Offline Riflessioni a modem spento


I “decennali”
del 2004

Web Marketing Tools
settembre 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Che siano passati dieci anni, piuttosto che nove o undici, da questo o quell’evento non è particolarmente importante. Ma le “ricorrenze”, per quanto convenzionali, sono un’occasione per dare un’occhiata al percorso che ci ha portati al punto in cui siamo. Nella storia dell’internet il 1994 è l’anno di alcuni notevoli cambiamenti. (Sull’evoluzione storica della rete vedi la “cronologia” in appendice a L’umanità dell’internet).

Solo chi era in rete prima di allora ricorda il mondo dei BBS – la principale, se non l’unica, risorsa a disposizione di chi non aveva il privilegio, a quei tempi raro, di poter usare l’internet (che era accessibile solo in alcune università e istituzioni pubbliche).

A questo proposito c’è un altro anniversario – che si riferisce a vent’anni fa.
C’erano bulletin board system in America dal 1972, ma i collegamenti internazionali cominciarono nel 1984 – e nello stesso periodo nacquero i primi bbs in Italia. Nel 1994 ce n’erano duemila nel nostro paese: un numero, per l’epoca, tutt’altro che piccolo.
Ma da allora, con la crescente diffusione dell’internet, cominciò l’inevitabile declino – non dei bbs come comunità online, che continuano a crescere e moltiplicarsi, ma come tecnologia e metodo di collegamento.

Molti, in Italia come in gran parte del mondo, dieci anni fa ignoravano l’esistenza dell’internet – o ne avevano solo vagamente sentito parlare. Anche alcuni anni più tardi c’era qualcuno, abituato alle reti di BBS o ai sistemi interni delle multinazionali, che diceva: «Curioso... che cos’è quella roba lì con la chioccioletta?».


Alla fine del 1994 cominciarono a diffondersi le offerte di accesso all’internet. Ne seguuì una proliferazione di provider, che divennero centinaia, anche se non coprivano ancora tutto il territorio – in Italia come in altri paesi.

I modem a 4800 bps sembravano più che sufficienti (e lo erano, perché con un po’ di attenzione a evitare sovraccarichi si andava più svelti di quanto accada oggi con connessioni molto più veloci).

La rete era vispa, giovane e snella – libera da quei malanni di bulimia di cui poi ha sofferto e di cui fatica a guarire.

C’era in alcuni una viva speranza, in altri una strana paura. In buona parte è ancora così. Riprenderò questo argomento alla fine. Ma intanto ritorniamo al 1994.

Si cominciava a parlare diffusamente di world wide web – che esisteva dal 1990, ma solo nel 1994 cominciò ad avere una larga diffusione. La sovrapposizione dei due sviluppi è il motivo per cui molti pensano che internet e web siano la stessa cosa. Con conseguenze bizzarre – e talvolta perverse.


Alla fine del 1994 c’erano quasi sei milioni di host internet nel mondo, un milione in Europa, 30.000 in Italia. Erano dimensioni straordinarie rispetto a quello che si poteva immaginare dieci anni prima. Ma piccole in confronto allo sviluppo che c’è stato nei dieci anni seguenti.

Nel 1994 cominciavano a circolare ipotesi fantasmagoriche su un’immaginaria crescita “esponenziale”. Di quelle bizzarrie si è perso il ricordo. Ma sono da dimenticare anche le delusioni che seguirono, perché la rete, con un progresso più solido e realistico, continua vigorosamente a crescere. (Sullo sviluppo dell’internet in Italia, in Europa e nel mondo vedi la sezione dati).

Non solo nel 1994, ma anche dieci anni prima, erano evidenti quei fenomeni di manipolazione finanziaria che continuarono a crescere fino al 2000 quando la “bolla” raggiunse, come la rana della favola, la sua massima espansione – per poi, com’era inevitabile, sgonfiarsi.

Un’opinione ancora oggi diffusa, quanto infondata, è che quel fenomeno fosse nato dalle esagerate aspettative di un’immaginaria “nuova economia”. C’è stata, è vero, una serie di speculazioni azzardate nell’area della cosiddetta “alta tecnologia”. Ma questa è una conseguenza, non la causa, del clima speculativo che aveva preso il sopravvento non solo in borsa, ma anche nella gestione delle imprese. Come dimostrano le catastrofi in tutt’altri settori di attività. Anche in questo caso, come per altri grossi problemi, è importante capire meglio le cause, per poter più efficacemente trovare le soluzioni. (Vedi L’equivoco della “bolla”).


Nel 1994 nacque Netscape. Di cui al giorno d’oggi si scrivono le necrologie. Questo tema merita un approfondimento a parte (vedi La triste fine di Netscape e Il dilemma dei browser). Ma è malinconica la diffusa rassegnazione all’idea che esista un solo browser e che non ci siano alternative – né stimoli a far meglio.

Naturalmente non è vero, perché anche se AOL, nella sua profonda crisi, ha rinunciato a sostenere Netscape, ci sono, per chi le vuole, soluzioni diverse. Ma è preoccupante che si consideri accettabile un monopolio inconciliabile con la natura intrinseca dell’internet – come di ogni libera e aperta comunicazione umana.

Nel 1994 la Microsoft, che stava consolidando il suo monopolio del software, non si era accorta dell’internet. Non solo non ha mai avuto (come, chissà perché, qualcuno immagina) alcun ruolo nella nascita e nello sviluppo della rete, ma quando divenne chiaro che l’internet stava diventando importante si trovò completamente spiazzata. Tentò, negli anni seguenti, di correre ai ripari – creando, fra l’altro, un proprio network, che ha trovato un suo spazio, ma molto inferiore alle ambizioni di chi è abituato a posizioni dominanti.

Riuscì, qualche anno più tardi, ad assumere il controllo di alcuni strumenti (incorporando browser e gestione e-mail nel suo sistema operativo). Nonostante quei vantaggi, non è riuscita a impadronirsi dell’internet. Ma non è il caso di illudersi. Continuerà a tentare di farlo, come parecchi altri che vedono con fastidio spazi di comunicazione capaci di sfuggire al controllo dei sistemi centralizzati e omogeneizzati.


Nel 1994, in un sottoscala a Seattle, Jeff Bezos e alcuni amici stavano armeggiando intorno a quella che l’anno dopo sarebbe diventata Amazon. Data mille volte per morta, la libreria più nota nel mondo continua a crescere e a prosperare. E sarà difficile sconfiggerla se resterà fedele ai criteri di servizio su cui si è basata alle origini.

Ma non deve dimenticare ciò che diceva, alcuni anni fa, il suo fondatore. «Le imprese che credono di poter contare sulla fedeltà di marca sono matte. I clienti ci sono fedeli se non approfittiamo della loro fiducia. Non ci si può riposare sugli allori. I clienti ci sono fedeli fino all’istante in cui qualcun altro offre un servizio migliore». (Vedi un’intervista a Jeff Bezos pubblicata nel 2000).

Un’impresa che opera in un mercato reale e competitivo non può contare su rendite di posizione. Se Amazon, appesantita dalla dimensione, perdesse qualità di servizio potrebbe trovarsi in difficoltà – come è accaduto ad altri che sembravano inattaccabili.

Intanto, in generale, le cose si evolvono anche nell’uso commerciale della rete. Fra le leggende di questi dieci anni c’è il tante volte annunciato, e mai avvenuto, improvviso “decollo” dell’e-commerce. Ma lontano dalle false profezie e dalle luci ingannevoli della ribalta c’è una crescita reale e continua. Meno mirabolante di quella che si immaginava – e perciò più solida e concreta. (Vedi Alti e bassi del “commercio elettronico”).


Nel 1994 uscì il primo quotidiano online in Italia – l’Unione Sarda. A solo un anno di distanza dal primo nel mondo, che fu il San Jose Mercury News nel 1993. (Seguirono poi Il Manifesto nel 1995, La Repubblica e Il Sole 24 Ore nel 1996, La Stampa e il Corriere della Sera nel 1998).

Cominciò nel 1994 anche una sfortunata avventura dell’editore dell’Unione Sarda, che si lanciò in un’ambiziosa iniziativa chiamata “vol” (Video On Line). Come altre operazioni di quel genere, fu largamente acclamata al suo inizio, dimenticata nel suo tramonto.
Fu una vicenda sintomatica delle false speranze che portarono, in quel periodo, a molti tentativi di impadronirsi dell’internet per ricavarne guadagni che sembravano facili, ma si sono rivelati impossibili.


Nel 1994 in Italia ci fu un evento oggi dimenticato, ma che allora ebbe un’eco internazionale come “la più massiccia operazione di sequestri di servizi telematici nella storia mondiale”. Vedi 1994, 2004... “1984” – la storia continua).

Non si è ripetuta, nei dieci anni seguenti, una strage come quella – ma sono continuate, e ancora oggi continuano, varie forme di persecuzione contro la libertà di informazione e di dialogo in rete. (Vedi i parecchi articoli in questo sito sulle molteplici “crociate” contro l’internet).


Insomma il 1994 non fu un anno “come tanti altri” nell’evoluzione dell’internet. Segnò una fase di cambiamento. Il principio della fine di un’epoca che è inevitabile, per chi c’era, ricordare con nostalgia. Non solo perché ci sentivamo un po’ speciali, sulle orme dei (pochi) pionieri che ci avevano preceduto. Ma anche perché avevamo la sensazione (o l’illusione?) di avere aperto le porte di un nuovo mondo, di possibilità prima impensabili di scambio, di conoscenza, di comunicazione.

Non c’è stata quella grande innovazione culturale che qualcuno immaginava (e che è concretamente possibile, ma dipende da evoluzioni umane, non dalle tecnologie). Ma l’internet c’è – e rimane, per chi la sa usare, uno strumento ricco di risorse che non abbiamo finito di scoprire.

C’è anche chi, oggi come allora, ha un’imbarazzata e confusa paura della rete – e continua a tentare di reprimerla o “demonizzarla”. La libertà di informazione e di opinione, in questa come in altre sue manifestazioni, è ancora oggi insidiata, anche da chi finge di proteggerla o incoraggiarla. La partita è aperta ed è improbabile che si concluda in pochi anni – o decenni. È difficile prevedere se, e come, le cose saranno cambiate nel 2014.



 

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