la strategia


10. Come mettere in atto la strategia



a. Dare “corpo” alla strategia

b. Definizione del “consumatore”

c. Strategia “creativa”

d. Strategia “media”

e. Altre strategie specifiche

f. Gli “effetti collaterali” del lavoro sulla strategia

g. Quattro regole importanti

Sintesi





a. Dare “corpo” alla strategia

I “profili” delle diverse strategie in alternativa sono abbozzi sintetici, semplici ossature. Prima che la strategia scelta come più promettente possa dar vita a una campagna, deve prendere corpo.

La massa di dati, informazioni e valutazioni raccolte all’inizio era stata messa da parte al momento di tracciare i semplici “profili” delle diverse alternative. Ora le cose cambiano. Bisogna rimettere mano ai dettagli.

Informazioni precise sono necessarie per completare le strategie specifiche e dare l’avvio al lavoro esecutivo – alla proposta creativa di campagna, al piano media, eccetera.

I dati che hanno rilievo per la strategia prescelta devono essere raccolti ed ordinati, in tre elementi che insieme costituiscono la strategia:

  • Definizione del “consumatore”
  • Strategia “creativa”
  • Strategia “media”

Questi tre “pezzi” non devono essere separati. Sono parti di un tutto (la strategia). Tutti coloro che lavorano sullo sviluppo della campagna, anche se hanno compiti e funzioni diverse, devono conoscere la strategia nella sua totalità.

Mentre nei “profili” predomina l’esigenza di brevità, nella strategia finale prevale la completezza. Senza lungaggini o ridondanze, la strategia deve contenere tutte le informazioni necessarie.

 

b. Definizione del consumatore

Questa analisi ovviamente si riferisce al target group o segmento sul quale è disegnata la strategia.

Non deve essere un freddo elenco di dati ma una descrizione viva, concreta, umana della persona cui ci rivolgiamo.

Deve farci capire il rapporto fra questa persona e il tipo di utilità che le proponiamo. La categoria di prodotti o servizi in cui ci collochiamo (che non sempre, come sappiamo, coincide con una categoria “merceologica”); e, in particolare, la nostra marca.

Deve rivelarci le esigenze, i desideri, gli atteggiamenti del consumatore; le sue aspirazioni, la sua immagine di sé; il ruolo, grande o piccolo, che il nostro prodotto ha nella sua vita.

Deve spiegarci come il consumatore fa le sue scelte nel settore che ci interessa; qual è il suo concetto di utilità; come valuta i “rischi”; e come stabilisce la “gerarchia” delle marche.

 

c. Strategia “creativa” (copy strategy o creative strategy)

Questa parte della strategia si riferisce specificamente a che cosa vogliamo comunicare con la pubblicità, e con quale scopo.

(Non dice a chi, perché questa descrizione è già contenuta nella “definizione del consumatore”, che è parte integrante della strategia; né dove, perché la strategia “media” fa parte dello stesso documento).

La strategia creativa deve essere sufficientemente dettagliata per dare a chi realizzerà la campagna le informazioni necessarie e stabilire i binari entro i quali dovrà svolgersi la comunicazione.

Non deve essere così dettagliata da “tentare di essere la campagna”. Una buona strategia creativa costituisce uno stimolo, non una mortificazione, della creatività nell’esecuzione della campagna.

 

d. Strategia “media” (media strategy)

Questa parte della strategia si riferisce specificamente a quelle informazioni e valutazioni che hanno maggiore rilievo nella definizione del “piano media” (cioè non solo la scelta dei mezzi da usare per la campagna, ma anche tempi e modi del loro utilizzo).

(Non ripeterà le informazioni contenute nel “profilo del consumatore” e nella “strategia creativa” perché queste fanno parte della strategia, unica e indivisibile, che ricevono tutti).

La strategia media deve dare i necessari riferimenti al ruolo che la pubblicità dovrà svolgere, non limitarsi a indicare obiettivi numerici.

 

e. Altre strategie specifiche

Secondo il caso, una strategia può richiedere un uso rilevante (cioè sostanzialmente strategico) di diversi strumenti di comunicazione e promozione.

In questo caso può essere opportuno scrivere strategie specifiche che definiscano il ruolo di ciascuno nel quadro complessivo della strategia.

L’importante è che non siano “percorsi separati” ma elementi specifici di una strategia unitaria. Perciò è bene che (come detto all’inizio) tutte le funzioni professionali che lavorano in settori diversi abbiano un’idea chiara della strategia complessiva. Il che vuol dire che non basta “passare pezzi di carta” ma occorre verificare di persona che il progetto sia ben capito e condiviso da tutti.

 

f. Gli “effetti collaterali”
   del lavoro sulla strategia

La preparazione di una strategia richiede, come abbiamo visto, un complesso approfondimento del mercato, del prodotto, del consumatore, dei rapporti fra loro e dell’ambiente in cui si collocano.

Nel corso di questo lavoro accade abbastanza spesso che nascano “buone idee” che non trovano diretta applicazione nella strategia della campagna, ma che possono essere molto utili per il successo della marca.

La regola è che le buone idee non si buttano via. Devono essere tutte accuratamente annotate durante lo sviluppo della ricerca strategica; nel caso di “illuminazioni” particolarmente significative, immediatamente proposte al cliente; se no raccolte, per essere analizzate alla fine del lavoro di preparazione della strategia e organizzate nel modo più opportuno (sviluppate una per una o raccolte in un ordinato sistema di proposte operative da sottoporre al cliente in modo organico).

Le buone idee possono essere di qualsiasi tipo; collegate, oppure no, alla campagna pubblicitaria. Ecco alcuni esempi, fra i più frequenti, delle aree in cui questi “sottoprodotti della strategia” (talvolta preziosi quanto la strategia da cui nascono) si possono collocare:

Modifiche al prodotto. Aggiunta o cambiamento che può permettere al prodotto di corrispondere meglio alle aspettative del consumatore o di allargarsi a nuovi tipi di impiego o a nuovi segmenti.

Nuovo prodotto. Può essere una “estensione di gamma” del prodotto in esame o qualcosa di completamente diverso che si “scopre” osservando le aspettative del consumatore.

Grafica, imballaggio, promozione. Ricerca di “coerenza” fra la strategia e le altre manifestazioni del prodotto; o scoperta di possibilità nuove. Talvolta una piccola modifica alle istruzioni su un’etichetta può dare risultati importanti.

Sinergie “interne”. Possibilità di sinergia fra il prodotto e altre attività dell’impresa. Possibilità di sinergie pubblicitarie (sia come contenuto delle campagne, sia come uso dei mezzi), promozionali , eccetera.

Sinergie “esterne”. Possibilità di sinergia con un altre imprese. Naturalmente non si tratta necessariamente solo di sinergie pubblicitarie o di comunicazione.

Risorse “nascoste”. Possiamo scoprire che il cliente dispone di una risorsa (distributiva, strutturale, di comunicazione) che può essere utile alla nostra marca e che non sta utilizzando.

Insomma nel corso dell’analisi strategica conviene tenere gli occhi aperti. Non si sa mai dove si può scoprire un’idea che può rafforzare la posizione di una marca, o in qualsiasi altro modo essere utile al successo di un’impresa.

 

g. Quattro regole importanti

 

1. Tenere sempre presente la strategia

La strategia deve accompagnare la campagna in tutte le fasi successive di esecuzione e di sviluppo.

Ogni volta che si esamina un annuncio, una sceneggiatura, un piano media o qualsiasi elemento di una campagna, bisogna sempre fare riferimento alla strategia.

 

2. Sintesi e completezza

Il manoscritto dell’Infinito di Leopardi contiene decine di varianti, centinaia di annotazioni e correzioni; la versione finale è più breve delle precedenti.

Una delle arti fondamentali nella stesura di una buona strategia è quella di essere concisi ma completi. È importante rileggere sempre quello che si è scritto. Andare a caccia di ridondanze inutili o di piccole improprietà; e al tempo stesso controllare che non manchino elementi essenziali che per chi scrive sembrano ovvi ma possono non esserlo per chi leggerà.

Se è disponibile una grande massa di dati e numeri, bisogna saper scegliere con cura i nessi più rilevanti e mettere solo quelli nella strategia (si possono sempre mettere i dati più estesi in un allegato, o indicare dove è disponibile la fonte, per il caso che qualcun altro voglia riesaminare i dati a modo suo).

 

3. Scrivere in normale italiano; evitare il “gergo”

Anni fa un “account director” di una grande agenzia, usando senza accorgersi un inglesismo, scrisse in un suo rapporto che “la redenzione dei buoni” era superiore all’obiettivo. Intendeva spiegare che più persone del previsto avevano usato un buono-sconto. Ma si sentì chiedere se intendeva proporre una nuova tesi teologica.

È meglio sempre evitare non solo il linguaggio “commerciale” ma anche la tentazione di tecnicismi inutili o “di gergo” professionale senza giustificazione.

Questo è anche uno strumento per verificare se le idee sono chiare. Se un concetto non può essere espresso in buon italiano, semplice, piano e senza affettazione, è molto probabile che chi scrive non abbia capito bene che cosa vuol dire. Se un periodo ci esce complesso e intricato, proviamo a chiederci se il pensiero che c’è dietro è sufficientemente nitido.

Un’avvertenza particolare:

Usiamo parole tecniche quando c’è un motivo preciso. Se il prodotto è “biodegradabile” o se il processo produttivo è di “interesterificazione”, questi sono i termini esatti e tutt’al più si tratta di spiegare che cosa significano. Se intendiamo dire forma, diciamo “forma”; ma se ci riferiamo a una specifica teoria della percezione, è corretto chiamarla gestalt. Uno story-board si chiama storyboard, e va bene – almeno finché stiamo parlando con qualcuno che capisce quella terminologia. Ma ogni volta che usiamo una parola insolita, o un termine “gergale” del nostro mestiere, chiediamoci sempre: esiste una parola della normale lingua italiana che può esprimere altrettanto bene lo stesso concetto?

Spesso una parola astrusa, come un periodo intricato, è uno strumento di fuga per evitare di chiarirsi le idee. Se un medico fa una diagnosi di “iperglicemia” può nascere il sospetto che non sappia se il paziente ha il diabete o no.

 

Sintesi

  1. La “definizione del consumatore” è una descrizione “calda” e umana della persona vivente, senziente, pensante in cui si identifica il target group.


  2. La “strategia creativa” è una sintesi di ciò che vogliamo dire, a chi e con quale scopo; descrive il cambiamento che desideriamo ottenere nella percezione che il consumatore ha della marca.


  3. La “strategia media” descrive il ruolo che la scelta dei mezzi dovrà avere nel raggiungimento dell’obiettivo strategico.


  4. Queste tre parti sono inseparabili e insieme costituiscono la strategia.


  5. Le strategie si possono modificare durante o dopo la realizzazione della campagna ma questo non deve essere fatto con leggerezza; non è ammissibile, invece, che si realizzino campagne “fuori strategia”.


  6. Le “buone idee” che possono nascere come “effetto collaterale” del nostro approfondimento del rapporto consumatore-prodotto-ambiente possono essere preziose e devono essere coltivate.


  7. La strategia deve accompagnare il lavoro in tutte le fasi successive.


  8. Le strategie devono essere sintetiche e complete.


  9. Le strategie devono essere scritte in lingua semplice e normale.




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