Vecchi poteri e vecchi privilegi
contro il diritto di copiare

Occorre una nuova interpretazione del “diritto d’autore” e della “proprietà intellettuale”, che favorisca la libera circolazione delle idee e il diffuso “diritto di copiare”. Invece si procede all’indietro, con un inasprimento di regole e concezioni superate.


Un articolo su MyTech (Mondadori) – 31 luglio 2000

di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it


 
 


Due notizie recenti riportano “all’onore della cronaca” un problema serio e irrisolto: come si concilia il “diritto d’autore” con il “diritto di copiare” e con la libera circolazione delle idee e delle informazioni? Dimostrano anche come le autorità politiche e i poteri economici abbiano la mente ancorata nel passato e si rifiutino di accettare e capire le realtà dei nuovi sistemi di comunicazione e della cosiddetta “nuova economia”.

Non sappiamo ancora quali saranno gli effetti del tentativo di un magistrato americano di far chiudere Napster. È una pessima notizia per gli amanti della musica – e un caso clamoroso. Ma è solo un episodio in una guerra in corso da anni in cui potenti interessi economici combattono una lucrosa battaglia di retroguardia per difendere i loro privilegi e i loro profitti contro una naturale tendenza della storia.

Sono purtroppo chiari, invece, gli effetti perversi di una legge varata in questi giorni in Italia, che non risolve le storture delle norme preesistenti ma anzi le peggiora. Prima di esaminare brevemente i guasti di quella legge, credo che sia utile un accenno al quadro generale.


La vecchia concezione del “diritto d’autore”
non è adatta alla realtà di oggi

Il cosiddetto “diritto d’autore” è nato (non a caso) agli albori dell’era industriale. L’intenzione era affrancare gli autori dalla necessità di mettersi al servizio di un “principe” o di un “mecenate”; uscire dalla situazione in cui studiare, pensare e scrivere era il privilegio di chi aveva abbastanza soldi per potersi permettere di dedicarsi alle “arti liberali” – o abbastanza agganci per essere stipendiato da un monarca, da una chiesa, da qualche potente corporazione o da un ricco dell’emergente “terzo stato”.

Nel ventesimo secolo, con una crescente industrializzazione dalla stampa, con la nascita della radio, del grammofono, del cinema e della televisione, si sono creati imperi economici dell’informazione e dello spettacolo – che pagano profumatamente alcuni autori o interpreti (strumenti manipolati dello star system) mentre concentrano nelle proprie mani il controllo del sistema, di fatto riducendo a poco o nulla i diritti e la libertà degli autori.

Il “diritto d’autore” è diventato il pretesto per affermare il potere e il guadagno di quelle grandi organizzazioni; con il sostegno del potere politico che in molti paesi ha il controllo più o meno assoluto dell’informazione – e che nelle democrazie, quando non riesce a impadronirsene, fa tutto il possibile per guadagnarne la benevolenza.


Collusione dei poteri contro la libera diffusione
delle idee e della conoscenza

Ci sono situazioni curiose. Vediamo paesi come la Cina (e altri del sud-est asiatico) accusati di essere distributori mondiali di software copiato, con minor guadagno per le imprese (soprattutto americane) che vendono quel software a prezzi esagerati. D’altro canto quei paesi sono accusati dall’opinione pubblica mondiale di reprimere i diritti civili dei loro cittadini, compresa la libertà di informazione. Ne nasce (dichiarato o non, esplicito o sottinteso negli accordi e nel compromessi) un patto evidente: tu non danneggi i miei interessi commerciali, io chiudo un occhio sulla tua repressione.

Le vittime sono i cittadini, nell’uno e nell’altro sistema. La connivenza è chiara. Su scala “globale” e all’interno di ciascun paese o sistema politico ed economico. Che sia l’informazione a controllare il potere, o viceversa, o che ci sia una delle tante possibili commistioni fra le due leve di controllo, c’è una palese convergenza di interessi; cui spesso si aggiungono quelli delle strutture amministrative, cioè di una burocrazia accanitamente impegnata a difendere i propri privilegi contro gli interessi della comunità.

Ci sono, naturalmente, differenze di metodo e di strategia, secondo il prevalere, nell’una o nell’altra situazione politica, di repressione culturale o di interessi economici. Per esempio è interessante che la Cina abbia deciso di adottare Linux, cioè soluzioni opensource; così portandosi all’avanguardia nelle tecnologie elettroniche – mentre continua a reprimere la libertà di opinione e di informazione.


Intrecci di controllo, spionaggio, repressione e censura

Nel 1979 Frank Zappa, in Joe’s Garage, descriveva con poetica efficacia l’opera sorniona e perversa dei poteri di controllo, incarnati nel diabolico ruolo del central scutinizer che tutto verifica e tutto vieta o impone; fino ad arrivare all’abolizione della musica, pericoloso strumento di libertà. La metafora ritorna alla mente nel momento in cui la repressione della “libera musica” coincide con tante forme di spionaggio e censura, con i tentativi di “centralizzare” un sistema intrinsecamente distribuito come l’internet, eccetera. Un legame tutt’altro che invisibile e sottile, anzi vistoso agli occhi di chi vuole vederlo, va da Echelon e i suoi molti analoghi ai vari tentativi di censura e filtraggio, di centralizzazione, controllo, eccetera... fino alla repressione basata su un concetto storicamente superato del “diritto d’autore”.

L’origine del problema è semplice. Gli strumenti tecnici di riproduzione sono nelle mani di tutti. Copiatrici, registratori audio e video sono da molti anni largamente diffusi. Quando una nuova tecnologia crea una nuova barriera, nascono gli strumenti per superarla. Se i “dischetti” sono troppo piccoli, nascono molteplici risorse più potenti di backup e di copiatura, compresi i “masterizzatori” di cd.

E poi c’è l’internet... se voglio dare a qualcuno una copia di qualcosa, non ho più bisogno di consegnare o spedire una fotocopia, una cassetta o un dischetto. Posso usare la rete. Il terrore di chi vive dei vecchi privilegi è ovvio. L’impossibilità di invertire il corso della storia è palese. Ma se si continuano a moltiplicare i freni e i controlli si può prolungare la durata dei privilegi, di denaro e di potere: è una guerra di retroguardia, ma la storia dimostra come poteri sostanzialmente defunti possano durare molto a lungo. Torna alla memoria Madame de Pompadour. Dopo di noi, il diluvio... ma intanto godiamoci il potere e la ricchezza. Con la differenza che i rivoluzionari di allora inventarono quelle leggi e quei costumi (come, guardacaso, il “diritto d’autore”) che sono diventati il privilegio dei monarchi di oggi.


Le logiche del passato non funzionano più

Ormai non è più possibile combattere il diritto di copiare. La centralizzazione delle tecnologie di riproduzione è morta. I “diritti“ che ne derivavano sono superati dai fatti. È impensabile che si possa perseguire ogni studente che fa una fotocopia di un libro, ogni persona che registra una canzone, ogni ragazzo che copia un gioco elettronico, ogni individuo che spedisce per e-mail un testo, un’immagine o una musica.

Trovare nuove vie e nuovi metodi che consentano il diritto di copiare e assicurino il giusto compenso agli autori (e agli organizzatori e mediatori culturali) può non essere semplice; ma l’inasprimento di norme superate è un passo nella direzione opposta a un’adeguata soluzione del problema.


Una legge perversa diventa ancora peggiore

La nuova legge italiana riafferma l’assurda punibilità penale della copiatura, con sanzioni paragonabili a quelle per omicidio; e moltiplica le già eccessive e farraginose storture burocratiche, compresi i privilegi di quel perverso carrozzone che è la Siae. Col solito risultato all’italiana di renderci tutti criminali, così che non ci sia alcuna differenza fra un cittadino che esercita il suo diritto di copiare e un assassino volontario o chi fa una strage guidando male un’automobile (guarda caso, chi copia una musica o un software viene chiamato “pirata”, come chi abbandona in mezzo alla strada la vittima di un incidente).


Occorre una nuova cultura,
una nuova definizione dei diritti e dei doveri

Presto o tardi dovrà diffondersi una nuova cultura. I modi e i metodi possono aver bisogno di qualche approfondimento, ma il diritto d’autore (e il giusto compenso per l’opera dell’ingegno) possono convivere con la libertà di comunicazione. Mi scuso se ricorro a un esempio personale... ma mi sembra ragionevole notare che “razzolo come predico”. Un mio libro, che uscirà quest’autunno, sarà interamente disponibile online. L’editore è convinto, insieme a me, che con questo sistema venderemo più copie, non meno. Perché leggere un intero libro su uno schermo è molto faticoso, e stamparlo tutto consuma più tempo e denaro che comprarlo in libreria (o online).

Molti osservatori notano che chi preleva musica online compra più cd di chi non lo fa. Il problema è solo uno: i cd “commerciali“ sono troppo cari. Basterebbe venderli a un prezzo ragionevole (contando sul fatto che probabilmente le maggiori vendite compenserebbero il minor guadagno su ciascuna copia) e il problema sarebbe risolto.

Il diritto di copiare e il diritto d’autore (compreso un “onesto guadagno” per editori, distributori discografici, eccetera) sono perfettamente conciliabili. Ma occorre cambiare sistema... e questo fa paura a molti “centri di potere”.


L’isterica aggressività di chi difende privilegi insostenibili

Solo un potere moribondo (e timoroso di ogni innovazione) può condurre così istericamente una battaglia di retroguardia. Alla fine del gioco il diritto di copiare dovrà, per forza, affermarsi. Ma intanto in tutto il mondo (in un modo o nell’altro) si continua a reprimere; e in Italia la notizia è chiara: siamo tutti criminali. E tutti potenzialmente vittima di quell’allucinante abuso che è il sequestro di computer, compiuto con pretesti di ogni specie di cui il più frequente (peggio ancora in seguito alla nuova legge) è il possesso di software “non registrato”. Un “crimine“ di cui può essere accusato chi compra un giochino elettronico al mercatino o ha dimenticato in qualche angolo del suo computer un pezzetto di software che ha caricato per provarlo, che non usa mai e che quindi, in buona fede, non ha registrato... o ha copiato una fotografia o un testo per mostrarlo a un amico.

È impossibile invertire l’orologio della storia. Presto o tardi dovrà essere riconosciuto il diritto di copiare – e si dovranno trovare soluzioni (pratiche prima ancora che giuridiche) per assicurare la giusta retribuzione dell’opera dell’ingegno nel nuovo contesto dei sistemi di riproduzione e comunicazione. Agire in senso contrario serve solo a prolungare l’agonia di concezioni ormai insostenibili, a favore di una retriva oligarchia che dai vecchi sistemi trae vantaggio e profitto. A danno di tutti gli altri – e di qualsiasi cosa che meriti il nome di cultura e libertà.





Alcuni documenti su questo tema

Il diritto di copiare
http://gandalf.it/garbugli/garb23.htm

Va di male in peggio la legislazione sul diritto d’autore
http://www.alcei.it/news/cs000725.html

Diritti d’autore e sequestri di computer
http://www.alcei.it/sequestri/9903_dirautore_sequestri.htm

Il nuovo diritto d’autore uccide l’open source
http://www.apogeonline.com/informaz/art_389.html

Contrordine: Napster non chiude
http://mytech.mondadori.com/mytech/detnews/default.asp?IdNews=12126&IdCat=129

Pericolo: sequestratori in agguato
http://gandalf.it/free/sequest.htm

Le vittime silenziose
http://gandalf.it/free/vittime.htm

Sequestri di computer: gli abusi continuano
http://gandalf.it/free/riseque.htm

Siamo tutti criminali?
http://gandalf.it/garbugli/garb13.htm

Balie, bavaglini e bavagli
http://gandalf.it/offline/off06.htm




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