Il potere della stupidità
Kali

Errori di prospettiva

Giancarlo Livraghi – ottobre 2007


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(migliore come testo stampabile)



Sappiamo che la terra è rotonda. Ma la nostra percezione quotidiana ci dice che è piatta. Solo quando viaggiamo un po’ lontano verso l’oriente o l’occidente ci accorgiamo di dover regolare l’orologio – o, in una conversazione telefonica a distanza, dobbiamo tener conto del “fuso orario”. Ma questo non basta a darci una prospettiva della struttura (e della complessità) del mondo in cui viviamo.

Sappiamo che capire vuol dire “mettersi nei panni degli altri”, osservare ogni cosa dal loro punto di vista. Sembra ovvio. Ma, in pratica, è difficile, perché non siamo abbastanza abituati a cambiare prospettiva.

Sappiamo che l’orizzonte è limitato, che occorre salire più in alto per vedere più lontano. Ma troppo spesso ci dimentichiamo di farlo nelle prospettive del pensiero e della curiosità. Restiamo chiusi, senza neppure rendercene conto, nell’orizzonte ristretto del nostro punto di vista e del nostro piccolo cerchio di abitudini.

Gli studi sulla percezione ci dicono che vediamo le cose in modo molto diverso non solo dalla cima di una montagna rispetto al fondovalle, ma anche stando in piedi o seduti – o spostandoci di pochi metri. E che lo stesso oggetto, o lo stesso disegno, può avere diverse interpretazioni secondo l’atteggiamento mentale con cui lo guardiamo.

Gli esperimenti sulla “testimonianza” ci insegnano che, anche pochi minuti dopo aver visto la stessa cosa, ogni persona la racconta in modo diverso – non perché sta consapevolmente mentendo, ma perché ne ha avuto una diversa percezione.

Se ho imparato molto dai lettori di Il potere della stupidità è perché ognuno lo legge in modo diverso. Ogni volta che qualcuno legge, nasce un libro nuovo, che non è ciò che ha scritto l’autore, ma ciò che si forma nella mente del lettore, in base alle sue esperienze e al suo stato d’animo. È stata (e continuerà a essere) un’esperienza molto interessante. Ma c’è voluta attenzione, pazienza, continua verifica. E spesso il commento di un lettore mi ha aiutato a capire meglio l’opinione di un altro, proprio per il fertile incrocio delle loro diverse prospettive.

L’infinita ricchezza e varietà della comunicazione è affascinante. Ma può anche essere un problema, quando percezioni troppo ristrette rendono vuoto il dialogo o misero l’apprendimento.

Quanti sono abituati a guardare una carta geografica? Possiamo vivere tranquillamente senza sapere a memoria qual è la capitale della Quasilandia o la popolazione del Forsistan. Ma capiamo meglio situazioni, avvenimenti, mentalità e culture se sappiamo dove, e in quali condizioni, vivono le persone a cui stiamo pensando – o con cui, per qualsiasi motivo, abbiamo un rapporto.

(Alcuni esempi di errori di prospettiva si trovano
in un precedente articolo su questo argomento).

Non si tratta solo di cambiare prospettiva quando è necessario, per uscire da banali e devianti convenzioni o per capire meglio il punto di vista di qualcun altro. È sempre utile, di qualsiasi cosa si tratti, cercare di vederla da prospettive diverse. Può essere sorprendente, talvolta affascinante, spesso illuminante, fare apposta a cambiare l’angolo di visuale. E può essere utile anche cambiare linguaggio. In che modo di potrebbe sviluppare la nostra percezione di qualcosa se la chiamassimo in modo diverso?

Vorrei dire, per inciso, che sapere più di una lingua non è solo utile per poter comunicare meglio con le persone che non conoscono la nostra. Una lingua non è solo un lessico. È anche quella che i filosofi, con un termine solo apparentemente “difficile”, chiamano Weltanschauung – cioè “visione del mondo”.

Può sembrare che le persone “di madre lingua” inglese, ora che la loro è diventata la “lingua globale”, si trovino in vantaggio. Ma non è solo ironico pensare il contrario. Chi sa una sola lingua ha una capacità culturale ristretta. Infatti i più “svegli” fra gli “anglofoni” cercano di impararne almeno un’altra, per avere una risorsa di prospettiva.

Non si tratta solo delle differenze fra l’italiano e il cinese, o degli infiniti “gerghi” più o meno disorcenti, come il politichese, il legalese, il tecnichese, il burocratese, il letterariese, il modaiolo, eccetera, che sembrano (spesso sono) fatti apposta per essere incomprensibili ai “profani”. Ci possono essere differenze di linguaggio (e perciò difficoltà di comprensione) anche fra persone che “credono” di parlare la stessa lingua, ma in realtà ne hanno una diversa percezione.

Naturalmente non si tratta solo della lingua, parlata o scritta, ma di ogni genere di comnicazione. Vedi Parole e immagini.

Sono molteplici, talvolta comici, spesso devianti gli errori di traduzione. Non solo da una lingua a un’altra, ma anche, all’interno di quella che sembra una lingua comune, fra diversi modi di pensare. E non si tratta solo di “capirsi meglio” nel dialogo con gli altri, ma anche di arricchire le nostre risorse di conoscenza.

Dovrebbe essere un esercizio continuo, una perenne ginnastica mentale, cambiare prospettiva in ogni cosa, cercare sempre di “vedere” da punti di vista diversi. Non si tratta solo di un serio e metodico approfondimento, che può essere laborioso e impegnativo – ma anche, più facilmente, di una varietà prospettica che, con un po’ di pratica, può diventare spontanea.

È istintivo, in parte inevitabile, che ognuno di noi veda le cose in base alla posizione (fisica a mentale) un cui si trova. È legittimo, in una visione relativistica, pensare che ogni punto possibile o immaginabile possa essere scelto come centro dell’universo. È ovvio che il nostro stato di coscienza si trova in un (mutevole e incerto) punto di contatto fra un mondo interiore e uno esterno. Ma ciò non giustifica il diffuso errore di rinunciare a capire che il nostro è solo uno di infiniti punti di riferimento possibili – e che capiamo assai poco se non sappiamo collocarci anche in prospettive diverse.

Mi scuso per un’osservazione che può sembrare astrusa per chi non si occupa di astrofisica – o rozzamente semplicistica per gli scienziati. Il concetto di “universo” è definito come “universo visibile”, cioè ciò che ci è possibile vedere. Perciò il “centro” è il punto in cui si trova l’osservatore. Se a questo aggiungiamo il “principio di indeterminazione” di Heisenberg, che si può un po’ rozzamente interpretare come il fatto che osservare un fenomeno significa modificarlo... in termini molto semplificati si conferma che nessun punto di vista si può considerare “assoluto”. Un motivo in più per abituarsi a ragionare con prospettive diverse.

La vita può essere molto noiosa per il continuo ripetersi delle stesse circostanze, degli stessi discorsi, degli stessi modi di esprimersi e di pensare, degli stessi esasperanti cliché. “Guardare da un altro punto di vista” non è l’unico modo per uscire da quel “circolo vizioso”, ma è uno dei più semplici e più efficaci.

Non si tratta solo di uscire dalla prigione delle abitudini – e di alimentare quell’insaziabile curiosità da cui nasce ogni sviluppo culturale. “Saper vedere” in modo meno convenzionale, saper capire in un’ottica diversa da quella apparentemente ovvia, cogliere gli aspetti che sono evidenti, ma sfuggono a una visione “unilaterale”... non è solo un modo per essere più intelligenti – o meno stupidi. È anche un’esperienza interessante, piacevole, stimolante. Esteticamente “bella” prima ancora di essere culturalmente, e concretamente, utile.

Cambiare prospettiva può essere molto divertente. Ed è quasi sempre illuminante.




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