Il potere della stupidità
Kali
Capitolo 18


Il circolo vizioso
della stupidità


Una delle conseguenze dell’imperversante stupidità è la diffusa convinzione che si debba trattare il pubblico, e ogni nostro interlocutore, come “un bambino un po’ tonto di undici anni”. A parte il fatto che ci sono ragazzi di undici anni tutt’altro che tonti, è opportuno chiederci quanto sia utile mettere in pratica quella vecchia e banale teoria.

Dobbiamo constatare, purtroppo, che in quel modo si possono ottenere risultati. Ma è dimostrato dall’esperienza che si può essere più efficaci seguendo la strada opposta – cioè rispettando le persone e rivolgendosi alla loro intelligenza, al loro buon senso, alla loro capacità di capire.

È evidente che se prevale la stupidità l’intero sistema ne soffre. Si aprono più spazi per l’inganno, la menzogna, l’opportunismo. Degradano la qualità, le relazioni, la fiducia. Ma l’obiezione è ovvia: perché una singola persona, organizzazione o impresa deve farsi carico del bene generale? Questo è “moralismo”, si dice con disprezzo. Ognuno bada solo al suo particolare interesse. Se la via più facile è lo sfruttamento della stupidità, così si deve fare.

Le strategie della stupidità tendono a degradare. Ma non c’è il tempo, né la voglia, di pensare al “lungo periodo”. Ciò che conta è la fretta, l’immediato, il contingente (vedi il capitolo 16). Quando le stupidaggini riveleranno la loro fragilità, si troverà qualche altra sciocchezza per confondere di nuovo le carte.

Ma c’è un problema. Il “circuito della stupidità” diventa autodistruttivo. Chi tratta il prossimo da stupido finisce con l’essere, o sembrare, stupido. Si diffonde la convinzione che tutto sia sciocco, che ogni tentativo di miglioramento sia inutile, che al dominio delle scempiaggini ci si debba adeguare.

Prima ancora che degradino le relazioni esterne di un’impresa (o di qualsiasi altra organizzazione) si corrompe e si disgrega la sua struttura interna. Se la regola è badare solo a un immediato vantaggio personale – perché qualcuno dovrebbe impegnarsi per contribuire al successo dell’impresa, o della collettività, invece di trincerarsi in qualche difesa burocratica, evitare le responsabilità e dedicare le sue energie all’intrigo?

Il problema, ovviamente, è ancora più grave nel caso di quelle imprese, o servizi pubblici, il cui compito centrale è l’informazione (o altre forme di comunicazione collettiva, anche quando l’intenzione più esplicita e dichiarata non è informare, ma intrattenere o divertire).

Nonostante le appariscenti, e spesso bugiarde, affermazioni in contrario, è diffusa in quegli ambienti (come nelle stanze del potere) la convinzione che il pubblico sia stupido. E che perciò vada trattato da stupido, addormentato con un mare di banalità, imbottito di notizie approssimate, condite con una nauseante mistura di retorica e di sensazionalismo. (Vedi “Tettontimento”).

Che la stupidità sia diffusa nel genere umano, purtroppo è vero. Ma ciò non significa che debba essere continuamente incoraggiata, elevata a modello, coltivata e nutrita come paradigma dell’essere, del pensare e dell’agire.

C’è una curiosa reciprocità fra i propalatori di idiozia e le loro vittime. Per quanto ignare o disattente possano essere le persone, quasi tutte hanno un barlume di lucidità – e si accorgono di essere trattate da stupide. Così si abituano a pensare che il mondo dell’informazione (e dello spettacolo) sia irrimediabilmente stupido. Anche il mondo del potere, che troppo spesso si propone scioccamente come spettacolo, ne subisce le conseguenze.

In questo “circolo vizioso” c’è una specie di complicità, talvolta cosciente, più spesso inconsapevole. Ci trattano da stupidi, ma sappiamo che loro sono stupidi... vediamo un po’ come ci possiamo divertire e distrarre con le stupidaggini, visto che le cose serie non ci sono (o, quando ci sono, sono deprimenti o noiose). Questo fenomeno si complica ancora di più nella confusione fra essere e apparire, realtà e rappresentazione, come vedremo nel capitolo 22 – e per quell’intossicante combinazione di stupidità e furbizia di cui si è parlato nel capitolo 17.

Un problema è la “fama” – o il “divismo”. Persone di ogni genere diventano “famose” per motivi talvolta rilevanti, troppo spesso “futili” o casuali. Gli effetti possono essere bizzarri e pericolosi. Si attribuiscono ai “famosi” capacità che non hanno, si “ammirano” e si imitano senza saperne il motivo. Si fanno sembrare “autorevoli” su argomenti che non conoscono.

Tutto ciò “istupidisce” gli ammiratori, ma può nuocere anche a chi si lascia travolgere dalla celebrità. In una lettera a Heinrich Zanger, nel dicembre 1919, Albert Einstein scriveva: «Con la fama divento sempre più stupido, questo ovviamente è un fenomeno molto diffuso». Da allora, con la crescita del “circolo vizioso”, la situazione è ancora peggiorata.

È sempre pericoloso sottovalutare il potere distruttivo della stupidità. Ed è illusorio credere di poter sfruttare la stupidità altrui senza esserne contagiati. Non sempre la stupidità viene sconfitta dall’intelligenza, ma sempre tende all’autodistruzione.

Comunicare con intelligenza non significa essere pedanti, noiosi e complicati. La migliore intelligenza sa esprimersi in modo chiaro e interessante. Sa comunicare con una buona dose di umanità – e, quando è il caso, con umorismo, ironia e divertimento. E sa anche ascoltare.

Comunicare efficacemente significa saper spiegare le cose, anche quando sembrano complicate, in modo semplice. Ma non trattare il prossimo dall’alto in basso, con la pretesa di sentirsi “superiori” solo perché si maneggiano le leve in un sistema di comunicazione.

Accade perfino che la critica sia più stupida di ciò
che vuole criticare: vedi La stupidità della critica.

Semplice non vuol dire banale, ovvio, stupido, grossolano, convenzionale, superficiale, supponente o accondiscendente. Si parlerà nel capitolo 20 dell’arte difficile, quanto affascinante, della semplicità – e del suo rapporto profondo con l’intelligenza.

L’arroganza, l’esibizionismo, l’illusione di superiorità non sono intelligenti. Sono insidiose manifestazioni della stupidità. Non ci può essere vera intelligenza senza una sincera autocritica e un autentico rispetto per i nostri interlocutori.

La marea della stupidità è così dominante che si aprono occasioni sempre più interessanti per andare “controcorrente”. Una singola persona, o impresa, o altra comunità umana, che decida di trattare il prossimo con più rispetto non potrà, da sola, rovesciare la tendenza generale. Ma proprio per la sua diversità potrà ricavarne notevoli vantaggi, oltre a rendersi utile agli altri.

Così potrà dare il suo contributo a quel bene raro e prezioso che è l’intelligenza. E, quando si guarda allo specchio, avrà un po’ meno disprezzo per sé e per ciò che fa.




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