I meschini Torquemada
del cattivo giornalismo


Un articolo su InterLex di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it

16 maggio 2000



 
 

Sembrava passata l’onda della paura. I piccoli o grandi ras della cultura (che si annidano nella scuola, nelle gerarchie intellettuali, eccetera; non solo nelle redazioni dei giornali) continuano ad avere una gran fifa che un’informazione più libera possa intaccare i loro privilegi. Ma ormai gli interessi economici in gioco sono tali da imporre a costoro un imbarazzato ossequio. Si sentono in obbligo di cantare le lodi di una "nuova economia" di cui non hanno capito il senso, né il valore. Parlano un po’ meno spesso di pornografia, pedofilia o malfattori in rete; un po’ più spesso di presunte meraviglie tecnologiche o di mirabolanti (quanto immaginarie) crescite dell’e-business. Ma non perdono occasioni per spargere disagio e diffidenza – per esempio approfittando di un virus, non più nocivo di tanti altri, per cercare di spaventare quegli scomodi "liberi pensatori" che usano la posta elettronica per scambiare idee o si servono della rete per trovare qualche notizia un po’ meno condizionata e omogeneizzata di ciò che si legge sui giornali o si sente dire in televisione.

Naturalmente un "vero" giornalista, come ogni altro mediatore culturale che sappia far bene il suo mestiere, non ha motivo di temere la rete. Al contrario, se ne può servire per svolgere meglio il suo compito. Se è vero che in rete tutti hanno lo stesso diritto di voce, è anche vero che chi ha maggiore capacità e attenzione nell’interpretazione delle notizie e delle situazioni ha un ruolo insostituibile e molto apprezzabile: che non degrada in un libero scambio di opinioni, anzi assume ancora più senso e valore.

Ma molti hanno paura. Per il semplice motivo che non sanno far bene il loro lavoro e temono (giustamente, in questo caso) di perdere quei privilegi che non derivano dalle capacità culturali e dall’esperienza ma sono soltanto "rendite di posizione". Purtroppo l’effetto dirompente della rete è più debole di ciò che costoro temono. Che bello sarebbe se i loro timori fossero davvero fondati... e da un giorno all’altro trovassimo i cattivi giornalisti, i pessimi insegnanti, i baroni della cultura, alla ricerca di un lavoro onesto – "dato e non concesso" che possano essere impiegati utilmente a fare qualcosa, perché molti di loro non sono neppure adatti a dare ripetizioni di italiano a un bambino delle elementari.

Non ho mai letto un articolo di un tal Bruno Tucci, presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio e del Molise. Non so come faccia il suo lavoro. Ma se ha proposto di censurare la rete è probabile che sia un pessimo giornalista. Il suo "appello" sarà cestinato come merita, o sepolto con quatto risate? Lo spero. Ma pare che posizioni simili siano espresse dalla Federazione Nazionale della Stampa, che è una lobby potente (e spesso perversa). E abbiamo visto in altre occasioni il nostro potere politico, e i nostri legislatori, partorire provvedimenti abborracciati e confusi che hanno contribuito all’inadeguato sviluppo dell’internet (e soprattutto di una vera cultura della rete) nel nostro paese.

Sarà meglio stare in guardia, perché la voglia di censura è sopita ma non spenta. Tutto ciò che può incrinare il soffocante tessuto dell’informazione omogeneizzata, standardizzata e asservita fa paura al potere, in tutte le sue forme; e ai suoi infiniti servitori.

Se qualcuno volesse davvero occuparsi dei problemi dell’informazione, dovrebbe puntare gli occhi altrove. Sul degrado di un sistema informativo disperatamente ripetitivo e omogeneo, dove ogni voce indipendente o davvero innovativa è sommersa nel soffocante pastone di un ripetitivo frullato in cui è difficile distinguere fra un giornale cosiddetto "serio" e Novella 2000 – perché nell’imperversante pettegolezzo non c’è differenza fra le meschine beghe della politica o della finanza e l’ultima tresca di qualche fanciulla nota più per la misura del suo reggiseno, o per la mobilità delle sue anche, che per il contenuto del suo cervello.

Ricordate il tempo, ormai quasi dimenticato, in cui l’intero sistema politico-informativo mondiale cercava di convincerci che il presidente degli Stati Uniti potesse perdere il posto perché non aveva detto la verità su uno squallido episodio di sesso? A smentirli, in quel caso, non fu la temutissima internet. Ma la legnata che i mestatori repubblicani si presero dagli elettori; ovviamente meno stupidi di quanto pensassero i manipolatori della politica e dei mass media.

Lo sanno tutti. Basta parlare con qualsiasi persona un po’ esperta di editoria o di giornalismo per sapere quanto è degradato tutto il sistema informativo. In tutto il mondo; e in Italia è ancora peggio, per motivi così ovvi che spero sia inutile ricordarli. Pochi hanno il coraggio di dirlo in pubblico, ma qualcuno lo fa. Vedi per esempio il dibattito fra Eugenio Scalfari e Umberto Eco nell’ottobre 1999 – dove tutti e due hanno ammesso che il problema è grave ma non sanno come trovare una soluzione.

Che bello sarebbe se l’internet fosse davvero una minaccia così terribile come temono i difensori di un establishment culturale sostanzialmente defunto ma ancora dominante (quelli che Michael Crichton, già sei anni fa, definiva mediasauri in estinzione). E se ci fosse "urgenza" perché il fragile castello del potere omogeneizzante sta per crollare. Purtroppo non è così facile. Ci vorrà ancora parecchio tempo; e non sono molte le persone che hanno davvero la curiosità, l’impegno e l’ostinazione che occorrono per trovare (e magari diffondere) notizie e commenti un po’ meno banali. Ma teniamoci stretta la rete; perché è quasi l’unica risorsa che abbiamo per trovare qualche spiraglio che ci liberi dalla soffocante prigione della pseucodultura in cui stiamo sempre più sprofondando.




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