutto ai soldi. Se – anche su questo argomento – ci fossero informazioni meno confuse, ci aiuterebbero a capire quanti, quali, come e perché ne perdiamo e rischiamo di perdere. Potremmo ridurre questi, come tanti altri, danni se fossimo un po’ meglio informati.

Comunque le tre risorse per non essere travolti dall’ingormazione sono quelle che stanno sempre alla base della conoscenza. Saper ascoltare. Un’attenta, ostinata coltivazione del dubbio. E un’insaziabile curiosità.



Sette articoli su argomenti “connessi”
(oltre ai tre indicati nel testo)

La crisi dell’informazione – ottobre 2011

Prostituzione. Che cosa vuol dire? – novembre 2011

L’arte perversa del piagnisteo – dicembre 2011

Stupiodocrazia – gennaio 2012

Stupidità e perversità dell’informazione – giugno 2012

La vacuità della notorietà – giugno 2012

I danni mostruosi della burocrazia – luglio 2012



Post scriptum
Non tutto è ingormazione
(ma anche la migliore informazione è spesso inquinata)

Nei parecchi testi che ho scritto, nel corso degli anni, su questo argomento c’è abitualmente una “doverosa premessa” – di sincero rispetto e stima per i giornalisti che fanno bene il loro indispensabile lavoro e per tutte le persone che in tanti modi contribuiscono a darci notizie rilevanti, approfondimenti utili e stimoli per pensare. Senza mai pretendere di essere infallibili. Quando sono davvero bravi, sono sempre disposti a rivedere, correggere, ripensare.

Ripeto qui quel fondamentale concetto, non solo perché sarebbe ingiusto disconoscere il valore dell’informazione corretta e interessante, ma anche perché una sfiducia preconcetta e generalizzata (di cui ci sono sintomi sgradevolmente diffusi) non è meno inquinante di un’ingenua credulità.

Ma l’ingorgo in cui tutto si mescola è sconcertante. Succede quasi sempre che anche l’informazione più seria sia inquinata da errori, approssimazioni, ambiguità e distorsioni. Perché la fretta induce alla superficialità. Perché le divagazioni oscurano la sostanza. Perché se qualcuno si esprime in modo chiaro e preciso, qualcun altro si sente in dovere di fare confusione. Perché si insinua dovunque il potere della stupidità.

Accade anche (ma è molto meno frequente) che brandelli di buon senso siano nascosti nelle pieghe dell’ingormazione. Una mente addestrata può riuscire a coglierne qualcuno. Ma non è facile “separare il grano dal loglio”.

Cito solo, brevemente, sei esempi – fra tanti che riflettono, in modi diversi, lo stesso problema. Non perché siano necessariamente i più rilevanti. Ma perché spero che siano sufficienti per dare un’idea di quanto possono variare e moltiplicarsi le forme e i modi dell’ingormazione.


La velocità dei neutrini

La vicenda, ormai, è dimenticata. È durata cinque mesi, dal settembre 2011 al febbraio 2012 (il tempo necessario per verificare il significato di un esperimento). È un vistoso esempio di come una “bolla” di ingormazione possa gonfiarsi fino a dimensioni, non solo metaforicamente, astronomiche.

Con (oltre a qualche gaffe ministeriale) titoli sensazionali, quanto idioti, sulla “sconfitta di Einstein” (che sarebbe stato felice se una nuova scoperta gli avesse dato la possibilità di riesaminare le sue teorie).

Nessuno aveva affermato che ci fosse una prova verificata di neutrini “più veloci della luce”. Era chiaro fin dall’inizio che occorrevano metodici controlli prima di poter trarre qualsiasi deduzione dalle misure dei dati. Ma la mania dello scoop aveva partorito uno dei suoi balordi mostriciattoli.

Quanti altri ci saranno somministrati prima di scoprirne la falsità? Quanti (e quali) stanno circolando, che nessuno ancora si è preoccupato di controllare? Al contrario, quanti sviluppi veri di conoscenza ci sono ignoti, o inadeguatamente spiegati, per banale distrazione o perché la cultura dominante ne è disturbata – come accadeva con la dottrina ecclesiastica ai tempi di Copernico e Galileo e con la “scienza ufficiale” ai tempi di Darwin?

La “divulgazione” è un’opera culturale importante. Ma è un mestiere difficile. Sono pochi (quanto preziosi) i testi ben fatti, chiari e facilmente leggibili nella forma, scientificamente corretti nella sostanza. Proliferano, invece, le opere astruse e di difficile lettura (se non del tutto incomprensibili) e le “semplificazioni” grossolane, superficiali, confuse, spesso sbagliate. Sono ancora peggio le cronache abborracciate nella ricerca di “sensazionalismo”, che sono una fabbrica continua di pestifera ingormazione.


Il bosone di Higgs

È comparso e svanito nelle cronache, un mese fa, come una meteora – fugace, effimera e incomprensibile. Nessuno (se non, forse, alcuni studiosi di fisica quantistica) sa che cosa sia. Grottescamente chiamato “la particella di dio”, sciocchezza repellente per gli astrofisici quanto per i teologi.

Sono passati 48 anni da quando Peter Higgs e altri svilupparono l’ipotesi che “ci dovesse essere” qualcosa che giustificasse un modo di interpretare l’universo. Ora sembra che si sia trovata la conferma sperimentale. Nessuno può sapere quanti anni o decenni occorreranno per capire se e come (anche alla luce di altre esplorazioni e scoperte) si potranno evolvere gli studi scientifici – e quali utili conoscenze (o ulteriori ipotesi) se ne potranno dedurre.

Intanto le acrobazie pittoresche e le fantasie “sensazionali” non meritano neppure il nome di “fantascienza”. Sono soltanto favole – non più attendibili, né interessanti, di quelle tradizionali. Con la fondamentale differenza che le fiabe (spesso con “morali” ancora valide al giorno d’oggi) sono sempre state concepite e capite come narrazioni immaginarie, mentre le rutilanti fantasie pseudoscientifiche tentano di indossare una ingannevole maschera di “verità”.


La sonda Curiosity

Una notizia davvero importante. Un’informazione di base chiara e precisa, ragionevole e comprensibile. Perché la fonte è la NASA – che sa che cosa sta facendo e ha avuto anni di tempo per prepararsi a gestire la comunicazione.

curiosity

C’è stata qualche “coloritura” non necessaria, ma nei limiti della tollerabilità, come il sensazionalismo di “sette minuti di ansia” al momento dell’arrivo.

Qualche divagazione insensata, come la preoccupazione di non poterlo chiamare “ammartaggio” (qualcuno aveva detto “allunaggio” ai tempi dello sbarco sulla luna). Neologismi balordi e inutili, perché va bene “atterraggio”, visto che “terra” non è solo il nome del nostro pianeta.

(In inglese, fra parentesi, il problema non esiste, perché land è una parola diversa da earth e perciò non c’è dubbio che si tratti di landing).

Ma questi (e altri “non nocivi”) sono difetti “veniali”, perdonabili, perché nulla tolgono alla sostanziale attendibilità dell’informazione. Perciò abbiamo un esempio nitido e pulito, libero da pasticci e distorsioni? Non del tutto.

Questa volta non cito i nomi di testate e di autori, perché sarebbe ingiusto e improprio “puntare il dito” su due o tre mentre di svariate corbellerie sono responsabili anche tanti altri.

In un articolo con poco giustificate pretese di “autorevolezza”, nel definire “la chimica della vita” il carbonio è chiamato “carbone” e l’azoto “nitrogeno” (non esiste, in italiano, un elemento chiamato abitualmente così).

Errori come questo possono sembrare dettagli irrilevanti, ma non lo sono. Un lettore che si fidasse di quelle baggianate si farebbe idee molto confuse sulla biologia e sull’atmosfera (anche terrestre). E fra i compiti di questa sonda non c’è la ricerca di combustibili fossili. Comunque, a chi e perché può venire in mente di far scrivere un articolo a una persona così incompetente?

Abbondano le esagerazioni e i malintesi a proposito della “vita su Marte”. È scientificamente molto importante cercare di scoprire se ci sono “residui biologici”, anche di un remoto passato, in un ecosistema diverso da quello in cui viviamo. Ma le enfasi “pittoresche” sembrano voler farci immaginare che si possano trovare “marziani” nascosti in qualche caverna sotterranea. Allo stato attuale delle conoscenze, questa è solo romanzesca fantasia.

Non vedo commenti sul nome, che invece merita di essere apprezzato. Curiosity ha un significato di grande e intelligente valore filosofico. La curiosità è il motore della conoscenza. Se l’umanità rinunciasse al desiderio di esplorare e scoprire si perderebbe una qualità essenziale nella sua natura.


La guerra civile in Siria

Anche su questa orribile tragedia sembra che ci sia informazione seria e corretta. In buona parte, lo è davvero. Se le notizie sono incerte e confuse è perché così è la situazione (ed è difficile capire che cosa stia succedendo).

Per molti, troppi mesi se ne è parlato poco. Ora c’è maggiore attenzione. Anche per i contrasti su scala mondiale. L’impotenza dell’ONU per i perversi “veto” della Russia e della Cina. L’altrettanto bieco sostegno del governo iraniano al dittatore massacratore. Le “prese di posizione” dei paesi arabi in favore degli insorti. La debolezza della comunità internazionale, che protesta, ma non sa come agire. Tutte cose di cui è giusto essere informati.

Ma ci sono carenze. Solo dopo l’ennesima fuga all’estero di un “ministro” siriano, il 6 agosto 2012, qualcuno finalmente ci offre una descrizione dei tortuosi e grotteschi meccanismi che hanno portato al potere in Siria una miseranda cricca di imbecilli – e i motivi per cui quel branco di sciagurati si ostina in un demenziale accanimento di repressione.

Bene, grazie, “meglio tardi che mai”. Ma perché così tardi? Il mostruoso conflitto dura da un anno e mezzo, si accumulano le ipocrisie dei complici del regime che dicono di “unirsi agli insorti” mentre stanno solo scappando per evitare di lasciarci la pelle, si stima che ci siano stati ventimila morti e il massacro continua. Si moltiplicano le congetture, rimangono scarsi i tentativi di capire le origini e i motivi della grottesca tragedia.

Intanto la distratta ingormazione trascura altre gravi e disperate situazioni. Per esempio (ma non solo) in Africa. Dai casi in cui si continua a uccidere e a morire (come in Sudan, dove la scissione non ha risolto i conflitti) a quelli in cui ci sono, sia pure modesti, sintomi di miglioramento.

Tutto il sistema è afflitto da una perniciosa miopia – oltre all’inguaribile, quanto squallida, abitudine di dare troppo spazio (o troppo tempo) a quelle che Totò chiamava “bazzecole, quisquilie e pinzillacchere”.


Il blackout in India (e altre vicende)

Un sintomo vistoso del provincialismo nell’ingormazione italiana è la scarsa attenzione dedicata a ciò che accade in giro per il mondo. Compresi “i tre più grandi” paesi del pianeta (due per popolazione, uno per territorio). La Cina, l’India e la Russia.

È diffuso il concetto che “l’interesse diminuisce con il crescere della distanza”. Ma è una banale e sciocca scusa per chi non è capace, o non ha voglia, di guardare oltre la punta del suo naso. È compito di un bravo giornalista (e del direttore che orienta le scelte di una testata) rendere interessante qualcosa di significativo in Chissadovelandia invece di dedicare eccessivo spazio a un cetriolo gigante a Burlimpopoli.

Della complessa situazione politica, economica, sociale in Cina sappiamo enormemente meno che delle medaglie vinte alle Olimpiadi. L’ingormazione ci affligge con inutili, eccessivi dettagli nel “racconto poliziesco” della moglie di un mandarino accusata di omicidio – oltre a vari pettegolezzi di corte. Mentre trascura le profonde difficoltà e i crescenti conflitti nella turbolenta transizione da un’economia (e cultura) contadina a realtà urbane, industriali, tecniche, gestite da un imperioso (imperiale) capitalismo selvaggio e corrotto.

È vero che qualcosa sappiamo (ma troppo poco) del faticoso conflitto in Russia fra un crescente, ma ancora debole, desiderio di democrazia e il tracotante dominio di una sfacciata e corrotta oligarchia. L’ingormazione, intanto, si gingilla esageratamente con l’arrabbiatura delle “autorità” per la citazione, in un concerto di una declinante “rock star” americana, di un gruppetto che si chiama Pussy Riot e osa scherzare sui guasti del regime.

(Comunque, è un esempio di stupidità del potere, perché perseguitando due o tre ragazzine canterine, un po’ sfacciate e birbantelle, gli autocrati russi si rendono goffamente ridicoli agli occhi del mondo).

Quanto all’India... è corretto e ragionevole che abbia fatto il giro del mondo la notizia di un enorme blackout che per due giorni, 30 e 31 luglio 2012, ha lasciato privi di corrente elettrica (compresi i trasporti e altri servizi pubblici) seicento milioni di persone. Ma c’è una desolante, imperdonabile scarsità di informazioni e commenti sulle cause del problema.

Il male è cronico. Sono occasionali, sporadiche, superficiali le notizie, rarissimi gli approfondimenti, su ciò che accade in quella che è chiamata (ed è davvero) “la più grande democrazia del mondo”. Perfino in questo caso, prevale il pettegolezzo.

L’ingormazione si sente in dovere di sproloquiare sulle vicende sentimentali di una “diva” di Bollywood, mentre trascura di spiegarci perché lo sviluppo dell’economia (e della società) indiana è molto più lento, frammentario, confuso di come potrebbe (o dovrebbe) essere.

In India ci sono, da millenni, le radici di una ricca e illuminante cultura. Insieme a raffinate e fertili capacità artigianali, cui si aggiungono risorse moderne, come una diffusa conoscenza dell’inglese e fortemente evolute competenze tecnologiche (non solo a Bangalore). Ma c’è un enorme freno nella colossale inefficienza (e corruzione) degli apparati burocratici.

Come la Cina, anche l’India fatica a evolversi da un’economia (e cultura) prevalentemente agricola a una nuova realtà industriale e tecnologica. Al contrario della Cina, non è condizionata da una storica “centralizzazione”. Invece è una repubblica federale in cui le profonde differenze e i frequenti conflitti fra i diversi stati ostacolano il ruolo necessario del governo centrale.

È sciocco pensare che siano, per noi, problemi “lontani”. Le nostre culture si incrociavano e si influenzavano a vicenda anche cinquemila anni fa (e tutte le lingue europee “discendono” dal sanscrito). Anche senza esagerare con i miti della “globalizzazione”, possiamo imparare molto dall’India. E viceversa.


La “crisi economica”

È il più ingombrante, deprimente, ossessivo fenomeno di ingormazione in questi anni. Ai danni reali, che purtroppo ci sono, si aggiungono il disagio, la sofferenza mentale, il disorientamento.

Ovviamente non ripeto qui ciò che ho già accennato a pagina 2, spiegato ampiamente in C’era una volta il mercato e poi anche in altri testi elencati a pagina 5. Ma non posso evitare di ribadire la constatazione dei disastrosi effetti prodotti da un’ostinata ingormazione.

Il male, ormai, è cronico. Il contagio è diffuso e sembra inarrestabile. Non solo gli infiniti sproloqui sull’argomento non offrono il minimo aiuto a capire – né alcuna ipotesi ragionevole sulle possibili soluzioni – ma il coro lugubre, tetro, ripetitivo, quotidiano, è una perniciosa droga che induce a una cieca disperazione, un desolato carpe diem, un malefico fatalismo. Così è diventato un concreto, feroce, diabolico moltiplicatore del danno.

Per una curiosa “coincidenza”, proprio mentre sto scrivendo queste righe mi trovo in mano una copia di l’Espresso (datato 16 agosto 2012, ma come sempre in distribuzione sei giorni prima). Ha questa balorda copertina.

espresso

Un capolavoro di stupidità, in una rivista che ha l’ambizione di essere considerata “seria”. La stucchevole banalità dell’ennesima ragazza in bikini – con la goffa volgarità di una bandiera greca sul sedere. Un pretestuoso e sciocco gioco di parole nel titolo. Se qualcuno avesse voluto costruire un’ironica sintesi del peggio, difficilmente avrebbe potuto farlo in modo più efficace.

Non ho la più remota intenzione di criticare una particolare testata. Questo è solo un esempio fra tanti. Ci vorrebbe la lanterna di Diogene, oltre a un’enorme quantità di tempo e pazienza, per (forse) trovare qualcosa che si distacchi, con chiarezza e lucidità, dall’incretinimento generale.

Una briciola di (involontario) buon senso è nell’ultima riga del sommario. «Nell’attesa di sapere che cosa ci riserva il futuro». Appunto, non lo sappiamo. L’unica via di uscita dall’ingorgo sarebbe una inattesa “buona notizia”. Vera o inventata, poco importa, purché rovesci il ciclo. Quando ci potrà essere?




Supplemento
(ottobre 2012)


Se dovessi scrivere qualcosa ogni volta che vedo un esempio di ingormazione, non mi basterebbero ventiquattro ore al giorno. E ogni giorno ne dovrei citare decine – se non centinaia. In Italia come in ogni parte del mondo. Ma il modo in cui il malanno si sta evolvendo merita qualche commento.

Continuano le confuse geremiadi sulla “crisi economica”. I catastrofisti non smettono di imperversare, ma non riescono a impedire che emerga qualche notizia che, se non “buona”, è “meno cattiva” di ciò che prevedevano.

Siamo stati ossessionati dalle tante ripetute ipotesi di frana dell’euro e di disgregazione dell’Unione Europea. Il futuro rimane imprevedibile, ma finora nessuna di quelle profezie si è avverata.

Si cominciano a sentire commenti (ancora troppo timidi) di personalità politiche importanti in Europa (e anche altrove) sul fatto che le sfrenate speculazioni finanziarie avvelenano l’economia e distruggono il benessere dei popoli. Finalmente, “meglio tardi che mai”. Ma perché così tardi e così poco?

Il martellamento, stupido e scellerato, sui problemi della “moneta unica” e sui dissensi nell’Unione sta instillando in una parte dell’ingormata opinione pubblica l’insidioso dubbio che possa essere meglio ritornare alla lira o uscire dall’Europa – mentre è evidente che le conseguenze sarebbero disastrose.

Ci sono addirittura personalità politiche (o aspiranti tali) che, nella bieca speranza di “catturare voti”, assecondano quelle insensate ipotesi. O forse è solo l’ingormazione a farci credere che qualcuno sia così rincretinito?

Gli ingormatori sono a disagio. Palesemente la loro opinione è che “la cronaca nera fa notizia” e che perciò per avere molti lettori o ascoltatori sia meglio insistere sul “peggio”. Gongolano quando possono spaventarci con delitti, violenze, malversazioni, malesseri, “crisi” finanziarie ogni altro genere di disastri o profezie di sventura. Sono in palese imbarazzo quando si trovano, di malavoglia, a doverci dire che “nonostante tutto” c’è qualcosa che va bene o qualcuno fa qualcosa di utile.

Imperversano le chiacchiere, confuse e spesso inconcludenti, sulla corruzione. Come accade troppo spesso, ciò che stupisce è lo stupore.

Non occorre essere “addentro alle segrete cose” per sapere che all’epoca di “mani pulite” una parte del problema era stata messa in luce, ma la corruzione non era finita. Era solo ritornata a essere un po’ meno sfacciata e arrogante di come era diventata in quel periodo.

Che ora ci sia qualche processo in più per scoprire almeno alcune delle magagne è, in sé, una “buona notizia”. Ma c’è qualcosa di goffamente tragicomico nell’improvvisa “indignazione”, che sembra inopinatamente svegliarsi dopo tanti anni di stranamente inconsapevole o pericolosamente rassegnata “tolleranza”.

Ci vorrebbe qualche bravo giornalista che, invece di rincorrere l’ennesimo balordo scoop, facesse qualche indagine seriamente approfondita. Ma dove si trovano direttori ed editori che gli diano il tempo (e le risorse) per farlo?

La lentezza, l’indecisione e la confusione su ciò che si debba (o possa) fare per incidere più a fondo sul malcostume sono regali ai corrotti e ai corruttori – che così hanno il tempo di cercare (ancora più di quanto hanno già fatto) rifugi meglio nascosti. (Vedi Inferni e paradisi).

Alcuni (probabilmente molti più di quelli su cui “trapelano” notizie) si stanno già organizzando per essere pronti a emigrare dove non solo possono tenere nascosti i soldi, insieme a sontuose abitazioni e varie lucrose proprietà, ma sono anche protetti dal rischio di estradizione.

È allucinante sentirci dire che la corruzione “scoraggia gli investitori stranieri”. Cioè per noi, invece, andrebbe bene?

Il quadro della corruzione, su scala mondiale, ha oscure e crescenti complessità. Ci sono paesi (non solo in Africa) dove gli investimenti (locali e stranieri) devono assoggettarsi alle forche caudine di governi corrotti e burocrazie non meno inquinate. Pochi si indignano o si vergognano, molti ci sguazzano. Fra i più attivi in questo genere di “investimenti” ci sono i rapaci e spietati mandarini del neocapitalismo e neoconialismo cinese. (Che comunque hanno gravi e crescenti problemi di corruzione a casa loro).

Intanto il piagnisteo italiano continua a crogiolarsi nello squallore dell’autodenigrazione. Certo non è una “consolazione” sapere che qualche forma di corruzione c’è dovunque – e molti paesi, in giro per il mondo, stanno peggio di noi. Ma è importante capire che una soluzione efficace del problema non si può trovare solo su scala nazionale.

Non si tratta dell’umiliante concetto di dover fare pulizia perché “ce lo chiede l’Europa”. Ma del fatto che la corruzione (come il crimine) è sempre più organizzata in reti intricate che scavalcano i confini. Non la possiamo sconfiggere se non con una efficace collaborazione internazionale.

Intanto continua il provincialismo dell’ingormazione italiana. Con poche lodevoli eccezioni, le notizie dal resto del mondo sono scarse, spesso superficiali. Se non fossi abituato a usare fonti in inglese e in alcune altre lingue, in rete o su carta stampata (talvolta anche in televisione) sarei poco e male informato su ciò che accade fuori dai nostri confini.

E continua l’ingombro dei pettegolezzi a scapito di informazioni meno insulse. La situazione politica in Italia è in una fase di cambiamento. Che sia confusa, non è sorprendente. Ma non si capisce perché i cittadini elettori debbano essere continuamente bombardati da supposizioni, indiscrezioni, illazioni e futilità. Che cosa ci può essere di interessante nel sentirci dire che il tale forse avrebbe detto e il talaltro forse ha intenzione, o “pare che” Tizio stia trescando con Caio o litigando con Sempronio? Se proprio ce lo vogliono raccontare, potrebbero almeno limitare la dimensione degli sproloqui.

Che ognuno nei giri della politica stia cercando di definire le regole del gioco nel modo più favorevole ai suoi interessi è, come sempre, ovvio. Ma su quei maneggi (e le discutibili interpretazioni) è inutile e noioso essere così insistentemente ingormati. Non è consentito ai cittadini, né è loro compito, decidere le ingegnerie elettorali, i tempi e i metodi, le procedure. Su questo deve decidere il parlamento – ed è giusto che sia così.

Quando verrà il giorno di votare, sapremo con quale legge elettorale, con quali candidature, con quali (se ci saranno) coalizioni e (se saranno capaci di dircelo chiaramente) con quali intenzioni e programmi. Allora si, ci sarà utile capire come funzionerà il sistema, per poter scegliere fra le proposte che ci saranno offerte. Al massimo uno, più probabilmente nessuno, delle miriadi su cui oggi si discute potrà essere il metodo disponibile.

(Che si pensi di organizzare qualche referendum per tentare di dare ai cittadini la facoltà di scegliere le norme è del tutto inutile, perché non potrebbe avere effetto prima delle prossime elezioni).

Intanto inondarci di ipotesi e cicalecci serve solo a confonderci le idee.


*   *   *


È passata l’onda delle idiozie sul bosone di Higgs. Chissà quando gli studiosi saranno in grado di spiegarci che cosa se ne possa dedurre sulla natura dell’universo. Con la speranza che non rispunti qualche fantasioso divulgatore del pressapochismo a darcene chissà quale “sensazionale” interpretazione.

Ma intanto l’ingormazione pseudoscientifica trova altre occasioni per confonderci con immaginarie “rivelazioni”.

Per esempio – il titolo di un articolo nel Corriere della Sera, 3 ottobre 2012, afferma che la vita «Arrivò sulla Terra dallo spazio». Cioè «Nacque su altri pianeti, poi viaggiò attraverso i meteoriti».

L’affermazione è clamorosa. Se fosse vera, avremmo improvvisamente una risposta che stiamo cercando da tante migliaia di anni (e con particolare attenzione scientifica da quando è cominciata l’esplorazione dello spazio).

Lo scriteriato sensazionalismo è opera di un fantasioso titolista più che dell’autore dell’articolo – che tuttavia esagera nel trarre conseguenze da uno studio di “un gruppo di astrofisici dell’Università di Princeton, dell’Università dell’Arizona e del Centro spagnolo di Astrobiologia” presentato a Madrid il 26 settembre 2012 nel “Congresso europeo di scienza planetaria”.

Quello studio, in realtà, si limita ad affermare che spore biologiche o sostanze biochimiche potrebbero essere state “catturate” in un meteorite anziché (come era l’ipotesi prevalente) nella coda di una cometa.

Il fatto, comunque, è che (come si suppone da molto tempo) è possibile che in qualche parte dell’universo la vita sia “arrivata dallo spazio” – ma non ci sono plausibili motivi per immaginare che sia stato così sul nostro pianeta.

Se fosse così facile, avremmo meno difficoltà nella scoperta di vita in “vicinanze” interplanetarie. Se una cicogna cosmica avesse “fecondato” il nostro pianeta sarebbe ragionevole aspettarci di poter trovare presenze biologiche dove, nel sistema solare, ci sono (o ci sono state) condizioni ambientali adatte. Cioè su Marte, oltre ad alcuni satelliti di altri pianeti.

Trovare “tracce di vita” su Marte è uno dei compiti principali del rover Curiosity, che dopo aver messo a punto i suoi meccanismi e strumenti sta cominciando a muoversi per esplorare l’ambiente circostante. Se troverà qualcosa di biologico, anche solo come residuo del passato (sarebbe davvero una scoperta fondamentale) potremo chiederci se la vita sia migrata da Marte a noi, o viceversa – oppure sia nata là e qui indipendentemente, per processi spontanei inerenti alla naturale evoluzione del cosmo.

Intanto... si trovano cose che non si stavano cercando. Questa insolita “pietra” è stata fotografata da Curiosity il 20 settembre 2012. Gli scienziati della NASA la stanno studiando per capire come e perché abbia assunto un aspetto simile a una piccola piramide. Naturalmente ci vorrà tempo per trovare una spiegazione e ragionare su che cosa se ne possa dedurre.
 

piramide
 

Spero che questo rimanga solo un mio scherzoso commento, ma temo che non si possa escludere l’ipotesi di un ennesimo pseudodivulgatore dedicato a raccontarci che gli antichi Egizi erano andati su Marte o che le piramidi di Giza erano state costruite dai marziani. O che siano, insieme a questo piccolo giocattolo o simbolo rituale, opera di alieni che avevano una base in Atlantide.

La scienza ci ha dato molte straordinarie scoperte che superano ogni precedente immaginazione. E continuerà a farlo. Ma sarebbe meglio se questi affascinanti sviluppi non fossero inquinati da elucubrazioni insensate e distorcenti, di cui purtroppo c’è già una fastidiosa abbondanza.

Non si tratta, ovviamente, di mettere limiti alla fantasia. Romanzi, racconti, poesie, giochi, leggende, fiabe, spettacoli hanno un ruolo nella cultura e nella vita. Ma è necessario evitare di confondere la letteratura con l’informazione, l’immaginazione con la ricerca scientifica, la libera espressione di opinioni e idee con la verifica concreta delle notizie.

Come diceva Mark Twain «a metterci nei peggiori guai non sono le cose che non sappiamo, ma quelle di cui siamo convinti e che non sono così».



Non resisto alla tentazione di aggiungere
questa vignetta di Francesco Tullio Altan

Altan

Era l’emblema del secondo Festival Internazionale del Giornalismo
(Perugia 9-13 aprile 2008) ma non so se sia stata disegnata per quell’occasione.
Per quanto ho potuto vedere, nessuno dei giornali con cui Altan
collabora abitualmente ha mai avuto il coraggio di pubblicarla.


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Su un argomento “simile ma non uguale”
vedi L’irrefrenabile proliferazione delle fandonie



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