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timone1.gif (340 byte) Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 10 -  14 ottobre 1997
1. Editoriale: Database e privacy
2. Proiezioni per confonderci
3. Curve per ragionare
4. L'Europa rallenta
5. Qualche problema per l'impero Microsoft
6. Il caso Toyota
bottone rossoSommario




loghino.gif (271 byte) 1. Editoriale: Database e privacy
Pochi giorni prima di scrivere queste righe, ho incontrato il Direttore Marketing per l'Italia di una delle più grandi multinazionali. Per ovvi motivi di riservatezza professionale, non posso dire il nome dell'impresa; ma si tratta di un gruppo complesso, presente in molti settori, e famoso in tutto il mondo per la sua esperienza e competenza in fatto di marketing. Ne ho approfittato per verificare un punto, che non avevo ri-controllato da un po' di tempo. Gli ho chiesto se in qualsiasi angolo del pianeta, o in qualsiasi settore, secondo il suo (informatissimo) ufficio ci fosse qualche reale avanzamento in fatto di data-base marketing. Senza esitazione, mi ha risposto no.

Di un uso raffinato dei dati, reso possibile dal computer, per fare marketing più "mirato" ed efficiente, si parla con grande serietà da quasi vent'anni. Più di dieci anni fa esistevano modelli, precisi e collaudati, che collegavano sistemi diversi di dati per poter offrire al "consumatore" esattamente ciò che gli interessa e nel preciso momento in cui lo sta cercando; e anche per poter creare "territori controllati" in cui sperimentare in concreto ogni parte del "marketing mix" prima di affrontare il rischio (e il costo) di presentarsi sul mercato.

Nacquero imprese, negli Stati Uniti, specializzate in questo genere di analisi e di progetti. Si fecero anche alcuni esperimenti pratici. Ma dopo qualche anno quelle imprese chiusero i battenti.

Sarebbe lungo analizzare i motivi per cui quelle raffinate teorie hanno trovato, finora, scarse applicazioni pratiche. Ma il fatto è che "fra il dire e il fare" c'è un mare grande e agitato; che navigarlo richiede competenze complesse e una quantità di tempo e dedizione che poche imprese si possono permettere (anche se grandissime, con una forte cultura di marketing e con abbondanti risorse di elaborazione dati); che per usare bene questi strumenti occorre un impegno "di lungo periodo" che mal si accorda con le politiche, oggi imperanti, del "breve".

Che sia così, ognuno può constatare notando quante offerte che riceviamo, per posta o per e-mail, non corrispondono alle nostre esigenze o non ci parlano con il linguaggio "giusto per noi".

In rete, oggi, c'è un gran traffico di dati. Ormai è quasi impossibile visitare un sito commerciale (o anche non) senza ricevere un bombardamento di cookie o di altri aggeggi intesi a "sondare" il nostro comportamento. Soprattutto, ci sono organizzazioni che si dedicano a "carpire" dati con ogni mezzo (comprese "trappole" come l'offerta di uno scambio di link) e poi li vendono; e se continuano a farlo, e a quanto pare prosperano, bisogna dire che qualcuno compri quei dati, anche se (per quanto si riesce a vedere) quasi nessuno è in grado di utilizzarli in modo efficace.

La miope avidità di questi "mercanti di dati" è pericolosa. Vendono una merce di scarso valore, a clienti che spesso non sanno come usarla. Insomma questo commercio conviene a chi ne approfitta, ma finora non sembra fornire strumenti davvero utili a chi vuol fare marketing.

I rischi sono due. Il primo è una crescente diffusione di spamming, che può allontanare molte persone dalla rete (e specialmente dai siti "commerciali") e scatenare ogni sorta di difese e reazioni. Il secondo, ancora più grave, è che ci sia una forte reazione contro l'invasione della privacy.

Dicono John Hagel e Arthur Armstrong, nel loro interessante libro Net Gain:

Il "commercio" di profili personali può minare seriamente il rapporto fra gli organizzatori di una comunità e i suoi membri e così impedire lo sviluppo di transazioni che, nel tempo, avrebbero un valore molto più grande del vantaggio economico che si può ricavare dalla vendita dei dati.

E anche:

Gli organizzatori di una comunità devono usare le informazioni personali in un modo che ne valorizzi il valore economico senza violare la privacy dei membri... Per esempio, l'organizzatore di una comunità può servire come filtro al servizio dei membri, per assicurare che ciascuno di loro sia raggiunto da messaggi commerciali solo se sono rilevanti rispetto alle sue scelte.

Ovviamente qui non stiamo parlando del gran fracasso che si è fatto sui giornali a proposito della privacy delle persone famose, che ha anche consentito al nostro galante Garante per la "protezione dei dati personali" di pavoneggiarsi in televisione in un mondo luccicante di "vip" e indossatrici. Né di quella farraginosa e distorta legge che poco garantisce e molto complica, di cui ancora aspettiamo una riforma o un'interpretazione che la rendano più efficiente e più civile.

Si tratta di una cosa molto più seria. Se al commercio di dati non si troverà un limite, presto o tardi la reazione sarà pesante. Potremo avere interventi pubblici che, se non mineranno in modo grave la libertà della rete nel suo complesso (come purtroppo è possibile), probabilmente creeranno ogni sorta di pastoie per chi usa la rete a fini commerciali. Come potremo avere reazioni sempre più pesanti da parte degli utenti, che possono reagire con violenza, arroccarsi in comunità chiuse o più semplicemente sottrarsi al dialogo. Insomma il rischio delle "incontinenze" di certi rozzi mercanti di dati è che ammazzino l'oca molto prima che possa deporre le uova d'oro.

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loghino.gif (271 byte) 2. "Proiezioni" per confonderci
Non vorrei insistere sull'ormai abusato tema delle "fantasie numeriche" che circondano la rete. Ormai comincia a far capolino anche sulla "grande stampa" la percezione che l'enfasi quantitativa sia priva di senso. Per esempio L'Espresso del 9 ottobre rileva che si stanno «dando i numeri su Internet» e che le stime diffuse sul numero di utenti in Italia manifestano «un ottimismo difficilmente condiviso dagli esperti».

La mia convinzione è che sia sbagliato definire "ottimismo" le iperboli numeriche e "pessimismo" una valutazione, per quanto possibile, realistica degli sviluppi. Non insisterò mai abbastanza sul fatto che la rete non è un sistema omogeneo e unitario, che molti diversi sviluppi si mescolano e si sovrappongono, che ci saranno mutamenti oggi imprevedibili... insomma che un andamento discontinuo e non omogeneo è nella natura delle cose, non può e non deve "deludere" o stupire.

Questa non è una considerazione teorica, un'analisi fine a sé stessa. Secondo me è la premessa di criteri pratici e concreti, come quelli che cerco di sviluppare in queste pagine, per lo sviluppo di attività specifiche nel sistema delle reti, che possono avere dinamiche più o meno brillanti in modo del tutto indipendente dalla "crescita generale" dell'internet.

Non si trova la strada giusta partendo da premesse generiche e sfuocate. Per esempio: molti osservatori, superficiali quanto ascoltati, andavano dicendo che la comunicazione elettronica avrebbe distrutto la carta stampata (e continuano a ripeterlo). Voci un po' più sommesse (fra cui la mia) dicono e scrivono da anni che non è vero; che il libro ha una vita importante nella rete, come ho osservato anche in un articolo uscito in settembre, che la vendita di libri è uno dei primi e più forti settori del "commercio elettronico", come è ampiamente confermato dai fatti. Questo, finora, non è accaduto in Italia... dove il motivo non è che non ci sia un mercato, ma che nessuno finora si è organizzato efficacemente per fornire un buon servizio. Da notizie pubblicate recentemente sembra che ci possano essere presto sviluppi interessanti.

Ma intanto l'orgia numerica continua. In occasione dello Smau si è detto e pubblicato di tutto, con "notizie" spesso contraddittorie. Sono anche ricomparse "proiezioni" di ogni sorta, quasi sempre pubblicate o riferite senza alcun esame critico, anche quando contenevano grossolani errori di aritmetica. L'esperienza insegna che nella realtà dei fenomeni e dei mercati profezie e proiezioni spesso sbagliano, anche quando sono basate su lunghe e solide "serie storiche"; ciò che non capisco è come qualcuno possa considerare credibili proiezioni in avanti di cinque o più anni basate su stime (non necessariamente esatte) di un anno solo. L'esperienza finora ha dimostrato che nessuna delle proiezioni fatte negli anni scorsi si è avverata. Finora erano tutte, o quasi, grossolanamente sbagliate "per eccesso". Ma il sistema è così complesso e discontinuo che può riservare anche sorprese di crescita imprevista. L'unico fatto rilevante è che questo affollamento di proiezioni è inutile - o dannoso, se induce a investimenti sbagliati.

Ma prima di abbandonare questo tema vorrei farmi una domanda. Perché continua questa ridda di numeri? In parte, come già rilevato, perché chi li diffonde ha interesse a "vendere" qualcosa. Ma credo che ci sia un motivo più profondo. Da anni ormai tutti gli osservatori più attenti sanno che siamo entrati in un periodo di forte turbolenza, di sviluppi "non lineari"; che questa evoluzione può essere molto positiva, se sappiamo capirla; ma che occorrono cambiamenti profondi nel modo di pensare e di agire. Il problema è che adattarsi una realtà nuova e sostanzialmente "imprevedibile" è faticoso, dà un senso di disagio; per questo tendiamo ad aggrapparci all'usuale, o a credere in "proiezioni" che hanno scarsissima probabilità di avverarsi ma ci cullano in un falso senso di sicurezza.

Credo che questo sia un tema importante e meriti un approfondimento; cercherò di farne qualche accenno nelle prossime righe.

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loghino.gif (271 byte) 3. "Curve" per ragionare
Se fra chi legge questa rubrica ci sono persone esperte in matematica, statistica, scienze biologiche o teoria della gestione, vorrei scusarmi con loro per l'imprecisione dei ragionamenti che seguono e dei "percorsi" che cercherò di tracciare. Non sto tentando di proporre modelli scientificamente corretti, ma solo stimoli (anche visivi) per un ragionamento.

Non intendo entrare nelle analisi, assai complesse, che riguardano la "teoria del caos", i sistemi turbolenti e la complessità. C'è una vasta letteratura sull'argomento e da molti anni è chiaro (almeno per i teorici) che il fenomeno non riguarda solo la fisica, la meteorologia o l'ingegneria, ma anche i comportamenti umani e, di conseguenza, i metodi di gestione d'impresa e il marketing.

Comincerò con un ragionamento puerile.

Se il mio obiettivo è andare da A a B, nella mia mente si profila un percorso lineare:

Nel mondo reale, le rette non esistono. Fra A e B ci sono necessariamente ostacoli, interferenze, percorsi indiretti; per cui anche se l'operazione che intendo svolgere è estremamente semplice, come andare al bar a prendere un caffè, è probabile che il percorso assuma un aspetto come questo:

In un'operazione così semplice, e che dura pochi minuti, sarà difficile che nel frattempo dimentichi dove stavo andando e perché. Ma il problema è assai diverso quando entra in gioco un'organizzazione, con percorsi enormemente più complessi, eventi imprevisti, continui cambiamenti della situazione in cui ci si muove, eccetera.

(Il percorso per andare al bar è tridimensionale, perché è probabile che per uscire debba usare le scale o l'ascensore; in un'organizzazione è ovviamente multi-dimensionale; gli schemi "piani" in cui tento di riassumerlo sono necessariamente molto meno complessi di com'è il fenomeno nell'esperienza reale).

Diventa così possibile (anzi accade molto spesso) che alcune parti dell'organizzazione dimentichino la direzione originaria...

...e l'intero sistema perda di vista l'obiettivo, con la complicazione aggiunta che diverse componenti dell'organizzazione credano di essere dirette verso C, D, E o F e quindi lavorino in disarmonia fra loro. Questo è comunque un problema grave; ma è da notare che se chi si dirige verso C o F si sta spostando, sia pure con un percorso laterale, verso B, chi si dirige verso D o E sta andando nella direzione contraria e per tornare sulla strada che porta a B dovrebbe fare una complessa, faticosa (e spesso costosa) inversione di marcia.

Credo che non sia difficile, osservando il comportamento delle organizzazioni (pubbliche o private) constatare fenomeni di questo genere.

In un ambiente stabile, o con evoluzioni prevedibili e controllabili, la soluzione (almeno in teoria) è semplice. Basta che tutte le componenti del sistema abbiano una bussola. Cioè che non ci sia troppa "parcellizzazione" del lavoro e delle responsabilità, che ci sia una conoscenza condivisa del fatto che la rotta è verso B, e il processo sia governato da una sistematica verifica dei percorsi così che le (inevitabili) deviazioni riconvergano nella direzione giusta. Cioè il sistema dovrebbe comportarsi così:

Ma in un ambiente complesso e turbolento il processo può evolversi in tutt'altro modo. La situazione è mutevole e imprevedibile. Proseguire ostinatamente verso l'obiettivo B può rivelarsi un errore. Se osserviamo lo schema della dispersione in direzioni diverse, vediamo che (per esempio) due deviazioni spontanee (C e D) convergono verso una direzione imprevista. Ci conviene cercare di capire perché. Potremmo scoprire che la situazione è questa:

Cioè l'evoluzione "turbolenta" del sistema ci ha fatto scoprire un nuovo obiettivo N, sul quale dobbiamo far convergere le nostre energie; ma senza tagliare del tutto i rami che vanno esplorando altre, e impreviste, possibilità. Notiamo che alcuni di questi "rami esplorativi" hanno direzioni simili al "vecchio" obiettivo B, altri non divergono molto dal "nuovo" obiettivo N, altri ancora si dirigono in territori meno conosciuti; e che l'intero sistema ha una struttura forse poco "logica", ma più semplice dei sistemi reali in cui ci si invischia se si tenta di seguire un modello "lineare". Infatti la cosiddetta "complessità" non è intrinsecamente più complessa dei sistemi apparentemente "ordinati"; e tende a sintesi più semplici. La difficoltà sta nel fatto che non siamo preparati a capirla.

Tutto questo somiglia molto più alla crescita di una pianta che al comportamento di una macchina. Infatti, sembra quasi inevitabile che le analisi dei sistemi complessi portino ad analogie biologiche. Non desidero entrare qui nelle considerazioni, in parte astruse, che per molti percorsi diversi convergono su questa (abbastanza ovvia) conclusione. Ma credo che la semplice comprensione intuitiva di questo fatto possa aiutarci a capire come muoverci nel mondo della complessità, dove quasi sempre è vincente il pensiero "non lineare".

Questo riguarda l'intera evoluzione della società e dell'economia. Ma è particolarmente importante nel caso delle reti, cioè delle comunità connesse, che si evolvono come esseri viventi e come "ecosistemi".

Mario's Scenarios - la rete rallenta

Un'applicazione interessante dei ragionamenti sulle evoluzioni "non lineari" si trova in un'analisi di uno studioso tedesco, Mario Hilgemeier, che nel quadro di un'elaborazione abbastanza complessa dei concetti e criteri che governano i sistemi "caotici" arriva a definire quelli che chiama Mario's Scenarios e a tracciare alcune proiezioni, che (naturalmente) seguono la classica "curva logica" della biologia: quella curva "a S" di cui si parlava nel terzo numero di questa rubrica. Gli "scenari" affrontano anche temi molto più ampi, come la crescita della popolazione mondiale; due di essi si riferiscono alla rete.

Il primo riguarda la crescita dei host internet nel mondo. Mario Hilgemeier osserva che «l'enfasi è tramontata, abbiamo una visione molto più realistica dell'internet»; ma anche nelle sue elaborazioni «le previsioni sono sempre state più alte della realtà». Ritiene che si sia raggiunto il punto di massima velocità di crescita nel giugno 1997; la sua analisi proietta un raddoppio in cinque anni e un livellamento su 38 milioni di host (rispetto ai 19 attuali) fra il 2001 e il 2003; cioè un aumento medio del 13% all'anno (con buona pace di chi, fino a poco tempo fa, "dava per certa" una crescita del 15% al mese).

Secondo un'analoga proiezione per l'Europa, la massima crescita si dovrebbe avere nell'ottobre 1997 (invece, come vedremo, il rallentamento è cominciato prima) con un assestamento, intorno al 2002, a circa 11 milioni di host internet (con un incremento medio del 15% all'anno, un po' superiore al resto del mondo).

Il Dr. Hilgemeier, che è uno studioso della complessità, non propone queste analisi semplificate come "profezie", ma solo come linee di tendenza. Probabilmente in realtà succederà qualcosa di diverso. Inoltre (come ho già detto varie volte) non credo che l'evoluzione della rete sia un fenomeno unitario e omogeneo, riconducibile a un'unica "curva". Tuttavia queste proiezioni sono assai più ragionevoli e coerenti di tante altre, perché tengono conto di tre fatti:

  • La crescita di fenomeni come questi non è lineare.
  • A fasi di crescita veloce seguono inevitabilmente fasi di rallentamento.
  • La spinta che ha portato a una crescita particolarmente veloce negli anni scorsi sta perdendo la sua "forza inerziale".

Ciò non toglie che possano esserci fatti nuovi, che generino nuove evoluzioni e nuove spinte; ed è anche probabile che la rete come la conosciamo oggi sia solo uno dei modi possibili in cui si realizza la "società connessa". Dove (lasciatemelo ripetere ancora una volta) potranno essere significative le innovazioni tecnologiche, ma l'elemento determinante sarà l'evoluzione "biologica" dei comportamenti umani.

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4. L'Europa rallenta
Poco più di un mese fa, si era parlato della situazione in Europa. Mi sembra opportuno ritornare sul tema, perché i nuovi dati RIPE confermano una tendenza significativa. Solo all'inizio del prossimo anno, quando uscirà la nuova serie dei dati semestrali su scala mondiale, potremo capire se si conferma il fenomeno, rilevato da diversi osservatori, di una relativamente minor crescita della rete in Europa rispetto al resto del mondo. Ma intanto vediamo qual è la progressione dal 1991 a oggi. Mi scuso per la farraginosa massa di numeri; ma per percepire la tendenza basta scorrere velocemente l'ultima colonna, quella delle percentuali.


Numero di host
internet in Europa
Aumento
nel trimestre
Crescita %
1991 Marzo 44.506 15.276 52,3

Giugno 63.267 18.761 42,1

Settembre 92.834 29.567 46,7

Dicembre 135.000 42.166 45,4
1992 Marzo 167.939 32.939 24,4

Giugno 196.758 28.819 17,2

Settembre 232.522 35.764 18,2

Dicembre 284.374 51.852 22,3
1993 Marzo 355.140 70.766 24,9

Giugno 404.930 49.790 14,0

Settembre 469.356 64.424 15,9

Dicembre 553.357 84.001 17,9
1994 Marzo 655.164 101.807 18,4

Giugno 760.385 105.221 16,1

Settembre 888.398 128.013 16,8

Dicembre 1.029.270 140.872 15,9
1995 Marzo 1.326.078 296.703 28,8

Giugno 1.550.520 224.988 16,9

Settembre 1.830.389 280.386 18,1

Dicembre 2.206.360 369.027 20,2
1996 Marzo 2.483.689 277.454 12,6

Giugno 2.910.043 426.210 17,1

Settembre 3.290.100 364.473 12,5

Dicembre 3.674.257 378.507 11,5
1997 Marzo 4.213.308 535.128 14,6

Giugno 4.738.080 524.503 12,4

Settembre 5.122.510 380.210 8,0

L'evoluzione è ancora più evidente se la riassumiamo in un semplice grafico:

Percentuali di crescita del numero di host internet in Europa - 1991-1997
Host internet per 1000 abitanti

Vediamo ora un aggiornamento della situazione nei singoli paesi.

Europa e Mediterraneo - giugno-settembre 1997
28 paesi con più di 10.000 host internet - su un totale di 52 paesi nell'area RIPE (Réseaux IP Européens)

30 giugno 30 settembre Crescita %
nel trimestre
Gran Bretagna 887.231 944.237 6,4
Germania 903.870 934.453 3,4
Finlandia 366.275 429.295 17,4
Olanda 342.845 365.237 6,5
Francia 304.028 331.946 9,0
Svezia 289.759 328.288 13,3
Italia 242.575 260.006 7,2
Norvegia 210.094 221.762 5,6
Spagna 169.534 178.655 5,4
Svizzera 147.064 167.322 13,8
Danimarca 133.979 145.919 8,9
Russia 112.827 130.616 15,8
Austria 92.797 94.445 1,8
Belgio 88.756 94.735 6,7
Polonia 73.845 80.433 8,9
Israele 61.227 73.402 19,9
Repubblica Ceca 49.611 54.702 10,3
Ungheria 41.750 43.943 5,3
Portogallo 34.686 38.120 9,9
Irlanda 33.020 35.249 6,8
Grecia 20.578 24.559 19,3
Turchia 24.596 22.476 (- 8,6)
Slovenia 17.036 18.212 6,9
Islanda 13.864 15.430 11,3
Estonia 11.985 13.201 10,1
Romania 6.898 11.874 72,1
Slovacchia 11.013 11.466 4,1
Ucraina 10.275 11.195 8,9
Totale area RIPE 4.738.080 5.122.510 8,1

Risulta lenta la crescita in alcuni grandi paesi (in particolare la Germania) mentre è interessante notare come continui uno sviluppo veloce in paesi che hanno già una densità molto alta, come la Svezia, la Svizzera e specialmente la Finlandia.

L'Italia ha una crescita inferiore alla media europea; si conferma il rallentamento dopo lo sviluppo veloce che c'era stato alla fine dell'anno scorso.

La Francia, per ora, mostra una crescita poco superiore alla media europea; sembra che ancora non si faccia sentire l'effetto delle iniziative del governo di Parigi per correggere l' anomalia francese, cioè per trasferire sull'internet le attività, molto più estese, che si svolgono tramite il "vecchio" minitel.

Discontinuo anche l'andamento nei paesi dall'Europa orientale. In crescita, come previsto, la Russia; ma a un "balzo" come quello della Romania corrisponde un rallentamento di paesi tradizionalmente forti nella rete (per esempio l'Ungheria, che in questo periodo ha una crescita lenta, come la vicina Austria). Nella parte orientale del Mediterraneo la Grecia è in ripresa e sorpassa di nuovo la Turchia, che dopo una crescita veloce ha una sensibile diminuzione (non è sorprendente, in un fenomeno nuovo e turbolento, vedere "assestamenti" come questo).

Come è ormai "tradizionale" in questa rubrica, vediamo ora la densità pro-capite.

Host Internet per 1.000 abitanti
20 paesi (su 52 nell'area RIPE) con più di 10.000 host internet e con una densità superiore a 4

Crescita degli Host in Europa

La parte verde delle barre rappresenta l'aumento in un trimestre (da giugno a settembre). Si notano, come sempre, differenze e discontinuità. La Finlandia mantiene il suo "primato" mondiale nell'internet, con una densità straordinaria: un host per ogni 12 abitanti. La posizione dell'Italia rimane arretrata, specialmente rispetto a paesi "comparabili" per peso economico.


Mi è sembrato utile riprendere il tema dell'Europa alla luce dei nuovi dati, e anche degli "scenari" di Mario Hilgemeier; rimando perciò ai prossimi numeri gli approfondimenti su altre aree geografiche.


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loghino.gif (271 byte) 5. Qualche problema per l'impero Microsoft
Devo confessare che non ho molta simpatia per la Microsoft. Credo che sia inevitabile vivere con un certo fastidio qualsiasi forma di strapotere "egemonico", specialmente quando si traduce nella sofferenza quotidiana di essere costretti a convivere con software sempre più elefantiaci - e così inutilmente macchinosi e complessi da essere un'inesauribile miniera di problemi e pasticci.

Chi produce l'80 per cento dei sistemi operativi installati sui personal computer e non se ne accontenta (e sta tentando, purtroppo non senza successo, di ottenere un analogo predominio nella rete) non può certo aspettarsi universale benevolenza. Ma non credo che sia giusto accusare solo un'unica impresa di quel folle percorso verso l'inutile sovraccarico che sembra restare, nonostante le crescenti evidenze contrarie, la regola di questo bizzarro "mercato".

È interessante notare che contro il monopolio ormai non si schierano più solo le voci della rete, ma anche i grandi giornali (americani) e altre non irrilevanti forze; ma non possiamo illuderci che bastino queste verifiche, o anche la nascita (se sarà possibile) di un mercato più sano e competitivo, a invertire il "circolo vizioso" in cui siamo imprigionati. La speranza è che, una volta aperto un processo di verifica, il "coro folle" che inneggia alla bulimia come se fosse innovazione possa finalmente incrinarsi e lasciare spazio a quelle voci di buon senso che, benché continuamente crescenti, finora non sono riuscite a "bucare" con efficacia il rumore dominante.

Non credo che i problemi da cui siamo afflitti si risolvano con la sfida dei browser, dove la Microsoft fa leva sul suo monopolio dei sistemi operativi per cercare dei abbattere il predominio di Netscape (col poco entusiasmante risultato che i contendenti si affannano a "appesantire" continuamente i loro prodotti); né con la batracomiomachia fra Microsoft e Sun a proposito di Java, che sta assumendo i toni di una "guerra di religione". Ma forse c'è qualcosa di nuovo.

La notizia è che il 13 e 14 novembre all'hotel Omni Shoreham di Washington si terrà un convegno sul tema Appraising Microsoft and Its Global Strategies organizzato da Ralph Nader - un avvocato molto famoso negli Stati Uniti per la sua aggressività contro "grandi interessi", fin da quando vinse una dura battaglia contro la General Motors nel 1966. Da trent'anni svolge un'intensa attività per i diritti civili e la difesa dei "consumatori". Non ha molti amici a Washington o nelle stanze del potere economico; una sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti nel 1996 (con il partito dei "verdi") fu considerata da alcuni un po' farsesca; ma nelle sue sfide contro varie categorie d'impresa ha ottenuto una serie di clamorosi successi. Parteciperanno al convegno Scott McNealy, CEO della Sun, Roberta Katz, general counsel di Netscape, Christine Varney, formerly a commissionary della Federal Trade Commission, e altri "non piccoli calibri". Sono invitati anche Bill Gates e il vicepresidente Al Gore (che secondo alcuni "maligni" sarebbe un protettore politico della Microsoft) ma finora non hanno accettato di intervenire.

Insomma un problema, di cui da anni si "mormorava" in rete, viene posto all'opinione pubblica americana (e mondiale) con un'evidenza senza precedenti. Quali saranno i risultati è difficile prevedere; ma l'incanto è rotto. Sull'orizzonte delle acque soleggiate in cui naviga trionfalmente l'Invencible Armada si profila qualche nube tempestosa.

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loghino.gif (271 byte) 6. Il caso Toyota
Un buon esempio di lead generation è quello della Toyota, riferito da Business Week il 6 ottobre. Con una campagna di banner, la società automobilistica giapponese invitava i lettori negli Stati Uniti a visitare il suo sito web. In dodici mesi, dal giugno 1996 al maggio 1997, 152.000 persone hanno compilato un modulo offerto online. La Toyota ha poi verificato questi nomi con le informazioni ricevute dai concessionari e ha constatato che 7.392 di quelle persone avevano comprato una delle sue automobili.

Jon Bucci, interactive communication manager della Toyota USA, dice che la "quota di conversione" del 4,7 per cento ottenuta tramite la rete è molto più elevata di quelle che si avevano con altri metodi di lead generation, per esempio il "numero verde".

Un aspetto interessante di questa storia è che la Toyota non ha "comprato dati", né violato la privacy di alcuno, ma si è servita delle informazioni intenzionalmente fornite da persone interessate ai suoi prodotti. Questo conferma che le strategie vincenti spesso non sono comportamenti "invasivi" ma metodi che offrono informazioni e servizi e così ottengono la collaborazione, cosciente e volontaria, dei potenziali clienti.




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