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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it

 

Numero 22 - 1 luglio 1998

  1. Editoriale: Qualche barlume
    di buon senso?
  2. Assassini, enzimi e turbolenza
  3. Poggibonsi, la metropoli
    e il continente
  4. Il valore dei "piccoli numeri"
  5. Il “potere” non ama la rete
  6. Con la scusa della “pornografia”...
  7. I malanni dei “banner”
  8. Come si evolve il caso Microsoft?

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loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: Qualche barlume di buon senso?
La famosa "legge di Moore" dice che ogni 18 mesi la potenza di elaborazione di un microprocessore raddoppia a parità di costo – e si è dimostrata vera non solo per i processori ma per tutta l’informatica. Spesso l’evoluzione è anche più veloce di quanto previsto da Moore. Per esempio l’uso di programmi e sistemi operativi con una richiesta esagerata di memoria (RAM) è reso meno ostico (dal punto di vista dei costi) da una discesa del prezzo delle schede di memoria supplementare.

Il problema è che da alcuni anni il veloce mutamento della relazione prezzo/prestazioni si fa sentire in una delle due direzioni possibili: tecnologie sempre più pesanti, più o meno allo stesso prezzo. Da molto tempo sono convinto, e mi trovo spesso a ripetere, che si debba imboccare il percorso contrario: lo stesso livello di "potenza" (o anche molto meno) a prezzi fortemente decrescenti.

Non vedo tracce di evoluzione, per ora, in Italia (se non per l’attività quasi clandestina di chi recupera computer usati – o spiega come ci si può benissimo collegare alla rete, come fare tutto ciò che serve alla maggior parte delle persone, con un computer di tre o cinque anni fa). Nonostante alcune voci autorevoli, compreso Umberto Eco, segnalino i malanni dell’ipertrofia tecnologica, la tendenza alla "pesantezza inutile" rimane dominante.

Ma negli Stati Uniti si cominciano a vedere piccoli segni di una tendenza più sana; alcuni grossi produttori hanno annunciato che metteranno in vendita macchine di capacità più che adeguata a prezzi molto più bassi di ciò che propone l’ultimo "stato dell’arte". Un piccolo passo, rispetto a quella che dovrebbe essere una soluzione più drastica del problema (possibile solo se ci fosse un’estesa compatibilità fra sistemi "leggeri" e applicazioni oggi disegnate solo per il sistemi "pesanti"; e se la conoscenza di queste possibilità fosse largamente diffusa). Ma almeno sembra che cominci a nascere una percezione del problema.

Nelle piccole "voci di corridoio" ai margini dei congressi e dei convegni (che talvolta sono più significative delle relazioni ufficiali) si sente più spesso una preoccupazione per l’elefantiasi (di hardware e software) e una speranza che si dia più spazio a soluzioni "leggere". Qualcuno dice che anche i produttori di software "pesante" ci stiano ripensando. Speriamo che sia vero.

Solo barlumi, per ora. Ma almeno si comincia a incrinare la barriera, finora granitica, dell’ipertrofia a tutti costi. Staremo a vedere...

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loghino.gif (1071 byte) 2. Assassini, enzimi e turbolenza
Devo rimandare a un prossimo numero di questa rubrica un approfondimento della presentazione, fatta il 18 luglio a Milano, dell’Osservatorio Bocconi; perché, almeno per ora, è disponibile solo una piccola parte dei testi e documenti – e quando lo saranno ci vorrà un po’ di tempo per analizzarli con la necessaria attenzione. Ma intanto credo possa essere interessante commentare su alcuni temi di cui si è discusso in quella sede.

Prima di entrare nell’argomento... una parentesi, che non è solo una "nota di colore". Se il 10-11 giugno nella vasta platea del teatro Manzoni, quando si parlava di "piccole e medie imprese", erano sparse 50 persone, una settimana dopo l’aula magna della Bocconi, che ha circa 500 posti, era gremita. Ma in sette ore di relazioni, e anche di vivace dibattito, non si è parlato quasi mai delle PMI. Si è parlato di "colonizzazione" dell’Italia da parte dei grandi operatori internazionali (specialmente americani) ma non si è neppure remotamente accennato all’importanza che la rete può avere in senso inverso: cioè come strumento di esportazione per le imprese italiane. È passato un anno dalla Dichiarazione di Bonn e sembra che nessuno l’abbia letta – o che sia caduta nel dimenticatoio. Nel dibattito, alla fine del convegno, si è sentita solo una voce di una piccola impresa... e solo per chiedere che si faccia una politica di finanziamenti agevolati. Questi sono solo piccoli sintomi, ma si aggiungono a molti altri che segnalano un fenomeno ben noto e grave: l’abisso culturale rimane profondo.

Chiusa questa parentesi... veniamo al punto. Nella relazione di apertura del prof. Enrico Valdani si è parlato di killer application; tema che è stato spesso ripreso negli interventi successivi. Anche se metaforico, il termine ha un suono sinistro. Chi sono gli assassini? E chi le vittime designate?

Per applicazione killer si intende qualcosa che "si afferma in modo pervasivo e irresistibile distruggendo rapidamente i prodotti e servizi già affermati con i quali entra in concorrenza". Nel corso del progresso tecnologico sono accadute, talvolta, cose del genere. Circa cent’anni fa si è messo in moto un prodotto "assassino", l’automobile, che in una parte del mondo ha sostituito cavalli, asini, muli, buoi, cammelli ed elefanti come mezzo di trasporto. Gli animali non si sono estinti: si continuano a usare i cavalli per divertimento, sport, spettacolo e business (ippodromi e scommesse), si continuano ad allevare bovini – e se una specie è minacciata di estinzione si cerca di proteggerla. Ma nell’area "mezzi di trasporto" (e nei paesi più industrializzati) l’assassinio c’è stato. Così come le navi a motore hanno sostituito i grandi velieri (ma il numero di imbarcazioni a vela oggi è enormemente più grande che in passato, per un’assai maggiore diffusione della "nautica da diporto" e della vela come competizione sportiva). Accade anche che una soluzione killer produca danni gravi: vedi lo sforzo immane che oggi si deve affrontare per riportare il trasporto delle merci (e, per quanto possibile, dei passeggeri) dalla gomma alla rotaia. Per non parlare delle "cattedrali nel deserto" e dei problemi ambientali...

Ma nella maggior parte dei casi finora le nuove tecnologie si sono aggiunte alle vecchie senza sopprimerle. La stampa è cambiata ma non è stata eliminata dalla radio, né dalla televisione. La riproduzione della musica non ha provocato la chiusura delle sale da concerto o dei teatri d’opera.

Nel campo dell’elettronica, e in particolare della rete, raramente le cose si sono evolute come qualcuno le prevedeva. La tecnologia world wide web era nata nel 1990 come strumento per un circolo ristretto di studiosi; nessuno aveva previsto l’enorme diffusione che ha avuto quattro anni dopo. Non è stata killer nei confronti dell’internet, anzi ne ha favorito la diffusione; ma in parte ha avuto un effetto soporifero. È accaduto (non per le caratteristiche della tecnologia, ma per il tipo di cultura che si è diffuso) che un’errata interpretazione del sistema abbia portato a un uso incompleto e inadeguato della rete, specialmente fra i "nuovi utenti" (è un tema su cui ritornerò in uno dei prossimi numeri di questa rubrica).

Pochi anni fa si parlava di video on demand come di una killer application. Non si è sviluppata, e non ha "ucciso" neppure le videocassette (che potrebbero essere sostituite dai Digital Video Disc, che sembrava dovessero diffondersi all’inizio di quest’anno... ma finora non sono apparsi sul mercato). Un anno fa si diceva che i Network Computer avrebbero sostituito i PC come terminali di rete. Anche questo non è accaduto (oggi si pensa che apparecchi di quel genere, o altri "terminali leggeri", possano trovare applicazione nelle reti interne aziendali, se sono di tipo centralizzato – ma non nell’internet). E se pensiamo ai pesanti investimenti in cavi, fatti in Italia con anni di ritardo per poi scoprire che erano inutili alla luce delle nuove tecnologie e in particolare dei collegamenti "via etere"...

Secondo me le killer application di cui avremmo bisogno sono tecnologie leggere ed efficienti che permettano di utilizzare tutte le funzioni della rete su computer facilmente reperibili sul mercato a 200 o 300 mila lire. Naturalmente quelle tecnologie esistono e funzionano benissimo. I problemi sono due: che sono poco note, e che molte delle applicazioni disponibili sono concepite per i sistemi operativi ultra-pesanti e non sono "compatibili" con quelle più efficienti e leggere. Non c’è alcuna difficoltà tecnica nella soluzione di questo problema, ma sono ancora pesanti gli ostacoli culturali e commerciali.

Ora sembra che l’applicazione di moda sia la cosiddetta Web TV (di cui potremmo sentir parlare molto in autunno). Un marchingegno che si collega al televisore e permette di connettersi alla rete. Devo confessare che quest’idea mi lascia molte perplessità. Nella maggior parte delle case la televisione è qualcosa che si guarda insieme, sta nel "salotto" o comunque in un luogo condiviso da tutta la famiglia; il luogo meno adatto per l’internet. Ci sono, certo, famiglie con più televisori, di cui qualcuno di uso "individuale"; ma sono proprio quelle che se non hanno già un computer hanno meno difficoltà a dotarsene. Un altro problema abbastanza ovvio è che se qualcuno (persona o famiglia) ricorre a questo sistema si priva di tutti gli altri usi per cui può essere utile un computer. Inoltre una soluzione del genere tende a orientare verso usi limitati e superficiali della rete. Insomma se l’espansione dell’internet dovesse passare attraverso questa curiosa (e un po’ antiquata) applicazione credo che le conseguenze sarebbero molto discutibili, specialmente in un paese come l’Italia, già troppo arretrato in fatto di informatica e di uso della rete. Proprio mentre la Francia di impegna a convertire gli utenti dal minitel all’internet, noi vogliamo fare qualcosa che somiglia al contrario?

Se fossi un grosso operatore televisivo sarei molto esitante a impegnare miliardi (parecchi) su questa applicazione più o meno "assassina". Ma il rischio è che l’idea diventi "di moda" e che se l’uno adotta questa soluzione l’altro non voglia "rimanere indietro". Avrà successo? Credo che sia impossibile prevederlo. Se si affermasse, forse l’unico effetto positivo potrebbe essere la reazione di quei produttori e venditori di computer che non producono o distribuiscono apparecchi "web tv" e potrebbero essere indotti a offrire finalmente quei computer a basso prezzo e alta efficienza in rete di cui tanto si sente la mancanza.

Un’altra ipotesi curiosa è che "commercio elettronico" possa essere considerato una killer application. Che cosa potrebbe uccidere? Forse, col tempo, potrebbe gradualmente sostituire alcune funzioni dei "numeri verdi"; forse in alcune aree di servizio potrebbe un giorno indebolire quegli intermediari (siano agenzie di viaggio o agenti assicurativi) che non danno alcuna assistenza ai loro clienti e svolgono un ruolo puramente meccanico (nel qual caso non si tratterebbe di assassinio, ma di eutanasia). Nella maggior parte dei casi credo che ogni ipotesi pensabile di "commercio elettronico" abbia una funzione complementare, non sostitutiva, rispetto ad altre attività commerciali. Per esempio, come abbiamo visto, il 95 per cento del "traffico" prodotto da una libreria online si traduce in acquisti presso le librerie tradizionali; anche chi vende musica online sa che il suo compito non è sostituirsi ai negozi ma offrire quelle cose "rare" che non si trovano facilmente nella normale distribuzione. In quel piccolo museo degli orrori che popola le fantasie intorno alla rete non credo possa incarnarsi nel ruolo dello sterminatore un bambino che oltre oceano muove i primi passi – e da noi è ai primi vagiti.

In generale, credo che con le presunte killer application ci voglia molta prudenza. Ci possono essere – e probabilmente ci saranno – soluzioni veramente valide che giustamente sostituiranno quelle attuali (per fare un esempio semplice, quando la telefonia sarà tutta digitale non avrà più senso usare un "modem", perché non ci sarà più nulla da modulare o demodulare). Ma altre potrebbero essere pericolose, soprattutto se diffuse su larga scala senza averne valutato gli effetti. L’uso di antibiotici a largo spettro può essere comodo per un medico che non vuole perder tempo a fare una diagnosi precisa, ma distrugge la flora intestinale e favorisce lo sviluppo di ceppi batterici resistenti.

Credo che gli enzimi culturali della rete debbano essere protetti e nutriti. Occorre, secondo me, una terapia costante di stimoli e curiosità che abbia un effetto equivalente alla vitamina B e ai fermenti lattici – o più in generale a una dieta variata, gustosa e sana, con il minor uso possibile di farmaci violenti e di veleni.

Credo anche che lo sviluppo della rete, da tutti i punti di vista, sia e debba rimanere imprevedibile e turbolento. Le "soluzioni assassine" appiattiscono e deprimono lo sviluppo. La turbolenza e la diversità arricchiscono la cultura e l’innovazione.

C’è sicuramente bisogno di standard condivisi, di tecnologie compatibili. Ma questo risultato può essere raggiunto con l’intercambiabilità e con le architetture aperte, meglio che con sistemi chiusi e con il predominio di questa o quella soluzione "assassina". Il successo (più o meno temporaneo) di qualche killer potrà forse giovare ai profitti di breve periodo dei mandanti della tentata strage, ma è improbabile che contribuisca a uno sviluppo sano, utile e concreto delle tecnologie al servizio delle esigenze umane.

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3. Poggibonsi, la metropoli e il continente
Non insisterò mai abbastanza su un tema che chi legge questa rubrica mi ha visto ripetere ad nauseam, ma che sembra ancora poco capito da molti osservatori del "mercato". Nella rete i "grandi numeri" non contano; ciò che conta sono le relazioni che un’organizzazione o impresa può creare e gestire, la cui ampiezza è determinata delle scelte e dagli obiettivi specifici, non da una generica dimensione di una indiscriminata (quanto inesistente) audience.

Ma dalla ricerca presentata durante l’incontro alla Bocconi, di cui ho accennato nel punto precedente, emerge un dato che mi sembra meritare qualche commento. Le persone in Italia che "hanno fatto almeno una volta un acquisto online" sarebbero circa 128.000. La notizia è stata presentata con un atteggiamento di giubilo che non capisco; perché è vero che il numero è aumentato rispetto al passato, ma anche se fosse significativo (di tutte le statistiche è doveroso dubitare) sarebbe sempre un "mercato" estremamente piccolo. Una breve analisi può permetterci di ipotizzare che sia ancora più piccolo di così... oppure molto più grande.

Cominciamo col tagliare a fette questo piccolo numero. Ammetto che il calcolo è "spannometrico" e grossolano, ma il significato del ragionamento non cambierebbe con analisi più dettagliate e precise. Se togliamo l’acquisto di software online (che è così "inerente" all’uso di un computer da non poter essere un "apripista" per altre forme di "commercio elettronico") e togliamo l’acquisto di libri e altre cose su siti stranieri (che finora è dominante) restiamo con non più del 20 per cento del totale. Quindi le persone che hanno fatto un acquisto in rete in Italia e dall’Italia sarebbero circa 25.000. La popolazione di Poggibonsi.

Se invece pensiamo a tutte le persone che potrebbero collegarsi se in rete fosse offerto qualcosa di molto interessante... e in questo caso non si tratta di chi ha accesso a un collegamento, ma anche a chi non ce l’ha ma può chiederle a un amico o a un collega di lavoro di fare l’ordine... arriviamo probabilmente a quattro o cinque milioni di persone. Un mondo più piccolo di Londra o di Parigi, ma più grande di qualsiasi "grande città" in Italia. Uno spazio "potenziale" molto ampio, che per nessuna offerta è "il mercato", ma che può aprire orizzonti di notevole interesse per chi offre un servizio veramente utile.

Infine... un fatto ovvio, ma di cui si parla poco, è che le occasioni più interessanti sono all’esportazione. Che siano 80 o 100 milioni gli "utenti" internet nel mondo (di cui il 60 o 70 per cento negli Stati Uniti) quel numero non è il limite assoluto. Possiamo anche in questo caso considerare come mercato "potenziale" in senso esteso le loro famiglie, i loro amici, i loro colleghi di lavoro... un "universo" grande come mezza Europa. Ricordiamo sempre che nessun "mercato" online può mai avere la dimensione di "tutta" la rete, ma solo di un gruppo relativamente ristretto di persone interessate a una specifica offerta. Tuttavia ci troviamo davanti, già oggi, a un potenziale di dimensioni enormi, almeno in quei dieci o dodici paesi in cui la rete ha una penetrazione elevata.

Insomma... secondo me il fatto fondamentale è che le misurazioni dell’esistente sono poco significative, e le dimensioni "generali" dell’internet non sono molto rilevanti. Ciò che conta è lo spazio che può trovare una singola impresa o una singola proposta. Gli orizzonti che si possono aprire (se l’offerta è giusta, attraente e adatta allo strumento) sono molto interessanti. Tutto sta passare dalle parole ai fatti... cosa meno difficile di quanto può sembrare, ma che richiede più attenzione e impegno di quanto la maggior parte delle imprese italiane, almeno finora, ha dimostrato di voler dedicare alla rete.

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4. Il valore dei "piccoli numeri"
Nello stesso incontro del 18 giugno è stato presentato un caso che mi sembra interessante perché conferma l’importanza dei "piccoli numeri" nelle attività in rete. Si trattava di una grande azienda dolciaria che aveva presentato online, su scala europea, alcune proposte di regalo per la "festa della mamma". L’obiettivo era avere 500 ordini; se ne ottennero 520.

Se quell’impresa avesse ragionato sui "grandi numeri" sarebbe molto delusa. Secondo le stime più diffuse, in Europa ci sono oltre 10 milioni di persone online con una mamma da festeggiare. Se misurata su un ipotetico "grande mercato dell’internet" quell’offerta avrebbe dato un risultato dello 0,005 per mille, che sembrerebbe catastrofico. Ma poiché era stato definito un obiettivo raggiungibile l’operazione è considerata un successo.

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loghino.gif (1071 byte) 5. Il "potere" non ama la rete
Voce dal sen fuggita... un altro segnale interessante emerso "ai margini" dell’incontro in Bocconi.

Capita spesso che qualche piccolo intervento "non programmato" porti segnali più interessanti delle relazioni ufficiali. Luca Barbareschi, oltre che uomo di spettacolo, è anche una persona impegnata in cose che riguardano la rete, fin da quando collaborava con Nichi Grauso nella sfortunata avventura di Video On Line; e buon conoscitore, per esperienza diretta, delle Stanze del Potere (politico e informativo). Immagino che le sue osservazioni non saranno mai riportate negli "atti"; perciò le cito a memoria e non posso essere preciso "alla lettera", ma credo di riferire correttamente i contenuti. Con visibile imbarazzo degli organizzatori, ha detto tre cose:

È noto che in Italia si producono intenzionalmente norme complesse, incomprensibili e contorte, col preciso scopo di ridurre cittadini e imprese in uno stato di sudditanza rispetto ai poteri costituiti e alla burocrazia.

Fino a poco tempo fa il mondo politico e "i grandi poteri" dell’informazione non avevano la più remota idea di che cosa fosse l’internet.

Ora sanno che c’è, non capiscono che cosa sia, ne hanno paura e faranno tutto il possibile per strangolarla o atrofizzarla con ogni sorta di "lacci e lacciuoli".

Poiché in Italia si tende sempre a "etichettare" tutto, vorrei osservare che il problema non è di "destra", "sinistra" o "centro"; accomuna tutta la politica (e altri centri di potere, compresa gran parte dell’establishment culturale) indipendentemente dalle tendenze e dalle posizioni ideologiche. Come ho scritto in vari miei piccoli articoli e relazioni, fra cui CassandraInternet: liberà e cultura  e più recentemente J’accuse – che hanno avuto un’eco molto positiva fra le persone esperte della rete ma difficilmente penetreranno nella mente, volutamente sorda e cieca, del Potere – in tutte le sue forme.

Mi sembrano interessanti, su questo argomento, tre articoli apparsi su InterLex: due di Manlio Cammarata A chi fa male la tecnologia? e Internet, diritto e politica, non c'è da stare allegri e uno di Cristina Pasquini Per punire i colpevoli si criminalizza la rete. Sullo stesso tema, nel numero di luglio di Web Marketing Tools ci sono un mio appunto Balie, bavaglini e bavagli e un articolo di Andrea Monti Solone, Dedalo e Gorgia.

Non ricordo chi... ma qualcuno nel corso del dibattito mise in evidenza un altro fatto grave. La scuola è ancora molto arretrata nell’insegnare l’inglese e nelle attività per produrre cultura (non banale "alfabetizzazione") dell’informatica e della comunicazione interattiva. Dei mille miliardi promessi da Luigi Berlinguer per questo scopo non si vede traccia.

Il problema è ben noto a chiunque abbia approfondito un po’ la situazione. Può avere conseguenze gravi per la cultura e l’economia del nostro paese e per il futuro delle nuove generazioni. Ma per evidenti (e un po’ squallidi) motivi se ne parla troppo poco.

E a tutto questo si aggiunge un atteggiamento persecutorio delle "forze dell’ordine"...

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6. Con la scusa della "pornografia"...
Non sembra aver avuto molta eco sulla stampa (di solito fin troppo disponibile a pubblicare notizie scandalistiche e terrorizzanti sulla rete) questo comunicato Ansa del 18 giugno:

PEDOFILIA: FORZE ORDINE, INTERNET A RISCHIO PORNOGRAFIA

(ANSA) – ROMA, 18 GIU – Internet rischia di diventare il paradiso pornografico dei pedofili. Sono milioni le foto pornografiche con soggetti bambini che circolano sulla rete telematica, secondo la denuncia di Maria Cristina Ascensi, funzionario della sezione contro i crimini telematici della Criminalpol. L’unico commercio che la rete Internet ha fatto decollare finora – ha detto oggi Ascensi nel corso di un seminario per "una rete a misura di bambino" organizzato dall’Arci e da Ecpat – è quello di materiale pedopornografico. Dal primo trafficante scoperto nel marzo del ‘95, mentre indagavamo contro la pirateria telematica – ha aggiunto il funzionario di polizia – le denunce sono cresciute a dismisura e le indagini contro il traffico di materiale pornografico con bambini sono balzate al primo posto nel nostro lavoro quotidiano. I carabinieri del nucleo operativo di Roma, in pochi mesi hanno censito 500mila foto pornografiche per un’indagine che ha portato a nove arresti per associazione a delinquere. I responsabili del traffico – ha spiegato il colonnello Angelo Agovino – grazie ad Internet erano riusciti a istituire collegamenti con ben 56 Stati stranieri. La rete telematica ha dato un impulso poderoso a questo tipo di traffico – ha proseguito mentre gli strumenti d’indagine a nostra disposizione sono rimasti gli stessi, oggi più che mai inadeguati.

Questa dichiarazione contiene alcune maliziose deformazioni del fatti... e una pericolosa menzogna. La prima deformazione (spesso ripresa in passato dalla stampa e ancor più dalla televisione) sta nel dare l’impressione che l’internet sia invasa di materiale "pedopornografico".

Anche se fosse vero che si tratta di 500.000 fotografie (ma la definizione di che cosa sia "pornografico" si è rivelata spesso piuttosto soggettiva) sarebbe una frazione infintesimale del materiale disponibile in rete; e visto che alcuni processi in Italia si sono risolti con l’assoluzione degli accusati è facile capire che spesso le denunce non corrispondono ai fatti. La seconda deformazione sta nel dare l’impressione che questa massa di materiale sia stata generata "apposta" per l’internet, il che è palesemente falso: sappiamo da denunce e inchieste anche di molti anni fa che materiali di ogni sorta (talora incredibilmente orribili) circolano da decenni in mezzo mondo per diversi canali più o meno clandestini – compresi i più banali, come la posta ordinaria (che è protetta dalla legge ed è comunque assai meno facilmente ispezionabile e controllabile dell’internet). Se e quando queste cose si affacciano nella rete si apre una nuova possibilità di individuare i colpevoli, molto più facile rispetto alla diffusione degli stessi materiali con mezzi tradizionali.

Così arriviamo alla spudorata e strumentale menzogna. È di pubblico dominio che le forze di polizia, italiane e internazionali, da molti anni sorvegliano attentamente la rete e hanno possibilità di intercettazione molto raffinate. Qui si rivela, purtroppo, un "secondo fine": aumentare i già elevati poteri di controllo, non certo per colpire la sparuta minoranza dei "trafficanti di materiale pornografico" ma per aumentare (con quel pretesto) i già eccessivi poteri di controllo sulla comunicazione dei cittadini onesti. Il mondo è pieno di sistemi di censura basati su "falsificazioni ideologiche" di questa specie e credo sia necessaria un’attenta sorveglianza per evitare che questa pericolosa infezione si estenda (più di quanto è già presente, sotto vari travestimenti) all’Europa e all’Italia.

Proprio mentre questo numero del "Mercante in Rete" sta per andare online, si è diffusa la notizia di un ennesimo sequestro di computer. Su ordine del Procuratore della Repubblica presso la Pretura di Vicenza, dott. Paolo Pecori, il 27 giugno a Bologna la Polizia Postale ha posto sotto sequestro il server che gestisce il sito ecn (Isole nella Rete) privando di collegamento centinaia di persone e numerose organizzazioni. Sembra che il motivo sia una denuncia di un’agenzia di viaggi contro un messaggio, apparso in mezzo a migliaia d’altri su quel sito, che invitava a boicottare il turismo in Turchia per reagire alla repressione sui Curdi. Senza entrare nel merito del caso specifico, mi sembra molto grave che si continui con la barbarica procedura di sequestrare computer e attrezzature: tecnicamente inutile, illegale, arbitraria e gravemente dannosa per un gran numero di persone, imprese e organizzazioni non coinvolte nelle indagini.

Tutto questo riguarda la società civile e non le attività di impresa in rete? Come ho già detto, non credo che i due terreni siano separabili; e l’accenno al "commercio elettronico" nelle dichiarazioni attribuite a Maria Cristina Ascensi è un sintomo (che sia intenzionale, o un lapsus rivelatore, poco importa). Forse non rischieremo il carcere, o il sequestro del computer, o il pubblico linciaggio, se ordineremo online un libro di Lewis Carroll o Vladimir Nabokov; ma è comunque preoccupante il fatto che si chiedano con insistenza "maggiori poteri", oltre all’altissima capacità di intercettazione che già hanno le polizie e i servizi segreti di mezzo mondo, per interferire con la nostra attività in rete, commerciale o non.

Già con le leggi e i "poteri" di oggi possono accadere cose incredibili come il recente caso di Bologna – che è solo l’ultimo di una lunga serie di arbitrarie violenze da parte delle "forze dell’ordine" (e di alcuni magistrati che non capiscono che cos’è e come funziona la rete). Chi mai risarcirà una persona, un’impresa, un’organizzazione professionale o di servizio, dal danno subito per l’interruzione dei suoi sistemi di comunicazione dovuto all’improvviso sequestro di un computer o di un server per motivi totalmente estranei alla sua attività?

 

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7. I malanni dei "banner"
Vorrei premettere che non ho un preconcetto generale contro il banner o contro la "pubblicità" in rete. Non ho mai "cliccato" su un banner e in generale non li vedo neppure, perché anche quando ho dato al browser l’istruzione di "vedere" le immagini (cosa che spesso è un’inutile perdita di tempo) il mio occhio corre automaticamente ai contenuti che mi interessano. Ma non è un pregiudizio. Se un giorno vedessi un banner che mi segnala qualcosa di interessante non esisterei ad andare a vedere. Tutti gli strumenti, se usati bene e nel ruolo giusto, possono essere utili. Ci sono molti siti che meritano di sopravvivere e che hanno bisogno di "banner" e cose simili per poter rimanere gratuiti; sarebbe un peccato se non potessero contare su queste entrate. Ma quando uno strumento o un metodo, specialmente se deriva da concetti antiquati di comunicazione, viene proposto come "panacea" e sostituisce ogni approfondimento... diventa necessario sottoporlo a un severo esame critico.

Il problema non è solo italiano. Ecco che cosa scriveva Jessie Berts sulla situazione americana, in un articolo del 16 luglio:

Quando è stata l’ultima volta che avete "cliccato" su un annuncio pubblicitario in un sito web? Non recentemente, a giudicare dalle misurazioni dei click-through. E quelli che pagano per pubblicare i banner non sono contenti.

La pubblicità web è la fonte primaria di finanziamento per molti siti (compreso il mio). Ma sta attraversando una fase burrascosa. Valutate questi dati:

Solo l’1 % delle persone che vedono un banner lo "clicca" (in media) secondo nuove stime di NetRatings. La metà rispetto a una media del 2 % nel 1996 (secondo ricerche di IPRO e DoubleClick).

L’offerta di pubblicità web supera la domanda. IL CEO di Adauction David Wamsley dice che dal 50 al 70 per cento degli spazi nei 500 siti più importanti rimangono invenduti. (L’eccesso di domanda gli ha consentito di mettere in piedi un’impresa di successo vendendo all’asta gli spazi invenduti a una frazione del prezzo di listino).

I prezzi scendono. AdKnowledge, una società di gestione di pubblicità web, riferisce che il CPM (costo per mille contatti) in maggio era 37,84 dollari (rispetto a 40 un anno prima).

Questi problemi hanno indotto alcuni osservatori – fra cui il venture capitalist William Gurley – a sostenere che la pubblicità online è condannata a seguire il modello pay-per-view: cioè il cliente paga solo se qualcuno risponde al suo annuncio. Per esempio, il venditore di pubblicità online DoubleClick offre un prezzo di un dollaro per-click come un’alternativa di "direct marketing" rispetto alle tariffe CPM.

Questo concetto non è nuovo. In televisione, per esempio, è usato per gli infomercial trasmessi in ore notturna di basso ascolto: le emittenti sono pagate in ragione di quante persone telefonano al "numero verde".

Ma il sistema pay-per-view non ha preso il sopravvento in televisione e – contro l’opinione degli "esperti" – non prevarrà nella rete. Trasferisce tutto il rischio sul sito web e non è una soluzione accettabile nel lungo periodo. Pensateci. De il prodotto è scadente e non interessa, chi ne subisce il danno? Il sito. Se la pubblicità è fatta male e non suscita risposta, chi ne sostiene il costo? Il sito. Questo spiega perché vediamo gli infomercial solo sulle emittenti più deboli e in orari di basso ascolto. Quelle emittenti non possono vendere spazio in alcun altro modo. Sono alla disperazione.

Oggi c’è un’offerta eccessiva di pubblicità online, abbinata a una mancanza di sistemi validi per misurare l’audience. Quando risolveremo questi problemi, gli utenti di pubblicità online faranno quello che hanno sempre fatto con la stampa e la televisione. Graviteranno verso la qualità, non la quantità; verso i siti che possono offrire l’audience più interessante. Chi si basa sul pay-per-click invece di avere un sito "forte", cioè interessante per i suoi lettori, dovrà chiudere. Così come le promozioni televisive che strillano continuamente "telefonate subito!" si vedono a notte fonda, su piccole emittenti, in trasmissioni di basso ascolto – mai nel prime time.

Tempi duri... e sembra che anche in Italia, sia pure su dimensioni smisuratamente più piccole, il mercato non sia facile. "Voci di corridoio" dicono che i grandi venditori di banner sono molto al di sotto dei loro obiettivi. Al già citato incontro alla Bocconi si sono udite le voci un po’ disperate di (piccoli) operatori che trovano difficoltà a regalare pubblicità online.

 

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8. Come si evolve il caso Microsoft?
Dicevo un mese fa in questa rubrica che il "caso Microsoft", salito improvvisamente all’onore delle cronache, era (almeno per il momento) una tempesta in un bicchier d’acqua; e che i problemi più rilevanti restano da affrontare. La situazione è chiaramente riassunta in questo breve articolo di Daniele Coliva su InterLex:

Ma Bill Gates non ha ancora vinto

Il 23 giugno Microsoft ha segnato un punto a suo favore nel contenzioso con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. La Corte d’Appello del Distretto di Columbia (il Distretto Federale nel quale ha sede la capitale) ha infatti riformato il provvedimento con la quale il giorno 11/12/97 la Corte distrettuale di prima istanza aveva ingiunto alla Microsoft di separare Internet Explorer da Windows 95 nelle licenze ai produttori di hardware.

È opportuno ricordare che le cause antitrust pendenti contro Microsoft sono due: la prima (quella della famosa multa di un milione di dollari al giorno) si è conclusa per ora con il provvedimento della Corte d’Appello del 23/6; la seconda, instaurata dal Dipartimento di Giustizia e da venti stati dell’Unione, concerne più globalmente la posizione dominante di Microsoft in rapporto alla disciplina antitrust, ed è indipendente dall’altra.

Tuttavia gli analisti della decisione appena assunta sembrano concordare in prima battuta che la decisione della Corte d’Appello avrà un’indubbia influenza sul secondo giudizio, per il quale è fissata una prima udienza per il giorno 8 settembre. La lettura del Court Order (40 pagine) consentirà di fornire un commento più preciso ed approfondito, per comprendere meglio un fenomeno che non appartiene solamente alla cronaca giudiziaria americana ovvero alla sfera economica di quel paese, ma ha ed avrà riflessi sul mercato globale dell’informatica.

Insomma siamo appena agli inizi di un’analisi critica della situazione dell’informatica e della telematica su scala mondiale – che non è solo un problema giuridico e che dovrebbe andare molto oltre i problemi specifici di una sola o poche applicazioni (in questo caso la rivalità fra due browser) o di una sola impresa.


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