labirinto
Il filo di Arianna


Punto Informatico
febbraio 2005

Giancarlo Livraghi     gian@gandalf.it



Tecnofobia e tecnofilia
due malanni da curare


Non è vero che (come si usa pensare) le tecnologie dell’informazione e della comunicazione siano nate nel secolo scorso. C’erano risorse tecniche notevolmente evolute migliaia di anni fa. Ma qualcosa è cambiato – e stiamo faticando a capire e gestire le conseguenze.

In un articolo dell’agosto 2004 (Il computer di Archimede) avevo applicato alle tecnologie quel semplice, ma non stupido, gioco che definisce un periodo storico come se fosse una giornata. Se partiamo dall’inizio dell’era paleolitica (cioè delle prime risorse tecniche) la nascita della scrittura avviene alle otto di sera. La diffusione dei libri stampati comincia alle 23,30 – i giornali poco più tardi. Il telegrafo nasce 6 minuti prima della mezzanotte. Il telefono e il cinema intorno ai 4 minuti, la radio 3, la televisione 2. L’elaboratore elettronico due minuti fa, l’internet uno (20 secondi da quando la rete è diventata diffusamente accessibile).

Vedi Cenni di storia dei sistemi di comunicazione e di informazione e, per la fase più recente, la cronologia in appendice a L’umanità dell’ineternet).

Il problema non è l’accelerazione. L’evoluzione è sempre stata, ed è ancora, incoerente e discontinua – con fasi più veloci o più lente, di sviluppo o di arretramento. Ma il fatto è che un secolo è un tempo brevissimo nella storia dell’umanità. Non abbiamo ancora capito come adattarci a una nuova realtà (la possibilità di comunicazione “istantanea” in tutto il pianeta). L’evoluzione culturale da cui dipende il valore di quelle risorse è ancora all’inizio.

Uno degli errori della nostra epoca (che sembra ripetere le ingenuità ottocentesche sulle “magnifiche sorti e progressive”) è immaginare che tutto ciò che è nuovo sia buono e tutto ciò che è vecchio sia da buttare (vedi Le ambiguità dell’innovazione). È altrettanto sbagliato, naturalmente, avere paura dell’innovazione. Ma questi atteggiamenti sono più simili che contrapposti. Sono due facce della stessa medaglia.

Da che mondo è mondo, chi ha migliori conoscenze tecniche o scientifiche tende a farsene un vanto – e a trarne un vantaggio. Chi ha meno competenze, o non capisce di che cosa si tratta, vive nella diffidenza e nella paura. Teme di essere sopraffatto da forze che non conosce e che non controlla.

Con l’abbondanza di informazione disponibile il disagio dovrebbe essere superato. Ma non lo è. Perché avere gli strumenti non basta. Bisogna saperli usare. E questo non è un problema tecnico. È soprattutto un fatto culturale.

Per quanto riguarda i tempi di evoluzione, occorre capire che non sono determinati dalle tecnologie, ma dal modo in cui sono usate. Il progresso scientifico è affascinante. Ma per capire quanto siamo arretrati e confusi nelle applicazioni tecniche basta ricordare che stiamo bruciando combustibili fossili. O che nove decimi dell’umanità sono ancora esclusi dai nuovi sistemi di comunicazione – nonché privi della libertà di esprimersi e di informarsi. E anche dove le risorse sono diffuse gran parte dell’informazione è mostruosamente concentrata, omogeneizzata, deformata, rinchiusa in un circuito “autoreferenziale” di esasperante superficialità e monotonia.

Non si tratta di cercare una “via di mezzo” fra tecnofobia e tecnofilia, perché servirebbe solo ad attorcigliare i molteplici errori che si trovano ai due estremi. Occorre una prospettiva radicalmente diversa. Una forte curiosità “interdisciplinare”, che guardi oltre i ristretti confini delle specializzazioni e delle parrocchie culturali. Un’attenzione centrale e dominante per le esigenze umane. Una capacità di ascoltare, di capire, di valorizzare le diversità – che è la risorsa fondamentale per ogni reale progresso. Fin dall’età della pietra l’evoluzione della nostra specie è strettamente legata allo sviluppo delle tecnologie. Ma le tecniche prive di attenzione ai valori umani non sono soltanto inutili: spesso sono dannose.




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