onda
Le onde dei pensieri


Wireless – giugno 2001



Misfatti e speranze
della pubblicità online


Se avessi tutto il tempo che non ho... chiederei a un archeologo di aiutarmi a trovare una tavoletta di coccio in cui qualche sumero si lamentava di un antico spamming – o un mercante babilonese si chiedeva perché non funzionasse la formula, garantita da un famoso mago, con cui avrebbe potuto indovinare i desideri personali di ciascuno dei suoi clienti, compresi molti che non aveva mai visto né conosciuto ma che (grazie a quella magia) avrebbe automaticamente raggiunto con un’offerta perfettamente tagliata su misura.

Ma anche senza andare così indietro nel tempo la memoria di chi, come me, ha seguito per qualche decennio l’evoluzione del marketing e della comunicazione d’impresa trova infiniti esempi dei più svariati e bizzarri tentativi di fare pubblicità o promozione con ogni sorta di strumenti – dalla carta igienica ai vespasiani.

Non sono esempi immaginari. Ci sono stati davvero tentativi di stampare storielle umoristiche sulla carta igienica intercalandole con messaggi pubblicitari. Come c’erano adesivi negli orinatoi pubblici che offrivano prodotti più o meno “attinenti” alla situazione – compresa una polvere contro le piattole.

E oggi... la tentazione è ovvia. Come usare le nuove tecnologie di comunicazione? Se la telefonia mobile è così diffusa, come trasformarla in un mezzo pubblicitario?

I tentativi abbondano. I fiaschi anche. Vediamo, per esempio, che cosa sta succedendo con l’internet. In marzo avevo pubblicato un commento sui dati da cui risultava che le spese in pubblicità online erano enormemente meno ci ciò che gli operatori si aspettavano. Due mesi più tardi... sappiamo già che quelle analisi, apparentemente severe, erano ottimistiche – e che c’è un’ulteriore diminuzione. Perché? Semplicemente perché si era promesso ciò che non si poteva mantenere – e chi ha usato la pubblicità online l’ha quasi sempre fatto distrattamente e male.

Da tre anni si parla di permission marketing, ma molti interpretano il concetto alla rovescia, cercando pretesti per forme di comunicazione ancora più fastidiose e invadenti.

Uno di questi giorni la signora Ersilia Bianchi, mentre sta passeggiando, riceverà questo messaggio sul suo cellulare: «Cara Bianca Ersili, a cento metri da lei c’è un bellissimo negozio in cui troverà il gioco da regalare alla sua cara Barbara che domani compie 5 anni». Peccato che Barbara sia sua zia e abbia cinquant’anni. E che Ersilia abbia tutte le ragioni di irritarsi all’idea che qualcuno sappia sempre dov’è e possa importunarla quando vuole. Non butterà il cellulare in un tombino, ma imparerà a tenerlo spento in un cassetto e a usarlo solo quando è necessario.

Non sto scherzando. Casi del genere sono ben noti, da tempo immemorabile, a chiunque abbia un po’ di esperienza di direct marketing. E oggi è peggio. C’è un commercio di dati e “profilazioni” di qualità molto discutibile. Non solo c’è chi diffonde migliaia (se non milioni) di messaggi “sparando nel mucchio” senza alcuna precisa direzione. C’è anche chi acquista indirizzi “accuratamente selezionati” (così dice chi li vende) e si trova, senza volerlo, a infastidire un’infinità di gente che non è minimamente interessata alla sua offerta.

Si può uscire da questo marasma? Certo. Ma ci vuole una sana dose di diffidenza – e molta prudenza per evitare di farsi odiare. Occorre capire che non ci sono formule magiche né tecnologie miracolose. Ci sono e ci saranno i “bidonisti” che pur di vendere qualcosa sono disposti a infastidire il prossimo e che non si curano di quanto il cliente sarà irritato e deluso. Ma questa è l’antitesi di ogni seria e costruttiva attività di marketing.

I nuovi sistemi di comunicazione offrono molte possibilità di dialogo. Ma prima di parlare occorre imparare ad ascoltare; e poi ci vuole un impegno attento e continuo. Non è un metodo miracoloso, non produce risultati immediati e fantasmagorici – né richieste improvvise e ingestibili. Ma può costruire, con pazienza e costanza, relazioni solide e durevoli nel tempo. Come si insegnava nelle buone scuole d’impresa fin dagli albori del concetto di marketing... e come sa ogni buon mercante fin dal tempo dei Fenici.



Giancarlo Livraghi   gian@gandalf.it





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