Come conquistare l'Araba Fenice

Un articolo su Web Marketing Tools
ottobre 1998

 

   

L’elettronico commercio,
come l’Araba Fenice:
che ci sia, ciascun lo dice;
dove sia, nessun lo sa.

                                         (Con le doverose scuse a Pietro Metastasio)

 

Ma ci sono davvero possibilità molto interessanti per l’attività
delle imprese in rete. E specialmente per le imprese italiane.


 

1 – Nuovi mercati: reali o immaginari?

2 – Incubi e sogni

3 – Il "commercio" in rete è un pericolo?

4 – Si tratta solo di "commercio elettronico"?

5 – Dialogo e servizio

6 – Ne vale la pena?

7 – L’Italia: luci e ombre

8 – La rete sembra fatta apposta per gli italiani

 

Nuovi mercati: reali o immaginari?

Quando si parla di "commercio elettronico" (una definizione impropria, come spiegherò più avanti) fra le persone che hanno approfondito il problema in modo non troppo superficiale ricorre spesso una vecchia storiella. L’ho sentita raccontare in corsi di formazione per venditori (e anche in lezioni di marketing) per dozzine di volte, fin da quando ero ragazzino (cioè parecchio tempo fa). Ma non è un caso che ritorni di attualità oggi, quando si parla di business sull’internet.

C’è un’impresa che produce scarpe e decide di allargare la sua attività a nuovi mercati. Manda due ispettori di vendita in due paesi lontani, molto simili, dove il clima è caldo, i costumi sono antichi e l’economia è "in fase di sviluppo". Dopo un po’ di tempo, uno dei due manda un fax: Qui nessuno porta scarpe, mercato inesistente, rientro domani. L’altro manda una relazione sul mercato che conclude: Qui nessuno porta scarpe, potenziale straordinario, apriamo una filiale.

Sul cosiddetto e-business si sono versati fiumi d’inchiostro. Libri, articoli, relazioni, ricerche, studi. Un oceano di parole, congressi, convegni, seminari, lezioni universitarie; dozzine di tesi di laurea; per non parlare dell’incalcolabile numero dei byte che sono corsi e corrono nella rete. Profezie mirabolanti... vedo spesso citate proiezioni da cui risulta che fra due o cinque anni nessuno andrà più al supermercato; avremo liste della spesa automatizzate che ci faranno arrivare a casa patate e detersivi a metà del prezzo attuale (per la riduzione di costi di distribuzione e il miglioramento delle economie di scala) con sistemi di pagamento elettronico per cui nessuno userà più denaro liquido, assegni o carte di credito. Contemporaneamente industrie e distributori avranno una traccia precisa del nostro comportamento, così potranno offrirci ciò che cerchiamo (ma forse anche penetrare in modo fastidioso nella nostra vita personale). Non ci sarà più pubblicità "generale" ma solo comunicazioni indirizzate in modo preciso a chi è interessato a uno specifico prodotto o servizio.

Non andremo mai più in un negozio, così come non dovremo più fare una coda in un ufficio pubblico, perché tutto sarà gestito da una rete di computer invisibili e attivati a voce. Non avremo più le chiavi di casa, perché diremo alla porta "apriti, Sesamo" e riconoscerà la nostra voce oltre alla password; poi, sempre parlando al nulla (o facendoci innestare un microchip che legga i nostri pensieri) potremo accendere il forno, il televisore, il riscaldamento nella nostra casetta in montagna... ordinare il caffè al bar o prenotare un volo per Tegucigalpa, mentre una fedele segreteria elettronica informerà automaticamente amici, colleghi e interlocutori di lavoro dei nostri movimenti. Non ci sarà più né un libro, né un giornale, né una matita; tutto sarà su un grande schermo piatto in soggiorno o in cucina (dove i più grandi chef del mondo cucineranno a distanza per noi) o su un taccuino elettronico che terremo in tasca. Dobbiamo crederci?

Incubi e sogni

Alla domanda: succederà qualcosa del genere? l’unica risposta corretta è "non so". L’unica cosa estremamente probabile è che gli scenari di domani non somiglieranno ad alcuna delle profezie di oggi. Le tecnologie possono evolversi rapidamente, ma il comportamento umano ha ritmi diversi. Fra le infinite possibilità offerte dalla tecnologia solo alcune si realizzeranno; ed è difficile capire quali. Abbiamo molte più probabilità di interpretare bene i fenomeni se badiamo al comportamento delle persone e non alle prestazioni delle macchine. Credo proprio che il mondo cambierà, ma è impossibile sapere come e quando. L’unica possibilità per fare efficacemente business in rete è osservare con attenzione comportamenti e tendenze per cercare di capire quali, davvero, si evolvono e possono creare problemi, od offrire occasioni: specialmente nel nostro specifico settore di attività. Il resto, scusatemi la franchezza, è aria fritta.

Basta rileggere un libro di cento (o cinque) anni fa per vedere come l’evoluzione reale non corrisponde quasi mai alle previsioni. Gli scenari che ci vengono proposti possono essere vissuti come un fantastico sogno o un incubo orribile. Secondo me, se sapremo usarle con intelligenza e concretezza, le tecnologie sono e saranno molto più utili che dannose. Ma nulla è perfetto; il compito per ognuno di noi è non lasciarci spaventare né affascinare, cercare di trovare l’utile ed evitare il fastidioso (o nocivo). È molto meno difficile di quello che sembra, se siamo capaci di guardare le nuove tecnologie con la stessa concretezza e semplicità con cui usiamo le vecchie (che una persona vissuta non molto tempo fa vedrebbe come incredibili stregonerie).

Ho sempre letto con grande interesse buoni libri di fantascienza. Ma né io, né i loro autori abbiamo mai pensato che si trattasse di profezie. Infatti la realtà in cui viviamo è completamente diversa da qualsiasi mondo immaginato nei secoli (o anni) scorsi. Avete notato, per esempio, che nemmeno quello che probabilmente è il più grande scrittore di fantascienza di tutti i tempi, Isaac Asimov, aveva ipotizzato l’invenzione di qualcosa come il protocollo TCP/IP, cioè di quel sistema che chiamiamo "internet"?

Il "commercio" in rete è un pericolo?

Alcuni "puristi" temono che la "commercializzazione" della rete ne uccida le migliori qualità. Dobbiamo preoccuparci? La risposta, secondo me, è sostanzialmente no – ma un po’ si. Lavorare, produrre, vendere, commerciare fanno parte dell’essere umani. Che queste cose siano in rete è inevitabile e non è nocivo; anzi credo che senza le attività commerciali (o in generale d’impresa) mancherebbero le risorse per tenere in piedi quel sistema complesso di servizi e rapporti che è la ragnatela delle reti.

Ma è possibile, anzi probabile, che una parte della rete si trasformi in una riproduzione di quel sistema chiuso e a "senso unico" che sono i mezzi tradizionali. Pochi, grandi siti frequentati da un numero così grande di persone che non c’è spazio per il dialogo; pochi, grandi "portali" che controllano e regolano il flusso (e lo mandano dove vogliono loro). Se la rete fosse solo questo morirebbero i suoi valori più importanti; sarebbe la fine dello scambio, dell’interattività, delle comunità, di tutto ciò che la rende diversa dai mezzi tradizionali. In fondo è solo un momento dell’eterno contrasto fra i dinosauri e gli scoiattoli, di cui parlavo su Web Marketing Tools di giugno.

Possibile? Si. Probabile? Spero di no. Perché ridurre la rete a una variante tecnica della televisione non solo non conviene a noi, come persone; ma neppure a chi fa "commercio" o più in generale attività d’impresa in rete; perché perderebbe la possibilità di usare uno strumento diverso e (per certi aspetti) molto più efficace.

Si tratta solo di "commercio elettronico"?

Credo che per poter approfondire un po’ l’argomento occorra prima di tutto mettere in discussione il concetto più diffuso, e secondo me sbagliato: "commercio elettronico". Non c’è lo spazio in questo articolo per approfondire i molti e complessi motivi per cui si tratta, almeno finora, di poco o nulla (per un’analisi di questo tema vedi la rubrica Il mercante in rete).

C’è una constatazione semplice: le imprese sono piuttosto scettiche; e quelle che si avventurano in rete lo fanno quasi sempre in modo superficiale. I motivi sono tre. Finora il mercato (nonostante le chiacchiere) ha dimensioni infinitesimali. Il terreno è nuovo, mancano esperienze, competenze e criteri. E soprattutto... l’attività delle imprese in rete viene proposta secondo un’unica formula, molto restrittiva: "commercio elettronico". Definito secondo un’interpretazione ancora più banale e limitata, come se marketing in rete volesse dire solo metter su un sito web, dove si vende qualcosa, e cercare di farlo conoscere.

Sono sempre più convinto che il modo efficace per affrontare il problema è un altro.

Dialogo e servizio

Usare la rete secondo i criteri tradizionali del marketing e della comunicazione, o solo per fare "commercio" (nell’interpretazione più grossolana del termine) non è quasi mai una soluzione efficace. E, anche se lo fosse... concentrarsi su questo aspetto rischia di far perdere di vista le altre possibilità che la rete offre e che, secondo me, sono molto più importanti.

In teoria, il segreto è semplice. Pensare in termini di servizio e analizzare in modo specifico tutti i nodi di connessione fra l’impresa e i suoi molti interlocutori (non solo "consumatori"). Individuare i punti (ci sono sempre) in cui l’attività può essere più efficace migliorando il sistema informativo e di dialogo. Organizzare un sistema sinergico che faccia leva non su un solo punto, ma su una simbiosi di fattori diversi che, quando "interconnessi", aumentano molto la qualità e l’efficienza (in questi casi è quasi sempre vero che "il totale è maggiore della somma delle parti"). Sviluppare soluzioni che non siano "imitazione" di ciò che fanno gli altri, e tantomeno applicazione di modelli standardizzati; ma che siano costruite "su misura" per le capacità e le risorse di una singola impresa. L’obiettivo è valorizzare al massimo la propria identità, "unica e inimitabile"; e così scegliere un terreno d’azione adatto a noi e, contemporaneamente, difficile per i nostri concorrenti.

In pratica, è impegnativo. Ci vuole tempo. Occupa e consuma la cosa più preziosa e importante: le risorse umane. Richiede flessibilità, fantasia, coraggio... quella creatività che Vilfredo Pareto definiva "trovare nessi nuovi fra cose note". Richiede nuova formazione, che non si ottiene con banali (e spesso deprimenti) esercizi di "alfabetizzazione" tecnica ma con l’esplorazione di territori, umani e di relazione, di cui non esistono carte o portolani attendibili e aggiornati. Richiede talento; e vediamo che spesso non vengono adibite a questi compiti le persone più adatte – o se lo sono, e hanno visto giusto, sbattono continuamente contro un muro di gomma (se aprissi la mia mailbox potrei portare infinite, e molto eloquenti, testimonianze).

Ne vale la pena?

Se è così impegnativo, se richiede metodi di scambio e di collaborazione che possono essere laceranti per le gerarchie e i ruoli consolidati all’interno di un’organizzazione, se consuma parecchio tempo e impegna risorse umane, non è meglio stare alla finestra, lasciare che altri vadano col machete nella giungla, per poi percorrere più tranquillamente sentieri che avranno aperto? Credo di no.

L’esercizio di de-strutturazione, di demolizione delle gerarchie e barriere interne, di dialogo "interdisciplinare" dentro e fuori dall’impresa, è comunque salutare. Anche se non servisse per sviluppare attività nei nuovi sistemi di comunicazione, sarebbe benefico per qualsiasi organizzazione. Le teorie della gestione hanno approfondito questi temi per decenni. La pratica... molto meno. La forza dell’abitudine, il conforto (apparente) della routine, la difesa di "mansioni" e ruoli... sono infiniti gli ostacoli che si oppongono a questa evoluzione, sempre più necessaria nel mondo di oggi (anche indipendentemente dalle nuove tecnologie di informazione e di dialogo).

La scoperta dei nodi e delle connessioni, delle leve informative che migliorano la qualità e favoriscono lo sviluppo, dà quasi sempre risultati importanti. Da un semplice miglioramento dell’efficienza (comunque utile e rilevante) fino a un "salto di qualità" determinante per le strategie d’impresa.

La cosa più rischiosa, secondo me, è evitare la fatica e l’impegno di un’analisi seria, rifugiarsi in qualche formuletta prefabbricata, metter su un sito "qualsiasi", magari gremito di grafica e di giochetti inutili, fare un po’ di banner e immaginare, con questo, di essersi "tolto il problema".

L’Italia: luci e ombre.

Ci sono alcune buone notizie. Chi segue il lavoro che svolgo da anni nel tentativo di capire e studiare la rete, dietro la spessa cortina di nebbia delle chiacchiere tecnofantastiche, delle proiezioni inattendibili e del generale fracasso sul nulla, mi dice "sei diventato ottimista". Non è vero. Non ero "pessimista" prima, non sono "ottimista" ora. Cerco soltanto di capire i fatti (il che non è facile) e, per quanto possibile, di interpretarli.

La "buona notizia" è che da circa sei mesi la crescita della rete in Italia è molto più vivace che in passato. Intendiamoci: siamo ancora "l’ultima ruota del carro". Se calcoliamo la presenza in rete in rapporto al reddito, siamo all’ultimo posto nell’unione europea. L’Italia rappresenta circa il 4 per cento dell’economia mondiale, l’1 per cento della rete. Ha il 12 per cento del prodotto interno lordo europeo, il 14 delle automobili, il 17 o più dei telefoni cellulari... il 5 della rete in Europa.

Ma il numero di host internet italiani si sta avvicinando a 400.000 (un anno fa erano 260.000, due anni fa 120.000). Ora siamo al sesto posto "in cifra assoluta" in Europa, al decimo nel mondo. Abbiamo superato paesi tradizionalmente dominanti come la Norvegia e (di poco) la Svezia. C’è poco da festeggiare, perché siamo ancora paurosamente indietro rispetto a paesi paragonabili per popolazione e reddito (per esempio la Gran Bretagna ha una presenza tre volte superiore alla nostra) e per densità rispetto alla popolazione siamo dietro l’Estonia e la Slovenia. La distanza in confronto a paesi avanzati, come gli Stati Uniti, la Finlandia, l’Australia, l’Olanda o la Svizzera... è abissale. Ma la cosa interessante è la tendenza. Negli ultimi sei mesi abbiamo avuto una crescita del 48 per cento, rispetto a una media del 19 in Europa e del 23 nel mondo. (Vedi il numero 26  della rubrica Il Mercante in Rete). Qualcosa si muove... se queste linee di tendenza si confermassero, in tre o quattro anni potremmo arrivare "in quota". Un motivo di più per pensare seriamente a imparare come muoversi in questo nuovo territorio.

Le ombre... sono molte. Fra queste una diffusa incultura e incomprensione, specialmente da parte di chi ci governa, dell’establishment culturale e dei mezzi di informazione. Si ripetono spesso autentiche "crociate" di disinformazione sulla rete, molto più intense e feroci in Italia che in altri paesi (vedi La figlia di Omero e la libertà del mercato, gli articoli nella sezione Libertà e la documentazione sul sito ALCEI).

La rete sembra fatta apposta per gli italiani

Rieccoci così alla storiella del fabbricante di scarpe. Ci vorrà tempo prima che in Italia si sviluppi qualcosa di simile a un diffuso "commercio elettronico". Ma già oggi le possibilità all’esportazione sono molte, e molto interessanti. La diffusione della rete nel mondo è molto squilibrata (il 98 per cento dell’umanità è ancora escluso) ma ci sono mercati importanti che offrono possibilità immediate e concrete; o comunità diffuse, in settori specifici, anche in molti altre parti del mondo. E se la crescita non è, come si favoleggiava, "esponenziale"... è davvero veloce: ciò che impariamo oggi su una scala relativamente piccola potrà esserci prezioso domani su dimensioni più ampie.

Il mercato internazionale è difficile, confuso e fortemente competitivo. Ma ci sono molte imprese italiane che hanno successo in tutto il mondo in condizioni non più facili di queste. Che cosa ci vuole per vincere in rete? Flessibilità. fantasia, innovazione, molta attenzione alle relazioni e un forte spirito di servizio. Queste sono, da sempre, le carte vincenti delle imprese italiane; specialmente le famose "piccole e medie imprese" che sono la spina dorsale della nostra economia.

Mi sembra un’occasione da non perdere.

 

 

Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
ottobre 1998

 

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