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Un’evoluzione complessa
fra cambiamenti e continuità

Un contributo di Giancarlo Livraghi al quinto rapporto del Censis – maggio 2006


La televisione:
le abitudini del bruco e la farfalla che non vola



Dopo le considerazioni generali e i confronti fra il 2001 e il 2005 abbiamo visto le analisi più estese dello sviluppo nel tempo, seguite dai confronti internazionali. Con questa pagina sulla televisione cominciano le osservazioni conclusive sui sistemi di informazione e di comunicazione.

La potenza dominante, così imperante che gli altri mezzi si mettono al suo servizio anche quando non sono obbligati a farlo, a più di cinquant’anni dovrebbe aver raggiunto una solida, ma fertile maturità. Dà invece segni di una prematura sclerosi mentale, di un’appiattita ripetitività, di un’ostinata e abitudinaria chiusura in un circuito “autoreferenziale” che coinvolge anche altri “grandi mezzi”, ma trova nella televisione il suo maggiore nutrimento e il suo più chiuso limite. (Vedi Il problema dell’idolatria e Il circolo vizioso della stupidità).

È imbarazzante che lo sviluppo delle tecnologie, dal cavo al satellite, dalla “piattaforma digitale” alla possibilità di centinaia o migliaia di canali diversi, offra una tale varietà di diversità o specializzazione che nessuno sa come usarla per aprire nuovi orizzonti. Il problema, come in ogni nuovo sviluppo, è trovare il punto d’incontro fra ciò che qualcuno può offrire (contenuti e servizi) e ciò che qualcun altro vuole ricevere. Ma quel “circolo virtuoso” stenta a nascere (e ci sono molte resistenze al cambiamento). Così sopravvive, come un automa stancamente ripetitivo, quella televisione “generalista” che è palesemente superata, ma nessuno ancora è riuscito a sostituire.

Il “circolo vizioso” è tenuto in vita dalle vecchie abitudini. Di chi gestisce reti e produce programmi e non sa dove trovare idee che rompano la crisalide e prendano il volo. Di chi guada la televisione ed è abituato ad aspettarsi una perenne ripetizione dello stesso modello e dello stesso metodo.

Da almeno vent’anni abbiamo fondati motivi di aspettarci un cambiamento, che in altri paesi (in parte) c’è stato, ma da noi no. La televisione “generalista” rimane arroccata nella sua vecchia struttura e nei suoi vecchi manierismi. La televisione satellitare, imprigionata in Italia da un singolo monopolio, ripete in gran parte lo stesso modello. Le prime esperienze con il “digitale terrestre” sembrano altrettanto ripetitive.

La soluzione non sta nelle tecnologie. Un sistema più aperto e meno omogeneo sarebbe stato realizzabile anche trent’anni fa. Da molto tempo esistono risorse tecniche che potrebbero dare spazio alla diversità e al cambiamento. Il problema è strutturale e culturale. Chi ha la capacità, la volontà e le risorse per uscire dal solco e aprirsi alla varietà del possibile?

Tutto questo può continuare a lungo, oppure cambiare in modo imprevisto e imprevedibile. Le prospettive attuali tendono alla monotonia e alla ripetizione. Ma la storia, antica e moderna, delle risorse culturali e informative ci dimostra che i percorsi sono discontinui, con lunghe fasi statiche e ripetitive, interrotte da turbolenze e mutamenti. I cambiamenti, probabilmente, verranno. Ma è difficile prevedere quali, come e quando. Fra tre anni o fra trenta? Per qualcosa che si evolverà in Italia o che nascerà altrove? Nessuno, per quanto sono riuscito a capire, ha ancora colto i veri segnali di un futuro che verrà.




La prossima pagina è dedicata alla radio, le seguenti al cellulare, alla stampa e all’internet. Alla fine alcuni commenti sul quadro complesso di abbondanza e scarsità e su come si evolve il cambiamento.



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