timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione 
nell'internet


Numero 40 – 24 ottobre 1999

 

 

loghino.gif (1071 
byte) 1. Editoriale: La rete è un sistema biologico

 

Tre o quattro anni fa, se in un convegno o una lezione dicevo che l'internet è un sistema biologico, incontravo disagio e perplessità. Oggi ci sono abbastanza spesso reazioni diverse, come «Non ci avevo pensato, ma mi sembra vero». Il cambiamento è probabilmente dovuto al fatto che oggi ci sono molte più persone con un'esperienza pratica della rete.

Ma questo concetto (benché sia sostenuto da molti dei migliori autori sull'argomento) non ha ancora la diffusione che merita. Per chi osserva la situazione partendo dalle tecnologie, sembra un'idea bizzarra. Il computer è una macchina lineare a codice binario. Le tecnologie elettroniche e di rete (e, sempre più, le telecomunicazioni) sono basate su sistemi digitali. Ma l'errore sta proprio nel pensare che sia la struttura tecnologica a determinare il funzionamento del sistema, che invece deve basarsi su ciò che è utile per l'interazione umana.

Non è un caso che la struttura dell'internet sia molto più simile a quella del cervello umano che al funzionamento di una macchina elettronica. Molti fra i migliori studiosi dell'argomento si riferiscono alla biologia. Perfino la CAIDA (Cooperative Association for Internet Data Analysis) dell'Università della California (San Diego), in un documento rigorosamente tecnico (Internet measurement and data analysis: topology, workload, performance and routing statistics) dice che «l'infrastruttura dell'internet può essere considerata l'equivalente di un ecosistema». Questo è tutt'altro che un concetto teorico e astratto. Ne derivano conseguenze rilevanti per chi (persona, organizzazione o impresa) vuole operare efficacemente con i nuovi sistemi di comunicazione.

Non solo è più ragionevole, ma soprattutto è concretamente più utile pensare alla rete come un sistema vivente che come a un aggregato di macchine, software e protocolli. Una delle conseguenze di questo fatto è che si può concretamente parlare di coltivazione della rete e dell'attività online come agricoltura. Ho potuto constatare che questo concetto, mentre in alcuni suscita un forte interesse, in altri genera dubbi e perplessità. Perciò mi sembra opportuno chiarirne l'interpretazione. Come dice Arno Penzias, non si tratta di un ritorno sic et simpliciter all'economia agricola. Ma si tratta di alcune rilevanti analogie fra la network economy e la società pre-industriale. Per esempio:

  • Un modo nuovo (quanto antico) di abitare – e di lavorare. I grandi aggregati urbani e la concentrazione del lavoro in grandi fabbriche o uffici monolitici sono ormai una cosa del passato.
  • Un modo nuovo (con radici antiche) di produrre e di commerciare, basato più sulle relazioni personali che sulla comunicazione "di massa".
  • Un nuovo sistema di relazioni interpersonali; analogo a quello delle più antiche comunità umane, ma senza confini geografici.
  • Una nuova percezione della diversità, che con il dialogo interattivo può essere sempre più coltivata come risorsa e sempre meno temuta come problema. La strada è ancora lunga, perché più di nove decimi dell'umanità sono ancora esclusi dall'internet – ma soprattutto perché il superamento dei pregiudizi culturali è un processo lento e faticoso.
  • Una possibilità senza precedenti di nomadismo, che ci riporta addirittura alle società pre-agricole, ma (ovviamente) in modo nuovo. Alla mobilità offerta dai moderni mezzi di trasporto si unisce la possibilità, tramite la rete, di mantenere la continuità delle relazioni (compreso il lavoro) indipendentemente dal luogo con cui si è.

La rete, naturalmente, è diversa dall'agricoltura; per esempio non è assoggettata al ciclo delle stagioni, né a quello diurno del giorno e della notte. Ma non è del tutto vero che (come ha obiettato un lettore attento) non risenta del terreno o della meteorologia. La coltivazione dell'internet non si fa nel suolo; ma ciò non vuol dire che non si tratti di "terreno". Ci sono campi più o meno fertili e più o meno adatti a un particolare tipo di semina, ci sono condizioni "climatiche" più o meno favorevoli. Ci sono terreni bene irrigati e altri più aridi; ci sono pianure, salite, discese, montagne e precipizi. La meteorologia della rete non è fatta di sole o di pioggia, di neve o di grandine, di umidità o siccità; la sua temperatura non si misura in gradi centigradi. Ma ci sono stagioni più o meno favorevoli. Ci sono tempeste e temporali (talvolta tecnici, talvolta di relazione) che, come nella meteorologia del clima, sono solo in parte, e imperfettamente, prevedibili. Vivere e lavorare in rete vuol dire essere pronti a cambiamenti inaspettati; sapere come comportarsi nel caso di difficoltà impreviste e come cogliere occasioni che si presentano quando meno ce le aspettiamo. Ma anche capire quelle "leggi naturali" che governano ogni relazione umana.

Inoltre.. non è solo concetto teorico, ma una precisa esigenza pratica, pensare alla rete come ecosistema. Un "bene comune" di tutta l'umanità, che deve essere aperto e libero per tutti, che non può e non deve essere assoggettato a governi o interessi privati, che deve essere difeso e coltivato come una grande risorsa di cui abbiamo appena cominciato a capire il valore e l'utilità.


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loghino.gif (1071 
byte) 2. Nuovi dati e nuove analisi

 

Per quanto riguarda il numero e il comportamento degli italiani online, spero di poter pubblicare fra qualche settimana nuovi dati di ricerca, che probabilmente confermeranno un'ulteriore crescita e una più ampia diffusione della rete. Intanto, il 19 ottobre la Tin (Telecom) ha annunciato di aver raggiunto il milione di abbonati. Se (come sembra probabile) ha circa il 50 per cento del mercato, se ne deduce che in Italia ci sono circa due milioni di abbonamenti alla rete. Questo ovviamente non significa che le persone connesse siano due milioni (sappiamo che la stessa persona può usare più di un provider, cosa oggi più frequente con l'abbondanza di offerte "gratuite"; come due o più persone possono usare lo stesso collegamento). Ma il segnale rilevante è che c'è un aumento notevole (circa il 50 %) rispetto alla prima metà di quest'anno.

Mi sembra opportuno riprendere il filo della tendenza che stiamo seguendo da anni in base ai dati sul numero di host internet – con una breve premessa metodologica. Tutte le tecnologie e tutte le statistiche hanno qualche imperfezione; i dati di hostcount sono i più affidabili (e confrontabili) di cui possiamo disporre, ma non mancano i problemi. Qualche difficoltà sorge, ogni tanto, in quasi tutti i paesi; ma in particolare le statistiche riguardanti l'Italia hanno avuto, specialmente quest'anno, oscillazioni difficilmente spiegabili. Senza entrare in dettagli tecnici, dopo un'analisi attenta delle tendenze e degli "incidenti di percorso" incontrati dalle verifiche emerge una conclusione chiara, confermata da vari approfondimenti e anche dall'opinione degli analisti di Ripe. I dati possono essere sbagliati per difetto ma non per eccesso. In altri termini, il numero reale di host (indirizzi IP) può essere superiore, ma non inferiore, a quello rilevato dai sistemi di verifica.

Mi sembra ragionevole, quindi, un'analisi "ponderata" che elimini le oscillazioni temporanee nelle rilevazioni e tenga conto, per ciascun paese, del dato più alto da gennaio a oggi (nella maggior parte dei casi si tratta di un dato degli ultimi due-tre mesi; nel caso dell'Italia il numero più alto disponibile è il più recente). L'ultima statistica di RIPE (Réseaux IP Européens) è quella del settembre 1999, pubblicata il 18 ottobre.

Con questo criterio, la situazione "più aggiornata possibile" può essere riassunta nella tabella che segue (22 paesi nell'area Europa-Mediterraneo con più di 50.000 host internet).


  Numero
di host
% su
totale area
per 1000
abitanti
Gran Bretagna 1.610.833 16,9 27,4
Germania 1.609.995 16,9 19,6
Olanda 816.723 8,6 52,4
Francia 647.166 6,8 11,1
Italia 554.098 5,8 9,7
Svezia 519.642 5,4 58,6
Spagna 514.028 5,4 13,1
Finlandia 492.513 5,2 96,0
Norvegia 367.429 3,8 83,7
Danimarca 318.020 3,3 60,8
Belgio 311.960 3,3 30,8
Svizzera 294,103 3,1 41,7
Russia 240.752 2,5 1,6
Austria 208.429 2,2 25,8
Polonia 170.134 1,8 4,4
Israele 141.584 1,5 25,1
Repubblica Ceca 112.339 1,2 10,9
Ungheria 110.820 1,2 11,0
Turchia 85.700 0,9 1,4
Grecia 72.054 0,8 6,9
Irlanda 67.259 0,7 18,7
Portogallo 66.783 0,7 6,8
Unione Europea 7.189.224 81,9 21,3
Totale area * 9.550.014 13,6

* L'area Ripe comprende 100 paesi extra-europei; ma il numero di host in quei paesi non Ë tale
da modificare in modo rilevante il dato di densità, che è riferito alla popolazione dell'Europa.


Ci sono cambiamenti significativi rispetto a uno o due anni fa. In "cifra assoluta" l'Italia sembra essersi collocata al quinto posto in Europa, superando paesi (più piccoli ma ad alta densità) come la Norvegia e la Finlandia – e più recentemente anche la Svezia. Continua a rafforzarsi la presenza dell'Olanda e c'è una forte crescita della Spagna. Anche la Francia sta crescendo – d'ora in poi nelle analisi non ci saranno più tentativi di correzione dei dati francesi per tener conto del fattore minitel (anche se quell'anomalia continua a esistere).

Vediamo ora come si presentano, in base a questo criterio, tre dei grafici con cui abbiamo abitualmente riassunto la situazione nelle analisi precedenti (vedi per esempio i numeri 32 e 36 di questa rubrica). Il primo riguarda l'andamento di crescita nei cinque "grandi paesi" dell'Unione Europea.


Host internet in 5 paesi europei – 1996-1999

Fonte: RIPE (Réseaux IP Européens) – dati trimestrali – numeri in migliaia

Nota: in questo grafico, come nei seguenti, per la Francia
non è stato introdotto alcun "correttivo" per il fattore minitel.


Rimane il predominio dei due paesi più forti, ma si nota l'accelerazione dell'Italia – e ancor più della Spagna. Ci vorranno almeno altri tre mesi per valutare la solidità di questa tendenza.

Il secondo grafico riguarda la densità (host per 1000 abitanti) in 28 paesi con più di 20.000 host internet.


Host internet per 1000 abitanti
in 28 paesi dell'area Europa-Mediterraneo

(Paesi nell'area Ripe con più di 20.000 host internet) – Dati "consolidati" 1999


La densità più alta è, come sempre, nei paesi scandinavi; ma continua a crescere la presenza del Benelux – e in particolare dell'Olanda. La Spagna, che per anni ha avuto una densità simile a quella dell'Italia, ora sta distaccando il resto dell'Europa meridionale e comincia ad avvicinarsi a livelli "mitteleuropei" (oltre ad avvantaggiarsi del rapido sviluppo nell'America Latina, che allarga i sistemi di rete in lingua spagnola). Nonostante la crescita, la presenza dell'Italia rimane debole; al di sotto della media europea.

Nel prossimo grafico vediamo, ancora una volta, quanto è arretrata la nostra posizione in rapporto al reddito.


Host internet in rapporto al reddito (PIL)
in 28 paesi dell'area Europa-Mediterraneo

(Paesi nell'area Ripe con più di 20.000 host internet) – Dati "consolidati" 1999


Si conferma la relativa debolezza della Germania; e la forte presenza, rispetto al reddito, di alcuni paesi dell'Europa orientale. Vediamo, anche in questa analisi, il progresso della Spagna. La Francia, se non si tiene conto del minitel, non sta meglio dell'Italia.

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Una curiosità è l'aggiornamento sulla dimensione dell'internet offerto da Netsizer.
Il "contatore continuo" che appare su quel sito è un trucco ed è privo di significato.
Ciò che conta è il tentativo di aggiornare i dati; non tutti i giorni, ma (se è vero quello che dicono) più frequentemente di altri. Secondo questa fonte, oggi nel mondo ci sono più di 63 milioni di host internet e più di 30 milioni di web server.

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Un elemento di complicazione è il fatto che ci sono domain internet fuori dagli Stati Uniti registrati come .com – e che perciò sembrano, ma non sono, "americani". Secondo un'analisi del Nic francese, in Europa ce ne sono 263.194 (di cui 17.721 in Italia). L'incidenza non è tale da modificare il significato delle statistiche, specialmente come confronto fra i vari paesi. Ma per curiosità vediamo che cosa risulterebbe dall'aggiunta di un numero stimato di host per tener conto dei domain .com – nei nove paesi considerati in quell'analisi.


  hostcount
"ponderato"
% .com
su totale
host per
1000 abitanti
Totale Europa * 10.189.575 6,3 14,5
Gran Bretagna 1.766.100 9,8 30,3
Germania 1.693.514 4,9 20,6
Olanda 848.260 3,7 54,4
Francia 730.805 12,4 12,5
Italia 596.067 7,0 10,4
Svezia 571.048 9,0 64,4
Spagna 565.476 9,1 14,4
Danimarca 337.506 5,8 64,5
Svizzera 318.179 7,6 45,1

* Il totale riguarda tutta l'area Ripe ma, come già osservato, il numero di host
nei paesi extra-europei non Ë tale da modificare in modo rilevante il dato.


Alcuni pensano che, a causa delle difficoltà burocratiche di registrazione dei domain .it , l'Italia abbia un'incidenza particolarmente elevata di .com (e quindi di host "apparentemente americani"). Ma non è così. L'incidenza più alta è in Francia; in Italia i .com sono il 7 % – cioè poco al di sopra della media europea. Ci sono percentuali più alte in Gran Bretagna (10 %) e in Svezia e Spagna (9 %) mentre le più basse sono in Germania (5 %) e in Olanda (meno del 4 %). Naturalmente ci sono anche domain europei e italiani registrati come .net o .org, ma si tratta di numeri molto più piccoli.


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loghino.gif (1071 
byte) 3. Permission marketing (Seth Godin)

 

Fra i "libri da leggere", sul marketing in rete, c'è quello di Seth Godin (vice president direct marketing di Yahoo). Un po' pretenzioso nel tono e nella dichiarata intenzione di spiegare il "verbo" e mostrarci "la via del futuro"; tuttavia ricco di osservazioni interessanti e di suggerimenti utili. Da questo e da altri testi (come The Caring Economy e High tech - high touch) – oltre che dall'osservazione quotidiana dei fatti – si ricavano indicazioni rilevanti su come possa essere davvero efficace la comunicazione in rete e su come si evolvono le relazioni (perciò il marketing) nella "economia connessa" di oggi e di domani.


Il sottotitolo di Permission Marketing è Turning strangers into friends, and friends into customers.
Cioè come trasformare sconosciuti in amici, e amici in clienti.
Siamo nel cuore della network economy, l'economia della relazione;
al centro della natura fondamentale della rete, cioè il dialogo e l'interattività.


In Permssion marketing l'autore spiega come il marketing tradizionale, e la comunicazione d'impresa in tutte le sue forme, siano in crisi. Quello che Godin definisce interruption marketing, cioè il tentativo di "catturare" l'attenzione delle persone con una comunicazione invasiva, ha superato il livello di saturazione. C'è sovrabbondanza di prodotti, sovrabbondanza di comunicazione; l'affollamento è tale che ormai neppure spendendo il doppio di chiunque altro si riesce a superare la barriera della disattenzione. C'è chi cerca di farsi notare cambiando continuamente messaggio e stile, con l'unico risultato di perdere continuità e identità. La quantità di messaggi che ogni persona riceve è mille volte superiore alla sua capacità di vedere, leggere o ascoltare. Secondo me Godin esagera un po' nel dedurne che il marketing tradizionale non possa più dare alcun risultato; ma il problema esiste ed è importante capire che con l'internet si aprono possibilità diverse.

Anche il marketing "mirato" (cioè il direct marketing, o data based marketing, nella sua concezione tradizionale) ha molti limiti. Gli strumenti di segmentazione sono rozzi, hanno una selettività limitata e imperfetta; è invasivo (a modo suo è interruption marketing) e spesso mal tollerato; ha un alto e crescente fattore di spreco. «Il pagliaio è molto grande, dice Godin, e gli aghi sono pochi».

Portare nell'internet gli stessi metodi non è solo uno spreco di denaro ma anche un modo per farsi del male. Anche in rete, cercare i "grandi numeri" è la strada sbagliata. Seth Godin osserva che un grande motore di ricerca, come Altavista, classifica 100 milioni di pagine nell'internet. Le persone che usano il suo servizio accedono a 900 milioni di pagine al mese. Cioè chi usa Altavista legge, in media, 9 pagine al mese. Si spendono milioni di dollari per costruire scintillanti siti aziendali e ci si dà un gran daffare per cercare di farli trovare da un grande motore di ricerca; il risultato è che in media si raggiungono nove persone. «Grandi imprese hanno investito (e quasi completamente sprecato) più di un miliardo di dollari in siti web nel tentativo di trovare un varco nell'affollamento. La General Electric ha un sito con migliaia di pagine. La Ziff-Davis ne offre più di 250.000. Un risultato diretto di questi tentativi di scavalcare l'affollamento è il marketing più affollato e meno efficiente che si possa immaginare».

Ciò che manca è il tempo. Nessuno ha il tempo di badare agli infiniti messaggi che l'interruption marketing cerca di somministrargli. Nessuno ha tempo e voglia di prestare attenzione. Più si sforzano di attirare la nostra attenzione con trucchi ed effetti, più aumentano il clutter, cioè l'affollamento e la confusione.

Seth Godin dice che la soluzione è lasciar decidere al consumatore se vuole accettare volontariamente il dialogo. Questo è il modo in cui definisce il permission marketing.

Poiché parla solo ai volontari, il permission marketing ci assicura che i consumatori prestano più attenzione ai nostri messaggi. Permette al marketer di spiegare, con calma e succintamente, la sua proposta, senza il timore di essere interrotto dai concorrenti o da chi fa interruption marketing. È al servizio dei consumatori e dei marketer in uno scambio simbiotico.
Il permission marketing incoraggia i consumatori a partecipare in una campagna di marketing continuativa e interattiva, in cui prestano volentieri attenzione a messaggi sempre più rilevanti per loro. Immaginate che il vostro messaggio di marketing sia letto dal 70 % dei clienti potenziali cui lo mandate (non il 5 % o anche l'1 %). E immaginate che poi il 35 % risponda. Questo è ciò che accade quando interagite con i vostri clienti uno per uno, con messaggi individuali, scambiati con il loro permesso.
So che cosa pensate. C'è un problema. Se dovete personalizzare ogni messaggio, il costo è proibitivo. Se state ancora pensando nello schema del marketing tradizionale, è vero. Ma nell'era dell'informazione dialogare con i clienti individualmente non è così difficile come sembra. Il permission marketing prende il costo dell'interruption marketing e lo ridistribuisce non in un messaggio unico, ma in dozzine di messaggi. E la sua efficienza porta a sostanziali vantaggi competitivi e profitti.

Ci sono due modi di trovare moglie (o marito), dice Godin. Uno è comprare un vestito molto costoso, scarpe, accessori, eccetera. Usando il miglior database possibile, scegliere il singles bar demograficamente più adatto. Poi andare da ogni persona in quel bar e proporre il matrimonio. Se rifiuta, continuare a chiederlo a tutte le altre persone, e poi un altro bar, e così via. Questo è il metodo dell'interruption marketing. L'altro modo è molto più divertente, razionale ed efficace. Incontrare persone, frequentarle, fidanzarsi... Permission marketing vuol dire che due persone si incontrano. Se si piacciono, si rivedono. E così via. Col tempo imparano a conoscersi, a capirsi. Dopo vari appuntamenti e incontri, si presentano alle rispettive famiglie. Finalmente, dopo un tempo adeguato di frequentazione, il permission marketer propone il matrimonio.

Come tutti i migliori autori che si occupano dell'internet, anche Godin critica pesantemente ogni forma di spamming; un malanno su cui spero non sia necessario aggiungere alcun commento. Si esprime energicamente anche contro ogni violazione della privacy e ogni tentativo di commercio o manipolazione dei dati personali.

E non manca di sottolineare i vantaggi delle soluzioni opensource. Ecco le sue osservazioni a questo proposito.

Quando c'è abbondanza di un bene (commodity) il suo valore scende a precipizio. Se quel bene può essere riprodotto facilmente, a costo basso o nullo, non ce n'è scarsità. Questa è la situazione, oggi, dei servizi informativi. Ce n'è in abbondanza e costano poco. Per esempio l'informazione nella web è abbondante e gratuita.
Un altro esempio è il software. Il web server più diffuso non è prodotto da Microsoft o da Netscape. Si chiama Apache, è creato da una diffusa comunità di programmatori ed è completamente gratis. Può essere prelevato liberamente online e liberamente usato. Non c'è scarsità di risorse nell'information technology.

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È interessante notare che Seth Godin razzola come predica – ma solo in parte. Sul suo sito offre gratis i primi quattro capitoli del libro (quando si richiedono ha l'intelligenza di mandarli come "puro testo" e non in qualche formato pesante e più o meno indecifrabile, come purtroppo fanno tanti altri). Promette solennemente di non noleggiare, vendere o in alcun modo trasferire ad altri gli indirizzi di chi gli scrive – un impegno che le imprese serie dovrebbero assumere (e dichiarare) un po' più spesso. Però... se si manda un messaggio alla sua mailbox si riceve una risposta automatica, standardizzata e inconcludente. Questo non toglie validità di ciò che dice nel suo libro, ma ci ricorda che praticare bene la comunicazione interattiva non è sempre una cosa facile.


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loghino.gif (1071 
byte) 4. L'informazione è troppo "omogeneizzata"


Da molti anni ormai si parla di una malattia chiamata "omogeneizzazione" che affligge i grandi mezzi di informazione – i cosiddetti mass media. Il dibattito continua, ma la soluzione è ancora lontana.

Tre anni fa, Umberto Eco ne parlava in una delle sue "Bustine di Minerva" (L'Espresso, 5 settembre 1996).

Che la stampa si trovi in un momento critico, non se lo nascondono ormai nemmeno i giornalisti, che allarmati scrivono sui giornali che i giornali si sono cacciati lungo una via senza uscita. Lo si è detto: il giornale, nel momento che le notizie le dà prima la televisione, ha finito col dedicarsi al commento degli eventi televisivi, con indiscrezioni e interviste a catena, e alla cosiddetta "pastorizzazione" della notizia irrilevante, che la tv non ha tempo (o si vergognerebbe) di dare, come i blue jeans di Di Pietro o l'opinione della contessa Collaltino Viendalmare sullo sfidanzamento della Parietti

La situazione non è cambiata. L'argomento è stato ripreso, sullo stesso settimanale, da Eugenio Scalfari il 14 ottobre 1999.

Da qualche tempo avverto il desiderio, anzi sento la necessità, di porre una domanda a Umberto Eco, nella sua qualità di riconosciuto maestro nella scienza della comunicazione. ..... Eco ha più volte criticato i giornali e quasi sempre con ragione ne segnala gli errori di fattura, gli svarioni, qualche superficialità e un po' di pigrizia. Ma non è di questo aspetto che parlo. Parlo dell'approccio dei giornali ai fatti che accadono. Un tempo quell'approccio era abbastanza differenziato: ogni testata aveva le proprie regole, le proprie idiosincrasie, il proprio modo. Diciamo un proprio metro col quale selezionare i fatti, stabilire la priorità di alcuni rispetto agli altri e misurarne il peso e il valore. Col passare degli anni però, ed anche con l'affermarsi di nuove tecnologie produttive, si è messo in moto un processo di omogeneizzazione che ha reso i giornali – specie quelli televisivi e radiofonici – sempre meno distinguibili l'uno dall'altro.

La settimana dopo, Umberto Eco gli ha risposto.

Eugenio Scalfari mi appella, in questa stessa pagina nel numero scorso, a dire come la penso sul destino che spinge sempre più i nostri quotidiani a indulgere al pettegolezzo e al sensazionalismo, seguendo – per poter far fronte alla concorrenza – modelli ormai standardizzati. Mi gioca, Scalfari, un brutto tiro, perché sa quante volte ho scritto su questi argomenti e mi costringe a ripetermi. Bel colpo. Lui ci fa la figura di dire cose sensazionali, annunciando un suo severo esame di coscienza, e io ci faccio la figura del parroco che ripete stancamente i soliti comandamenti.

Umberto Eco poi racconta un ennesimo caso di deformazione di notizie e opinioni, da cui ricava un commento generale.

Cosa ci guadagna il giornale a farmi credere che due persone hanno detto battute che non hanno detto, e che questo scambio costituisce notizia scandalosa? Direi nulla, se il lettore fosse esigente. Ma anch'io volevo leggere a letto qualche cosa di piacevole, come quando dal parrucchiere si leggono quelle riviste che deducono una affettuosa amicizia da un aperitivo preso insieme al bar, e nessuno ci crede, ma ci si diverte. Se anche il lettore ci sta, e il giornale vende, la situazione è ormai insanabile.

Qui Eco mette il dito sulla piaga: un "circolo vizioso" fra giornalismo "omogeneizzato" e lettori ormai rassegnati; un circuito di abitudini che gira vorticosamente su se stesso, producendo informazione non solo troppo "omogenea" ma anche troppo spesso irrilevante e deformata. Il confine fra verità e menzogna, fra realtà e apparenza, fra notizia e manipolazione si è attenuato fino a sparire. Forse i grandi giornalisti-editori, come Scalfari, e i grandi "maestri della comunicazione", come Eco, dovrebbero chiedersi perché oggi per vendere i giornali si ricorra continuamente alle offerte più disparate, dagli atlanti geografici alle cassette di film. Mi viene in mente una bella vignetta di El Perich, un umorista spagnolo, che si trova in un libro di Luis Bassat.



Umberto Eco, ironicamente, propone di risolvere il problema facendo un giornale simile a quello che leggeva quando era nelle Isole Figi.

Che cosa accadrebbe se qualcuno decidesse di fare in Italia un "Fiji Journal", che costerebbe probabilmente cinquecento lire? Verrebbe letto solo da persone che vogliono la notizia essenziale e non il divertimento (che cercheranno altrove)? Sarebbe un fallimento? Poiché Scalfari mi chiede una proposta, provo a immaginare un giornale del genere (che avrebbe una redazione ridottissima), che abbia lo stesso sessanta e passa pagine, ma tutte di bellissima pubblicità, elenco di farmacie di turno e spettacoli, insomma quello per cui di solito si compera un giornale. Basterebbero solo due pagine (magari quattro) di essenziali dispacci di agenzia, più una pagina di opinioni su quello che peraltro il lettore ha già capito dal telegiornale. Sarebbe davvero una impresa fallimentare?

L'ipotesi è divertente; ma anche Umberto Eco sa che non risolve il problema. Si butterebbe via meno carta, meno inchiostro e meno tempo a scrivere (e leggere) sproloqui ripetitivi. Ma rimarrebbe la sindrome della "omogeneizzazione" e della concentrazione su "notizie" che spesso non sono né le più importanti, né le più interessanti, né le più significative.

Ritornerò in un prossimo numero su quel curioso "frullato" di (pseudo) notizie e di entertainment che domina oggi, specialmente in televisione. Ma intanto un fatto è chiaro: il sistema dei mezzi di informazione è profondamente in crisi e non sa come uscirne.

Naturalmente l'internet è uno degli strumenti per risolvere il problema; forse il più importante. Per esempio un quotidiano online non dipende da ciò che ha già detto la televisione; anzi può anticiparla. E non ha limiti di profondità: può offrire su ogni argomento, sinteticamente, la sostanza, accompagnata da tutti gli approfondimenti possibili e immaginabili. E può lasciarci decidere se vogliamo davvero sorbirci interminabili divagazioni sulla scollatura dell'ennesima indossatrice o sui pettegolezzi e sulle scaramucce dei partiti politici – o se invece vogliamo informarci su qualcosa di meno futile e più interessante. O magari anche "leggero", ma divertente. Ciò che manca, come in molte altre cose, non è la tecnologia; è la cultura. Cioè la capacità di editori e giornalisti di uscire dalla palude delle abitudini e ripensare il proprio mestiere. Ma anche noi lettori dovremmo fare la nostra parte. Uscire dal binario morto della stanca e ripetitiva omogeneizzazione e andare a cercare notizie, opinioni e commenti più interessanti. Che in rete ci sono, anche se non è facile trovarli.



 

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Lista dei ink

Com'è abituale in questa rubrica, ecco una lista dei link per comodità di chi stampa il testo
prima di leggerlo e quindi non può andare direttamente alle connessioni offerte durante la lettura online.

La struttura dell'internet http://gandalf.it/net/internet.htm#heading03
Internet measurement and data analysis http://www.caida.org/Papers/Nac/
La coltivazione dell'internet http://gandalf.it/offline/off19.htm
Incontro con Arno Penzias http://gandalf.it/nm/penzias.htm
Gli italiani online http://gandalf.it/mercante/merca37.htm#heading04
Dati europei – febbraio 1999 http://gandalf.it/mercante/merca32.htm#heading04
Dati europei – luglio 1999 http://gandalf.it/mercante/merca36.htm#heading03
RIPE – Réseaux IP Européens http://www.ripe.net/statistics/hostcount.html
L'America Latina http://gandalf.it/mercante/merca38.htm#heading03
Netsizer http://www.netsizer.com/daily.html
The Caring Economy http://gandalf.it/mercante/merca36.htm#heading02
High tech- high touch http://gandalf.it/mercante/merca32.htm#heading02
Mettiamo in soffitta la segmentazione http://gandalf.it/offline/off17.htm
Permission marketing http://www.permission.com
Luis Bassat – Il nuovo libro della pubblicità http://gandalf.it/m/bassat1.htm