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timone Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it

 

Numero 25 - 31 agosto 1998

  1. Editoriale: "Globalità" e individualità
  2. Perchè la Finlandia?
  3. Un altro modo di "contare utenti"
  4. I codici segreti
  5. Non sempre "nuovo" è "meglio"
  6. Il valore dell'ipertesto
  7. Paura dell'internet

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loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: "Globalità" e individualità
Cito volentieri, ancora una volta, uno dei miei autori preferiti: Gerry McGovern (di cui ho riportato interessanti osservazioni qualche mese fa, nei numeri 13  e 14 di questa rubrica).

Nel suo articolo del 24 agosto The Myth of the individual affronta un problema che mi sembra importante. Da alcuni decenni sentiamo parlare spesso della fine del mondo "massificato" dell’era industriale, di una crescita della diversità e dei valori individuali; ma continuiamo a vivere in una cultura in gran parte banale e disperatamente ripetitiva (o almeno così rappresentata e pilotata dai grandi "mezzi di massa" e dalla loro sempre più piatta omogeneità su scala globale).

Ecco che cosa dice, a questo proposito, Gerry McGovern:

Qualche mese fa ero in una riunione molto importante con persone molto importanti. Gente che dirige alcune delle più potenti imprese del mondo. Personaggi che (supponiamo) hanno una forte individualità.

Strano... mentre osservavo questi uomini potenti – erano quasi tutti uomini – notai come fossero uniformi e indistinti. Quasi tutti con lo stesso vestito blu-grigio. Sembravano tutti uguali; la stessa espressione, lo stesso atteggiamento. Sembravano un gregge di pecore.

Un uomo, all’ultimo momento, verrà a salvare il mondo. Cavalcando dall’orizzonte sterminerà i cattivi; libererà la damigella in pericolo e la porterà in salvo. Hollywood ci ripete continuamente che il mondo è fatto per gli individui, che gli individui sono ciò che amiamo, che tutto ciò che vogliamo è essere individui. Forti e muscolosi, senza paura, pronti a salvare il mondo per la 978esima volta.

È tutto da ridere. Ci sono proprio pochi individui in giro. E non sono neppure desiderati. Vanno bene lassù sul grande schermo, ma non ne vogliamo troppi in ufficio, con una sigaretta accesa sotto il cartello "vietato fumare".

L’Internet, e in generale l’Era Digitale, sono il bastione del piccolo, dell’individuale. Il campo dove tutti possono giocare. Vero? E allora come mai ci sono così tante concentrazioni, convergenze, fusioni e acquisizioni? Se questa è l’era dei piccoli, come mai i cosiddetti dinosauri diventano sempre più grassi e divorano sempre di più?

L’America è la terra dell’individualismo, è stata costruita dagli individui. Vero? Date un’occhiata a un eccellente articolo di Media & Marketing International intitolato Death of the Company Town? in cui dicono: "Mentre gli americani pensano che questo paese è stato costruito sullo spirito pionieristico e la risoluta indipendenza di rudi individualisti che tracciavano nuovi sentieri, la verità è che il sudore che ha lubrificato gli ingranaggi della più grande potenza economica del mondo scendeva dalla fronte di persone che appartenevano, anima e corpo, alle grandi industrie".

Prima che qualche americano patriottico mi salti alla gola, lasciatemi dire che non sono anti-americano. Potrei parlare per secoli di cose dell’America che amo. Perciò risparmiatemi; sto solo cercando di guardare dietro ai miti per cercare un po’ di realtà.

Come mai, se l’America adora l’individuale, ha alcune delle leggi più restrittive del mondo sui diritti degli individui? Puoi portare armi, ma nella maggior parte dei posti non puoi fumare una sigaretta. Che cosa pensate che avrebbe detto John Wayne se gli avessero chiesto di spegnere il suo sigaro in un ristorante di San Francisco?

Anch’io, come Gerry McGovern, non sono anti-americano. Ci sono molte cose dell’America che ammiro, che mi piacciono, che mi divertono; come ce ne sono molte che sarebbe meglio non imitare troppo pedestremente. Quelli che mal sopporto sono gli pseudo-americani di casa nostra; compresi gli anti-americani che, con una lattina di coca-cola in una mano e un panino-hamburger nell’altra, "dicono male" dell’America senza saperne gran che e mal copiando, o peggio traducendo, le critiche già fatte da qualcuno oltre oceano.

Ma torniamo al tema dell’individualità. Si dice che gli italiani siano individualisti; in parte è vero, se non altro "per difetto". Rovinati da duemila anni di malgoverno, abbiamo una scarsa coscienza civile. Se questo è un disastro sociale, ha un risvolto positivo: la nostra capacità di "cavarcela", di gestire l’imprevisto, di trovare strade e modi di agire là dove chi ha una mentalità più rigida arriva in ritardo.

La cultura dell’omogeneo, del ripetitivo, la negazione delle differenze è un terreno che ci è poco favorevole. Lo coltiviamo quotidianamente, nell’imitazione e nell’aggregazione, nella passività che accetta e amplifica i modelli e i miti. Da questa prigione dobbiamo liberarci se vogliamo essere competitivi nell’economia e nella cultura del mondo.

La rete è un’occasione senza precedenti per dare spazio all’individuale, al diverso, al "piccolo"? Credo proprio di si. Ma è abbastanza ovvio che, anche in rete, i grandi sistemi omogenei, ripetitivi e concentrati stanno facendo tutto il possibile per prendere il sopravvento, e in parte ci sono riusciti. Il problema è che sul quel terreno quasi nessuno, in Italia, ha la possibilità di competere.

Credo che per tutti sia un bene coltivare la diversità e l’individualità. Per noi, è necessario.

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loghino.gif (1071 byte) 2. Perchè la Finlandia
Mi sono chiesto molte volte perché sia proprio in Finlandia il più intenso uso della rete. Ho sentito varie spiegazioni, di cui la più semplice è che fa freddo, quindi è meno facile incontrarsi in giro. Forse può essere un fattore, ma non credo che sia il più importante; ci sono paesi freddi, come la Russia, dove l’uso della rete è molto meno diffuso.

La bassa densità di popolazione è un motivo rilevante; infatti vediamo una penetrazione elevata della rete negli altri paesi scandinavi, in Canada, in Australia, eccetera. Ma ci sono paesi densamente popolati con uso intenso della rete – come l’Olanda.

Credo che ci siano altre spiegazioni. Ecco che cosa dice, per esempio, il mio amico David Casacuberta,  che è appena ritornato a Barcellona dopo un ennesimo soggiorno in Finlandia.

La Finlandia ha un forte "stato sociale". Un finlandese dà quasi metà dei suoi guadagni allo stato; qualcuno se ne lamenta, ma in generale c’è un forte spirito civico. Con questi soldi lo stato fa molte cose; una di queste è costruire una rete impeccabile di comunicazione elettronica. I servizi FTP finlandesi sono fra i più veloci; spesso preferisco scaricare software da una macchina in Finlandia che da una in Spagna.

Sono già tre anni che viaggio in Finlandia e mi sorprende la loro affabilità e timidezza. I finlandesi sono persone che si muovono male in una festa con tanta gente. Mentre gli altri chiacchierano animatamente, i finlandesi stanno silenziosi, aggrappati al bicchiere, guardando per terra, senza quasi mai fare conversazione. Ma se riduci il gruppo a tre o quattro persone, sono molto caldi e umani, parlano volentieri di cose "intime", sentimenti, vita personale, invece del solito "bla bla" su temi banali che sentiamo in giro.

Così sono in finlandesi: amano il dialogo fra pochi, privato e vicino. Sono persone timide, riservate. L’internet è un mezzo eccellente per questo tipo di conversazione; le chat, per non parlare dell’e-mail, funzionano bene con piccoli gruppi di persone. Il fatto di non vedersi né udirsi permette alle persone un po’ timide di sentirsi più a proprio agio. Infine la rete, quando il governo la lascia in pace, è ideale per parlare di argomenti intimi e privati.

Purtroppo non conosco la Finlandia. Ci sono stato solo una volta, per pochi giorni – e solo a Helsinki. I (non molti) finlandesi che conosco corrispondono a questa descrizione; e mi sono decisamente simpatici. Non so se sia giusto definirli "timidi", ma ho sempre considerato la timidezza come un segnale di qualità; spesso è lo stile di persone sensibili, intelligenti, con un’umanità profonda e una grande capacità espressiva che si rivela quando si superano le barriere di un dialogo neutro e convenzionale.

(Mi viene in mente anche che gli italiani hanno un carico fiscale non inferiore a quello dei finlandesi; ma il nostro stato fa un uso molto peggiore dei nostri soldi).

Un’altra osservazione sullo stesso argomento viene dall’Irlanda. Ecco che cosa scrive Sorcha Ni hEilidhe in un articolo del 12 agosto su NUA:

Mira, una mia amica finlandese, mi ha raccontato un storiella che si ripete spesso nel suo paese. Un tizio entra in un bar e ordina da bere. Arriva un altro, che si siede accanto a lui, beve e tace. Bevono tutta la sera fino a tarda notte. Tre giorni dopo sono ancora lì. A un certo punto uno dei due si volta verso l’altro e dice: "Brutto tempo, vero?". L’altro si gira lentamente e risponde: "Sei qui per parlare o per bere?".

C’è un doppio senso, mi ha spiegato Mira, perché i finlandesi si vantano di non perder tempo in chiacchiere e convenevoli. "In pratica", dice nella sua lettera, "qui non si fa conversazione. Quando le persone vogliono comunicare, preferiscono scriversi".

Forse per questo la Finlandia è il paese con il più alto uso dell’internet nel mondo. Studi sull’esperienza finlandese in rete dicono che la crescita viene soprattutto dall’uso domestico e che l’utilizzo principale è l’e-mail.

Secondo un sondaggio telefonico Gallup il 41 per cento dei finlandesi usa la rete "almeno una volta all’anno"; il 35 per cento "nell’ultima settimana" e il 12 per cento "ieri". Secondo una ricerca di Taloustutkimus i finlandesi che usano, più o meno spesso, la rete sarebbero il 37 per cento.

Sei utenti su dieci sono maschi. Su 100 persone che "hanno usato l’internet ieri" 49 si collegano da casa, 40 dall’ufficio, 18 da scuola e 2 da biblioteche pubbliche. [In molti altri paesi, compresa l’Italia, l’uso della rete è prevalentemente dal luogo di lavoro– n.d.t.].

Secondo Risto Sinkko del Finnish Bureau of Media Audits entro la fine dell’anno il numero di telefoni portatili in Finlandia supererà quello dei telefoni tradizionali. "In Finlandia il telefono portatile non è più lo strumento di un importante uomo d’affari, ma il primo telefono di una persona giovane e meno ricca che comincia una vita indipendente". [Nokia, uno dei maggiori produttori di telefoni cellulari, è finlandese; in Finlandia, come in mezzo mondo, i portatili costano meno che in Italia; contrariamente a un’opinione diffusa, l’Italia non è il paese più avanzato in Europa nella telefonia mobile; ed è uno dei paesi più arretrati nell’uso della telefonia cellulare per trasmissione dati – n.d.t.].

L’articolo conclude così: Ritornando alla storiella che mi ha raccontato Mira, forse i finlandesi sono timidi e non amano molto parlarsi faccia a faccia, specialmente in luoghi pubblici.

Insomma sembra che il motivo per cui l’internet è così diffusa in Finlandia sia il carattere dei finlandesi. La loro superiorità tecnica è una conseguenza, non l’origine, del loro comportamento.

Questa storia, secondo me, ha una morale. Quando cerchiamo di capire qualcosa della rete (come di ogni altro sviluppo tecnologico) troviamo sempre che le componenti più importanti sono umane e culturali. Con un pizzico di "volontà politica": cioè la capacità di un governo (e di un sistema culturale, sociale ed economico) di capire le esigenze dei cittadini e di fare ciò che è necessario per soddisfarle.

Forse dovremmo imparare dai finlandesi. Meno chiacchiere insulse, meno schiamazzi e parole al vento, più scambi di sentimenti e di esperienze umane, più corrispondenza scritta... e uno stato che usi un po’ meglio il denaro dei contribuenti, magari anche cercando di far crescere la rete invece di reprimerla e imbavagliarla – o farla sembrare, come fa con ossessiva insistenza la televisione pubblica, un covo di "pedofili" e di maniaci.

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3. Un altro modo di "contare utenti"
Non vorrei ripetere per l’ennesima volta i motivi per cui non mi sembra importante cercare di misurare il numero di "utenti" internet – e le ragioni per cui non considero molto attendibili, né comparabili, i vari sistemi con cui si cerca di stabilire quanti sono.

Ho sempre pensato che non si possa stabilire una relazione diretta fra il numero di host internet e il numero di "utenti". Ma forse sbaglio. C’è chi sostiene che una correlazione esiste; e che in giro per il mondo ci sono "circa" quattro o cinque utenti per ogni host. La tesi è un po’ strana, perché se fosse vero negli Stati Uniti ci dovrebbero essere fra 95 e 120 milioni di "utenti" mentre chi ha cercato di contarli dice che sono fra 30 e 70. Ma nel resto del mondo sembra che la correlazione non sia insensata (se pensiamo a una definizione estesa di "utente").

È vero che alcuni domain .com, .net o .org hanno proprietari non americani (così come possono essere, e infatti talvolta sono, americani i proprietari di domain .it). Ovviamente non c’è alcuna relazione "obbligatoria" fra l’identità nazionale di un domain e la macchina "fisica" su cui opera – e neppure con la sede della persona o organizzazione che lo gestisce. Sappiamo che pampurio.com può essere in Italia, così come pampurio.it può essere in Finlandia; un’organizzazione di Torino o di Toronto può avere un domain pampurio.to (isola di Tonga). Per esempio wmtools.com, che ospita questa rubrica, appartiene a un’impresa di Gallarate e funziona su un server a Bologna; il domain gandalf.it, che è legalmente e sostanzialmente italiano, funziona su un server nelle Baleari. Ma se si approfondisce un po’ il problema si capisce che in totale i host "apparentemente americani", o comunque con una sigla diversa da quella della loro identità nazionale, non sono più del due o tre per cento: quindi il calcolo non cambia in modo rilevante.

Con tutte queste premesse e riserve... proviamo a vedere, per curiosità, quanti "utenti" ci sarebbero, se questo calcolo fosse accettabile, nei 29 paesi che secondo l’ultimo censimento mondiale avevano più di 50.000 host (esclusi gli Stati Uniti) – e nelle grandi aree geografiche (esclusi Stati Uniti e Canada). Per i paesi europei ci sono due numeri: il primo basato sull’analisi "mondiale", l’altro sui dati dell’area Europa-Mediterraneo (che sono un po’ diversi – e più aggiornati).

Numeri di "utenti" internet

% su abitanti

Giappone 6.100.000 4,8
Gran Bretagna 5.400.000 5.900.000 10,1
Germania 5.200.000 5.900.000 7,2
Canada 4.600.000 15,6
Australia 3.400.000 18,8
Olanda 2.300.000 2.400.000 15,5
Finlandia 2.300.000 2.000.000 39,1
Francia * 1.900.000 2.000.000 3,5
Svezia 1.700.000 1.650.000 18,8
Italia 1.450.000 1.600.000 2,8
Norvegia 1.400.000 1.350.000 31,1
Spagna 1.100.000 1.150.000 2,9
Svizzera 900.000 1.000.000 13,9
Danimarca 850.000 900.000 17,4
Nuova Zelanda 800.000 22,4
Corea 800.000 1,8
Brasile 750.000 0,5
Belgio 700.000 800.000 7,4
Russia 700.000 800.000 0,5
Sudafrica 600.000 1,5
Austria 600.000 700.000 8,8
Taiwan 500.000 2,3
Polonia 450.000 500.000 1,3
Israele 400.000 450.000 7,6
Messico 400.000 0,4
Ungheria 350.000 400.000 3,8
Repubblica Ceca 300.000 300.000 3,1
Singapore 300.000 9,7
Argentina 250.000 0,8

*in questo caso per la Francia non si tiene conto del minitel – che darebbe una "utenza" complessiva superiore al 10 %.

Europa 29.000.000 31.000.000 4,4
Asia 8.000.000 0,2
Oceania 4.200.000 14,0
America Latina 1.500.000 0,3
Africa 700.000 0,1

È un calcolo un po’ arbitrario... ma il risultato è curiosamente vicino alle cifre cui si arriva con altri metodi.

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4. I codici segreti
Le vicende giudiziarie fra la Microsoft e le autorità americane si trascinano in un seguito di vicende complesse, in cui emergono qua e là temi che vanno oltre il caso di una singola azienda.

Nathan Newman di NetAction, in un articolo del 20 agosto, spiega che il giudice Thomas Penfield Jackson della U.S. District Court ha ordinato alla Microsoft di consegnare i "codici sorgenti" di Windows ai rappresentanti legali dello stato, così che possano determinare se la società "ha usato le strutture interne del codice per espandere illegalmente il suo monopolio". Cosa che ha suscitato violente proteste della Microsoft.

Questa situazione, dice l’articolo, mette in evidenza il fatto che un sistema operativo segreto è incompatibile con le esigenze legali e di innovazione della nuova economia.

Lascio agli esperti di legge l’approfondimento degli aspetti giuridici. Ma ciò che mi sembra evidente è che si mette ancora una volta sul tavolo un problema di fondo.

I temi della nuova economia, così efficacemente inquadrati nell’articolo di Kevin Kelly di cui ho pubblicato un riassunto l’anno scorso, mettono l’accento sui valori delle conoscenze condivise e dello scambio di informazioni; e l’importanza delle soluzioni aperte è fondamentale per lo sviluppo delle nuove tecnologie e in particolare della rete.

Osserva Nathan Newman:

È un’anomalia della legge per la protezione della proprietà intellettuale che la struttura del software non sia pubblicamente nota. Opere tradizionalmente coperte da copyright, come libri o musica, rivelano inevitabilmente la loro struttura e la loro progettazione così che altri scrittori o musicisti la possano studiare e migliorare. Anche gli ideatori di tecnologie tradizionali devono fornire i dettagli di come funziona una nuova invenzione per poterla brevettare.

Se la difesa del copyright deve servire, come dice la costituzione americana, a "promuovere il progresso delle scienze e delle arti", è giusto che gli innovatori siano compensati per il loro lavoro ma è altrettanto importante che lo rendano pubblico così che altri innovatori abbiano pieno accesso e possano tentare di crearne una versione migliore.

Il software non è mai entrato bene in questo schema, perché quasi tutte le innovazioni sono "aggiuntive", cioè si innestano su tecnologie precedenti. .... Finché il software consisteva di soluzioni separate che funzionavano indipendentemente, la protezione del copyright poteva essere economicamente e tecnicamente utile. Ma poiché la tecnologia è sempre più concepita per funzionare in congiunzione con altro software, specialmente con la crescita dei sistemi in rete e dell’internet, la segretezza del "codice sorgente" è sempre più un ostacolo fondamentale all’innovazione.

Nel caso della Microsoft, vediamo sempre più che l’innovazione è danneggiata dal segreto del codice sorgente. Perché la Microsoft controlla il sistema operativo necessario per far funzionare altro software sui personal computer, e in più sta cercando di controllare anche il sistema di browser su cui ogni altro software internet deve funzionare. ....... Non solo questo dà un vantaggio anticoncorrenziale alla Microsoft, ma il fatto che non è consentito a tutti i programmatori l’accesso al codice ostacola l’innovazione a danno dei consumatori. Poiché le risorse del sistema operativo sono integrate dietro il segreto del codice, diventa estremamente difficile per chiunque altro migliorare qualsiasi aspetto del funzionamento senza sostituire "in toto" Windows con un altro sistema operativo.

L’opposizione alla fusione di Internet Explorer con Windows non è solo basata sul timore che la Microsoft estenda alla rete il monopolio che ha nei sistemi operativi, ma soprattutto sul pericolo che tutta una serie di funzioni, cioè l’accesso all’internet, sparisca dietro la barriera del codice sorgente segreto. Finché il browser era un software separato, tutti i concorrenti avevano qualche possibilità, se non altro nelle scelte di programmazione, su come integrate le funzioni internet con le altre funzioni del computer. Ma ora per definizione, poiché nessun altro può accedere al codice sorgente, la Microsoft non ha concorrenza nell’integrazione fra l’internet e il sistema operativo. Perciò la fusione delle funzioni browser con il sistema operativo è la morte dell’innovazione competitiva in aspetti fondamentali di funzionamento della rete.

L’alternativa sarebbe che i codici fossero pubblici e che i programmatori fossero liberi di creare aggiunte innovative al sistema operativo. C’è una vasta gamma di software aperti, compreso il sistema operativo Linux, in cui questa è la realtà. Il risultato è software generalmente considerato più innovativo e robusto del software commerciale dove solo pochi programmatori hanno accesso al codice segreto.

Linux non sostituirà Windows nel prossimo futuro, benché stia facendo notevoli progressi. Ma la sua continua innovazione per opera di tanti programmatori indipendenti dimostra quanto perdiamo per la segretezza dei codici Windows.

Rivelando i codici sorgenti del suo browser e incoraggiando altri a contribuire, la Netscape ha fatto un passo incoraggiante nella direzione della programmazione aperta e sarebbe desiderabile che la Microsoft seguisse il suo esempio. .......

Se i concorrenti fossero liberi di creare sostituzioni innovative per diverse funzioni di Windows, le preoccupazioni sul monopolio Microsoft potrebbero diminuire. Crescerebbero la concorrenza e l’innovazione – con un netto vantaggio per i consumatori.

Sono convinto che nel mondo di oggi il concetto generale di "proprietà intellettuale" e "diritto d’autore" debba essere rivisto. Il tema si pone con particolare intensità e urgenza nel settore del software, e specialmente dei sistemi operativi e della connessione in rete, dove la segretezza e "chiusura" delle tecnologie è un danno grave per tutti e porta non solo a una carenza di innovazione ma a quella scadente qualità, inefficienza e inutile complessità di programmi e sistemi con cui siamo costretti a vivere.

Non è facile capire se, come e quando il problema sarà risolto. Potrebbero influire le iniziative di concorrenti intelligenti, le scelte di grandi istituzioni o (come in questo caso) l’intervento della magistratura o di autorità normative. Per ora si stanno aprendo solo piccoli spiragli, si stanno combattendo battaglie legali e commerciali che sembrano gigantesche ma sono scaramucce marginali rispetto alla sostanza del problema. Non ci resta che sperare che qualche fessura si allarghi abbastanza per far crollare qualcuno dei muri che si oppongono alle soluzioni più efficienti – o per aprire una strada a chi è in grado di offrirci soluzioni migliori.

Ecco alcune fonti di approfondimento su questo tema, pubblicate in un numero speciale di Web Review e citate nell’articolo di Nathan Newman:

Measuring the Impact of Free Software

What's New in Free and Open Source Software

The Origins of Free and Open Source Software

Ci sono anche due interessanti articoli che avevo già citato l’anno scorso: The Cathedral and the Bazaar di Eric Raymond e il rapporto alla O’Reilly Perl Conference Information Wants to be Valuable. Altre osservazioni a questo proposito si trovano sul sito NetAction.

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loghino.gif (1071 byte) 5. Non sempre "nuovo" è "meglio"
Un antico proverbio dice "chi lascia la via vecchia per la nuova...". Chi ha avuto la pazienza di leggere i numeri precedenti di questa rubrica sa che ho imparato a diffidare delle innovazioni tecnologiche, specialmente se non corrispondono a esigenze reali e verificate.

Un articolo pubblicato il 24 agosto da Antóin O Lachtáin (anche questo viene dall’Irlanda) In Praise of Lo-Tech   spiega con molta chiarezza la situazione.

C’è sempre qualche nuova tecnologia in arrivo sull’internet. Nuovo hardware, jnuovo software, nuovi linguaggi di programmazione, nuovi sistemi di trasferimento dei documenti, nuovo un po’ di tutto.

Ma in realtà non c’è stato gran che di progresso tecnologico nella web da quando Tim Berners-Lee l’ha inventata nel 1990. HTTP è ancora il metodo con cui si trasmettono i documenti sulla web. È stato solo un po’ cambiato con HTTP 1.1 per risolvere alcuni problemi della versione originale.

Il linguaggio HTML continua a essere sviluppato in modo abbastanza disorganizzato e casuale. È diventato molto più complicato e si è allontanato dai suoi princìpi iniziali per facilitare un’impaginazione più controllata [con non pochi problemi di compatibilità – n.d.t.] Il fatto curioso è che XML, concepito per sostituite HTML, è un ritorno a quei princìpi originari.

A un livello più basilare, i protocolli TCP/IP [che funzionano da vent’anni – n.d.t.] non sono sostanzialmente cambiati. C’è stato qualche aggiustamento per una più efficiente allocazione di un numero sempre maggiore di indirizzi; la tecnologia è stata adattata a una scala più ampia per permettere un traffico sempre più grande senza richiedere alcun cambiamento nei computer connessi alle reti.

Anche il concetto di originale di cooperazione su sui si basa l’internet è cambiato assai poco. Standard privati come Shockwave e ActiveX non sono riusciti a prendere piede. L’attenzione verso sistemi aperti come Linux e FreeBSD è ancora limitata, ma si è diffusa più di prima con la rete. Apache, il principale sistema aperto di webserver, mantiene il suo predominio.

Nescape, una grande società privata e quotata in borsa, ha abbracciato la causa delle programmazione aperta e libera. Le scelte tecnologiche sulla rete funzionano ancora oggi per "consenso generale e codice disponibile". .......

Gran parte del progresso commerciale della rete è dovuto alla sua scarsa innovazione tecnologica. Se avesse fatto continui cambiamenti, se avesse continuamente richiesto nuovi software e nuove macchine, non potrebbe offrirci quella piattaforma stabile che è necessaria per sviluppare comunità e commercio.

Insomma si riconfermano due princìpi. Il primo è che l’innovazione tecnologica è davvero utile solo quando corrisponde a esigenze reali e rilevanti – e l’innovazione (o tecnologia) "fine a se stessa" spesso fa più danno che bene. Il secondo è che sistemi semplici, compatibili, aperti e condivisi funzionano molto meglio dei sistemi inutilmente complessi o comunque chiusi.

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6. Il valore dell'ipertesto
Sono sempre più perplesso su tutta una serie di neologismi che infestano l’elettronica e la rete; in particolare su termini confusi come "virtuale" o "multimediale" (o qualsiasi parola che cominci con "ciber" o, peggio ancora, con "cyber" – che non è solo un errore di ortografia).

Ma c’è una parola che (anche se suona un po’ comica) ha un significato serio: ipertesto.

Sembra che molti la intendano come un modo per associare testo, immagini, suoni e (volendo) anche animazioni. Infatti può fare anche questo. Ma l’eterno culto delle apparenze tende a mettere in ombra la qualità più importante di questa risorsa: l’organizzazione delle informazioni.

Mi perdonino gli esperti se dico cose, per loro, risapute; e se non sono molto preciso sugli aspetti tecnici. No ho alcuna intenzione di entrare nei dettagli della tecnologia (un manuale pubblicato a puntate da Repubblica per spiegarli occupa 600 pagine). Vorrei solo accennare ad alcuni fatti fondamentali che secondo me dovrebbero interessare a tutti, non solo agli "addetti ai lavori".

Il concetto di "ipertesto" è nato vent’anni prima della tecnologia oggi più diffusa (HTML cioè HyperText Markup Language, che è l’ossatura della World Wide Web) e può benissimo sopravvivere a quella e ad altre tecniche specifiche. Già oggi si comincia a usare un metodo con possibilità più estese, XML (Extensible Markup Language) che ognuno può modificare e adattare secondo le sue esigenze; tanto è vero che alcune comunità scientifiche hanno sviluppato linguaggi specifici per le loro discipline, come Math Markup Language per la matematica e Chemical Markup Language per la chimica: che permettono di scrivere (e leggere) formule algebriche o strutture molecolari senza doverle trasformare in "immagini". C’è anche MusicML, che permette di conservare (e trasmettere) composizioni musicali sotto forma di "testo".

Forse può interessare ai "non tecnici" questo fatto: ciò che noi vediamo come testo è, per il computer, una massa di dati senza senso; mentre sono "linguaggio" per il software quelle istruzioni, espresse (come il testo) in caratteri "alfanumerici", che noi non vediamo quando leggiamo con un browser un testo in HTML – o quando scriviamo o leggiamo con qualsiasi word processor.

Ma qual è il punto fondamentale, che interessa a ogni utilizzatore della rete, a chi legge come a chi propone contenuti? È la struttura dell’informazione; quella che spesso viene chiamata (e mi sembra giusto) l’architettura di un sito (come di ogni struttura organizzata dei contenuti, che si trovi su un singolo computer o su un sistema di rete, su un cd-rom o su qualsiasi altro supporto).

Dal punto di vista tecnico, l’operazione non è banale; richiede competenza ed esperienza. Ma la parte più importante (e più difficile) è l’organizzazione concettuale dei contenuti. Una struttura "ipertestuale" permette una profondità "potenzialmente infinita" di informazione e documentazione, che può essere collocata in una "gerarchia" complessa su n livelli. Inoltre i link permettono di collegare trasversalmente i contenuti, passando da un settore all’altro dove ci sono nessi rilevanti; e nel caso di un sito web permettono collegamenti "esterni" ad altri siti che offrano approfondimenti o contenuti "attinenti" al tema.

Il problema è: come dare la massima quantità possibile di informazioni e notizie con la massima facilità di accesso? Un sito web, o qualsiasi altro sistema "ipertestuale", è tanto più utile quanto più è complesso (cioè ricco di informazioni a vari livelli di approfondimento) e quanto meno appare complesso e difficile al lettore.

Conciliare le due esigenze (profondità di contenuto e facilità di accesso) è tutt’altro che facile; anche perché occorre saperlo fare dal punto di vista del lettore e non di chi fornisce i contenuti. Ma è fondamentale: sta proprio in questo la superiorità di una struttura "ipertestuale" rispetto a ogni altra possibile forma di comunicazione. La qualità del servizio offerto ai lettori è uno dei principali fattori di successo di un sito online.

 

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7. Paura dell'internet
Come ho già detto molte volte... uno dei motivi per cui lo sviluppo della rete in Italia è ancora arretrato è la continua diffusione di notizie terrorizzanti. Pochi giorni fa parlavo con un imprenditore che fa da tempo, e con successo, "commercio elettronico". Vende bene all’estero; poco o nulla in Italia. Senza che io avessi minimamente accennato allo scandalismo sulla rete, mi ha detto: Sa, in Italia... con tutte queste storie sulla pedofilia.... Non mi stancherò mai di ripetere (almeno fino a quando la persecuzione finirà) che il continuo stillicidio di notizie terrorizzanti sulle nuove tecnologie di comunicazione non giova allo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro paese – e tantomeno al business online.

Fra tanti... ecco un episodio recente.

Sono ben note, a chi sa com’è fatto un giornale, le malefatte dei "titolisti", che spesso stravolgono il significato di un articolo. Ne ha riparlato recentemente anche Umberto Eco in una delle sue "bustine".

È il caso di un articolo uscito su Repubblica il 31 agosto a firma di Annalisa Usai e con il titolo Internet è sott’accusa. Fa ammalare di tristezza. Parla dell’ennesima ricerca in cui qualcuno cerca di dimostrare che l’internet fa male alla salute. Naturalmente molto discutibile, non tanto per la dimensione del "campione" (169 persone a Pittsburgh) quanto perché, come sa chi ha avuto occasione di approfondire cose del genere, si può "dimostrare" con una ricerca che qualsiasi cosa è "ansiogena" e produce tristezza. L’esperienza quotidiana ci dice che la vita non è facile; anche le cose più gioiose possono avere risvolti un po’ tristi. E se ci si mette di mezzo uno psicopatologo...

L’articolo è abbastanza equilibrato. Conclude con questa osservazione: Tora Bikson, studiosa a capo di molte ricerche sul rapporto tra Internet e partecipazione civile ... suggerisce sarcastica quella che potrebbe essere la causa della depressione delle 169 cavie dello studio. Secondo la Bikson, dopo aver navigato per due anni nell’intero web, quei 169 signori potrebbero essersi chiesti: "Cosa ci sto a fare a Pittsburgh?". (Sono stato a Pittsburgh e capisco il punto di vista di Tora Bikson).

Ma il titolista e l’impaginatore che ha aggiunto disegnini con teschio e tibie (e con l’eterno stupido ritornello della "pedofilia") hanno stravolto completamente il senso del testo.

(Lo stesso tema è stato ripreso dalla RAI in un telegiornale, con toni drammatici e funerei... sembra proprio che le reti televisive pubbliche e private non perdano mai un pretesto per spargere terrore e desolazione sull’internet).

Sarebbe interessante capire perché Repubblica, che ha una forte presenza online, continui a pubblicare cose di questo genere. Non perché così "si tira la zappa sui piedi". Se la notizia fosse rilevante, il "dovere di cronaca" dovrebbe prevalere sugli interessi dell’editore. Ma questa notiziola è di scarsissimo rilievo... ci sono infinite cose, molto più interessanti, da dire sull’internet. Possibile che ancora oggi tanti editori e giornalisti (della carta stampata e della televisione) abbiano paura della rete, cerchino tutti i modi per "demonizzarla" e per spaventare i loro lettori o spettatori? Possibile che non capiscano come questa perenne insistenza sui presunti "mali" della rete è uno dei motivi della nostra grave arretratezza nei nuovi sistemi di comunicazione? E che si possono creare molti più posti di lavoro con un uso intelligente della rete che con i macchinosi e inefficaci provvedimenti che stanno architettando i nostri politici?


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