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Un’evoluzione complessa
fra cambiamenti e continuità

Un contributo di Giancarlo Livraghi al quinto rapporto del Censis – maggio 2006


La radio:
giovane a ottant’anni – ma dove sta andando?



Dopo le otto parti (vedi l’indice) dedicate alle analisi di dati e tendenze, nella prima delle sintesi conclusive abbiamo visto le difficoltà della televisione a cogliere le possibiltà di evoluzione e cambiamento. Il quadro è un po’ diverso quando si tratta della radio.

Chi venti o trent’anni fa (ma qualcuno anche più recentemente) immaginava un declino o un “superamento” della radio... sbagliava. Sappiamo che è un mezzo giovane. Perché piace ai giovani e perché è vivo e vitale, continua a crescere, non dà segni di decadenza. Sappiamo anche che è una palestra in cui molti, anche recentemente, hanno imparato prima di trasferire con successo le loro esperienze in televisione.

Ha molti usi diversi, fra cui quello di essere un mezzo di “compagnia”. Mentre si guida un’automobile... ma anche in molte altre circostanze, compreso il lavoro. (Si potrebbe aumentare la valutazione dell’ascolto se si comprendesse anche l’uso della televisione “come se fosse una radio”, cioè senza tenere gli occhi sullo schermo... per esempio durante i lavori “domestici”).

Ma forse un eccessivo predominio dell’area svago-compagnia rischia di diventare un limite. Nel 39° rapporto generale del Censis sulla situazione sociale del paese (novembre 2005) si rileva come “uno dei fenomeni più interessanti” e “almeno in parte inaspettato” l’aumento di ascolto della radio. Ma si nota che “gli effetti sono neutri” perché il successo della radio deriva dal suo “basso profilo” che le permette di “entrare nella nostra esistenza senza disturbarla”. In altri termini, la radio (per la maggior parte di ciò che oggi è disponibile e prevalentemente frequentato) è adatta soprattutto a essere ascoltata senza badarci e senza prestare attenzione.

Osserva il Censis: «Le preferenze del pubblico si concentrano sempre più intorno all’ascolto della musica, mentre tutti gli altri motivi che portano ad accostarsi al mezzo radiofonico risultano sempre meno importanti». Il risultato è che «la programmazione della maggior parte delle emittenti si presenta come una sequenza di successi musicali del momento intervallati da qualche amenità». Insomma la radio, nonostante la molteplicità di emittenti, tende a “generalizzarsi” e ad appiattirsi su un ruolo omogeneo di “compagnia” o “sottofondo”. Perfino trasmissioni interessanti, di notizie e commenti, si sentono spesso obbligate a interrompere il dialogo o l’approfondimento con “stacchi” musicali.

In questo ruolo, il tempo di ascolto può essere riempito da altre risorse. Per esempio dalle abbondanti “audioteche” musicali che ognuno può costruire a suo piacimento con i sempre più capienti (quanto fisicamente minuscoli) contenitori oggi disponibili. Più che di “concorrenza” alla radio, si tratta di ottenere lo stesso risultato con strumenti diversi. Con una importante differenza: mentre le radio tendono a trasmettere tutte la stessa musica (rinunciando perfino a differenziarsi per generi musicali) le raccolte personali possono essere organizzate secondo le preferenze di ciascuno.

Si tratta, insomma, di una tendenza alla “omogeneizzazione” che porta a un appiattimento. Naturalmente ci sono emittenti che seguono altre strade. Si tratterà di capire quanto riusciranno ad affermarsi come forze di “segmentazione” – con la capacità di avere un ascolto più attento e meno casuale.

Insomma la vitalità della radio è un fatto interessante, ma lo diventerà di più se saprà arricchire l’offerta di diversità e specializzazione contro la tendenza dominante di “omogeneizzazione” di tutto il sistema.




La prossima pagina è dedicata al cellulare, le seguenti alla stampa e all’internet. In conclusione alcuni commenti sul quadro complesso di abbondanza e scarsità e su come si evolve il cambiamento.



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