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Homo stupidus stupidus

agosto 2007



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
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Con una certa sorpresa, mi trovo per la terza volta a citare Giovanni Sartori. Come aveva fatto nel 2006, anche quest’anno ha pubblicato un articolo nel Corriere della Sera in occasione del “ferragosto” – e ritorna a occuparsi della stupidità umana.

Mi scuso per una premessa personale, ma non sono un suo “discepolo”. Perché non ho la fortuna di conoscere il professor Sartori, né di essere stato un suo allievo. E perché non ho alcuna competenza specifica nell’argomento di cui parla abitualmente, il “costituzionalismo”, cioè lo studio dei metodi più efficienti per organizzare il potere legislativo e politico – e così far funzionare meglio la democrazia (nell’interesse, si spera, dei cittadini e della società, non dei privilegi e dei maneggi della “classe politica” e di vari “interessi particolari”).

Che ci sia molto di stupido nel modo in cui la politica è gestita, e ancora peggio nel modo in cui ne trattano i mezzi di cosiddetta informazione, è un fatto evidente quanto preoccupante. Ma è un altro l’argomento di queste osservazioni.
 

Il titolo dell’articolo di Giovanni Sartori del 15 agosto 2007 è Le illusioni dell’ambiente (preceduto da un “occhiello” Un’umanità che non sa salvare se stessa). Cioè si tratta della stupidità umana (un tema a cui ho dedicato parecchio studio) e dei problemi dell’ambiente (di cui si è trattato varie volte in questo sito – e anche in alcuni dei miei libri).

Il testo di Sartori comincia così.

La Terra è ammalata, il clima è impazzito, le risorse si assottigliano. Pian piano (troppo piano) se ne stanno accorgendo un po’ tutti. Ma la gente non vuole sapere; vuole sperare. E così la gente “rimuove” le cattive notizie. Chi ne dà notizia è un catastrofico, un apocalittico, e magari anche un uccello di malaugurio. Ma se una cattiva notizia è vera, allora è vera. Ed è purtroppo vero – la scienza è pressoché unanime nel certificarlo – che siamo al cospetto di una catastrofe ecologica che andrà a rendere invivibile anche la vita dell’uomo.

La scienza, in realtà, non è “unanime”. E ha il dovere di non esserlo. Ogni corretto processo scientifico deve sempre dubitare di se stesso, verificare altre ipotesi, esplorare percorsi diversi. Ma ciò non significa che la necessaria varietà delle interpretazioni scientifiche possa diventare un pretesto per ignorare il problema.

Anche se l’evidenza scientifica sul collasso ecologico è ormai schiacciante – osserva Sartori – per il grosso pubblico ogni pretesto è buono per non crederci. Il dibattito si svolge su tre fronti: 1) la fallibilità delle previsioni, 2) l’incertezza sulle cause, e quindi sulle “colpe”, 3) l’efficacia dei rimedi.

Sartori nel suo articolo analizza quelle tre aree di discussione, per evitare la confusione che nasce dalla mescolanza, e così scoprire “chi bara al gioco”. Credo che il problema si possa guardare anche in una prospettiva diversa: in termini generali, indipendentemente da questa o quella interpretazione delle evoluzioni climatiche, delle loro cause e dei possibili rimedi.

Sembra che le più diffuse discussioni sull’argomento siano concentrate sul tema del “riscaldamento globale”. Che secondo alcuni c’è, ed è causato dall’inquinamento di origine umana. Secondo altri non c’è, oppure è un “ciclo geologico”. Che ci siano problemi seri nell’evoluzione generale del clima è probabilmente vero. Ma proviamo a immaginare che non sia così – o che le cause siano diverse e perciò la crisi non si possa risolvere con la riduzione delle fonti inquinanti. Potremmo, in quel caso, “dimenticare” il problema? Sarebbe straordinariamente stupido.

È anche vero (come spiegava Michael Crichton in State of Fear nel 2004) che una “buona causa”, come la gestione dell’ambiente, può essere deformata e sfruttata da ogni sorta di manipolazioni. E che, in generale, uno “stato di paura” produce più stupidità che intelligenza – e può essere perversamente sfruttato da chi se ne serve per aumentare il proprio potere. Insomma non si tratta di “alimentare paure”, con conseguenze confuse e degradanti, ma di sviluppare un clima di lucidità e ci chiarezza, che porti a capire la serietà del problema e a cercare soluzioni consapevoli.

Vorrei anche osservare che non si tratta solo del “grande pubblico”. È purtroppo vero che la maggior parte delle persone, in tutte le culture e in tutti gli ambienti, bada più al “particolare” delle sue esigenze quotidiane che a prospettive estese nello spazio e nel tempo. Ma la stessa ignoranza, la stessa ignavia, in modo più gravemente colpevole, riguarda anche tutti i generi di potere e di governo.

La notizia più sconfortante – dice Sartori – è che i più indifferenti al loro stesso destino sono i giovani. Gli spregiati anziani si battono, in definitiva, per le generazioni future (al momento della resa dei conti loro, gli anziani del Duemila, non ci saranno più). Ma i giovani se ne sbattono, non gliene frega niente.

Su questa distinzione sono un po’ perplesso. Che molti giovani (ma non tutti) siano “menefreghisti” probabilmente è vero. Ma dov’è quella moltitudine di anziani consapevoli? La sapienza di alcuni illustri scienziati non è, purtroppo, diffusa neppure fra i loro coetanei. Anche nel mondo scientifico molti si “accontentano” di prospettive ristrette. Sembra che in questa situazione (come in tante altre) la stupidità non abbia confini. Né di età, né di cultura, né di livelli di responsabilità.

Fare previsioni è sempre difficile. Ma in alcune cose bisogna essere ciechi per non capire una tendenza. Il problema dell’energia era evidente cinquant’anni fa – o anche prima. Non si tratta solo di squilibri climatici. I livelli di inquinamento e di degrado (se non distruzione) ambientale erano e sono molto gravi. Era ed è evidente che continuano e continueranno a peggiorare.

L’uso di energie “fossili” (ma anche “fissili”) non è solo rozzo e primitivo rispetto a soluzioni molto più efficienti (e meno nocive) che un intelligente progresso scientifico e tecnico può attuare. L’uso di residuati putrefatti di antiche ere geologiche (in particolare del petrolio) produce catastrofici sconquassi in tutto il sistema geopolitico – anche indipendentemente dal fatto che quelle risorse non sono “inesauribili” e con la crescita dei consumi si avvicina pericolosamente il momento in cui sarà sempre più difficile, prima di diventare del tutto impossibile, continuare a basarsi su quelle antiquate e grossolane maniere di produrre energia.

L’impegno in quella direzione è stato spaventosamente scarso. Ora sembra che la disattenzione sia un po’ diminuita (vedi Bolla verde) ma siamo in ritardo di più di quarant’anni e la “mobilitazione” di risorse è ancora molto al di sotto di ciò che occorre per affrontare efficacemente un problema che si sta velocemente aggravando.

Sartori osserva che L’uomo dell’età tecnologica ha, rispetto ai suoi antenati, un potere cento volte superiore (dico a caso) di danneggiare il suo habitat. Oggi ogni persona in più dei paesi sviluppati o in rapido sviluppo (Cina inclusa) inquina ed esaurisce le risorse naturali (mettiamo) 50 volte di più di un uomo di cinquecento anni fa. Comunque, ammettiamo – ottimisticamente – che la tecnologia ci possa salvare. Ma questa speranza è sottoposta a una condizione tassativa: fermare, e anzi fare retromarcia, sulla crescita della popolazione. E poi commenta sui perniciosi effetti di spinte che agiscono in senso contrario, ostacolando il controllo delle nascite o addirittura spingendo a una maggiore prolificità.

Che fermare la crescita della popolazione (anzi possibilmente arrivare a una diminuzione) sia importante, è un concetto evidente quanto insufficientemente applicato. Ma non basta.

I danni ambientali e gli altri fattori di crisi derivanti dal problema energetico sono già gravi oggi. Se i consumi rimanessero costanti, andremmo comunque incontro a problemi di crescente drammaticità. Ma è inevitabile che aumentino,perché anche se nelle economie più evolute si riuscisse (cosa possibile) a ridurre i consumi senza per questo rinunciare alle comodità cui siamo abituati, è insensato pensare che si possa mettere un freno alle economie “in sviluppo” – la cui crescita, inevitabilmente, moltiplica le dimensioni del problema.

In mancanza di misure più precise, accettiamo l’ipotesi che «l’uomo dell’età tecnologica abbia, rispetto ai suoi antenati, un potere cento volte superiore di danneggiare il suo habitat» (probabilmente l ’aumento è assai più grande). Con l’andamento attuale bastano pochi decenni per arrivare a 200 o 300 volte di più (mentre con velocità ancora maggiore si assottigliano le “riserve” degli antichi residui che stiamo bruciando). Cioè andiamo, con catastrofica velocità, verso dimensioni totalmente ingestibili con le risorse di oggi (che sono già inadeguate per la situazione esistente).

La straordinaria stupidità dell’intero genere umano (e in particolare di chi lo governa, nella politica, nell’economia e nell’informazione) sta nel fatto che tutto questo era facilmente prevedibile, ma nessuno è stato capace di guardare un po’ più in là della punta del naso (spesso rivolta in tutt’altra direzione). Forse la situazione non è del tutto irrimediabile, ma occorre dare un colpo forte e risoluto all’imperversante potere della stupidità.

L’articolo di Sartori conclude così.

Ci siamo fregiati del titolo di homo sapiens sapiens. Ma un’umanità che non sa salvare se stessa da se stessa merita semmai il titolo di homo stupidus stupidus. A proposito: buon ferragosto. Oggi siate lieti e spensierati. Se poi vi interessa il futuro, allora mi potete ancora leggere e “male dire” domani.

Se non vogliamo che qualche altra specie, sopravvissuta chissà come a una catastrofe dell’ecosistema, ci classifichi con un epiteto diverso dall’arrogante sapiens sapiens che ci eravamo incautamente attribuiti... è venuto il momento di svegliarci e di cercare di essere, in questa come in tante altre cose, un po’ meno stupidi.

E stiamo attenti a non credere, come troppo spesso accade, che “a queste cose ci deve pensare qualcun altro”. Quel “qualcuno”, chiunque potesse essere, ha mancato disastrosamente al suo compito. Dovremmo tutti chiederci se e come si possa fare un po’ meglio – almeno cominciare a capire che il problema esiste e che non c’è (per quanto si è potuto capire finora) una “panacea” universale capace di risolverlo tutto insieme. Ciò che probabilmente occorre è una somma di tante cose, grandi e piccole, il cui sviluppo richiede un più diffuso “stato di coscienza”.

Vorrei anch’io, “nel mio piccolo”, salutare i miei lettori, augurare un buon ritorno dalle vacanze che cominciano a finire – e sperare che continuino ad apprezzare e condividere le mie osservazioni, anche quando sono critiche, senza per questo farmi fare la fine di Cassandra (che, lasciatemelo ripetere, non era una fattucchiera o una profetessa di malaugurio, ma solo una ragazza un po’ più attenta degli altri, poco e male ascoltata dai suoi impazienti compatrioti).




I commenti su due precedenti articoli
di Giovanni Sartori si trovano in

La stupidità sta crescendo?

La stupidità del “giovanilismo”


 




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