Rosa dei venti

I Garbugli della Rete - 23
maggio 1998

Il diritto di copiare

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Una notizia interessante: Netscape renderà disponibili i “codici sorgenti” della prossima versione del suo browser. Questo è un dettaglio nella battaglia fra la Microsoft e alcune altre grandi imprese, che si sta combattendo senza risparmio di colpi e di cavilli e che, almeno finora, è lontana dall’affrontare il nodo vero del problema: cioè la necessità che tutti abbiamo, e che nessuno soddisfa, di sistemi aperti, compatibili ed efficienti.

Se resterà un episodio isolato, non sarà un evento molto significativo. Ma se fosse il sintomo di una tendenza, potrebbero succedere cose molto interessanti.

Il mondo del freeware (che è la struttura portante dell’internet) e quello del software “commerciale” sono culture remote e divise, che si guardano in cagnesco.

Voci intelligenti, come quelle di Keith Porterfeld ed Eric Raymond, dicono che questa contrapposizione è un errore, che l’apertura e la collaborazione gioverebbero a tutti (soprattutto a noi, che soffriamo ogni giorno le conseguenze di sistemi inutilmente complessi e assurdamente incompatibili).

Finora quelle voci sono rimaste inascoltate, dai due lati della barriera. Ma quando Netscape decide di rendere disponibili i sorgenti, a chi si rivolge per stabilire come si fa? A un distributore di freeware come Debian .

Possiamo sperare che si crei un ponte? Che i sistemi liberamente disponibili, come Linux, oggi riservati a un circolo iniziatico di persone tecnicamente esperte, assumano un volto amico anche per i “profani” e diventino un’alternativa realistica ai prodotti “proprietari” che oggi siamo costretti a usare?

(Se questo accadesse, fallirebbe la Microsoft? Non credo. Non sono morte la Standard Oil e l’AT&T; non morirà la Telecom Italia se un giorno il mercato della telefonia sarà aperto. Con tutti i soldi e le risorse tecniche che hanno, sono perfettamente in grado di competere in un libero mercato. Sarebbero solo costretti a fare prodotti migliori e a dare un migliore servizio).

Ma il discorso non finisce qui. Non si tratta solo dei “diritti” sul software. È venuto il momento di rivedere anche il concetto di “diritto d’autore”.

Richard Stallman è una persona molto antipatica. Non ho mai avuto un colloquio con lui, ma l’ho visto parlare in pubblico e maltrattare chi lo traduceva e chi gli faceva qualche domanda. Si considera un santo e un eroe, è estremamente arrogante, non sa ascoltare. Ma bisogna essere capaci di separare le persone dalle idee. Per quanto sgradevole sia il personaggio, condivido molte delle cose che dice e dei valori sostenuti dalla Free Software Foundation

Il diritto d’autore, dice Stallman, è nato da una tecnologia: la stampa. Finché gli strumenti di produzione (di un libro, un giornale, un disco, un film) erano nelle mani di pochi e si basavano su risorse molto costose, il sistema dei “diritti” come lo conosciamo oggi aveva motivo di esistere.

Ma non è più così. Ci sono le fotocopiatrici, le stampanti, i registratori audio e video, i dischetti e altri strumenti. Ognuno ha possibilità tecniche di riproduzione. C’è l’internet: ognuno può distribuire all’infinito un testo, un’idea... anche una musica o un’immagine e (“carico di banda” permettendo) un film.

Davvero pensiamo che un autore o un editore possano inseguire con torme di avvocati ogni studente che fa una fotocopia di un testo? Anche se qualcuno potesse mettere sotto controllo i siti web, chi potrebbe impedire la diffusione di testi per e-mail?

Questo significa che gli scrittori, i compositori, i musicisti eccetera devono morire di fame? Certamente no. Ma bisognerà trovare un modo nuovo per compensare l’opera dell’ingegno, o almeno rendere molto più flessibile in concetto di “diritto d’autore”. Per il software come per la letteratura.

Sto parlando (o almeno sembra) contro il mio interesse personale, perché se i lettori non comprano una rivista l’editore non mi può pagare un articolo, e se non si vendono le copie stampate di un libro non ricevo i diritti d’autore. Ma credo che con un po’ di buon senso si possa trovare un equilibrio, così che se qualcuno scrive (libri, musica o software) abbia il giusto compenso, ma la diffusione delle idee (e delle tecnologie) non sia frenata da criteri nati cinquecento anni fa, in una realtà tecnica, economica e culturale profondamente diversa da quella di oggi.

Come? Non lo posso certo riassumere in un breve articolo – e non so esattamente quali possano essere le soluzioni; c’è materia per far lavorare giuristi, tecnici, autori, editori e “istituzioni” culturali in mezzo mondo. Ma secondo me una cosa è certa: il diritto di diffondere, elaborare, usare idee e tecnologie è diventato inalienabile e nessuna repressione potrà cancellarlo. Occorre accettare il fatto e portarlo alla luce: adeguare diritti e doveri alla realtà in cui viviamo.


Per chi desidera approfondire l’argomento, c’è un allegato a questo articolo; alcune altre osservazioni sul tema sono nel numero 11 della rubrica Il mercante in rete.


 

   
   
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  aprile 1998
 



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