labirinto
Il filo di Arianna


maggio 2009

Giancarlo Livraghi

Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)
 

Un articolo nella rivista l’attimo fuggente


Il fascino della semplicità
(e i tradimenti del semplicismo)

Come ogni grande, appassionato amore,
anche quello per la semplicità non è facile.
Richiede cura, attenzione, dedizione.
Con gioia quando nasce l’armonia,
smarrimento quando si infrange.


C’è mai stato, in qualche antico rito, un tempio dedicato al culto della semplicità? Non sono mai riuscito a trovarne alcuna notizia. Se ci fosse, sarei curioso di capire la cultura da cui è generato, di conoscerne le forme e i rituali, per imparare se (e come) possono aiutare a far crescere in noi il gusto, il piacere, la voglia di coltivare quell’arte sottile e illuminante.

Non è necessario che sia un culto. Ma mi piacerebbe che ci fossero in tutte le piazze del mondo (e in tutte le scuole, università e accademie) monumenti dedicati alla semplicità. E che i migliori scultori del mondo facessero a gara per rappresentarla nel suo affascinante splendore.

Michelangelo diceva che è facile fare una statua. Basta vederla dentro un blocco di marmo e togliere quello che avanza. C’è qualcosa di straordinario nell’arte del più modesto scalpellino. Sovrumano nell’opera di un grande scultore. Eppure ognuno di noi, con un guizzo di felice intuito, può fare lo stesso miracolo: cogliere la semplicità che si nasconde dentro un’apparente complicazione.

Un errore diffuso è pensare che la stupidità sia semplice, l’intelligenza complicata. Che semplificare sia facile, complicare difficile. Molto spesso è vero il contrario (vedi L’arte difficile della semplicità).

Lo constatava Ovidio duemila anni fa. «La semplicità, cosa rarissima ai nostri tempi». Chissà che cosa direbbe oggi.

Si trova in giro, citata qua e là, una frase attribuita a Leonardo da Vinci. «La semplicità è l’estrema perfezione». Non trovo riscontri che ne confermino l’autenticità. Ma sono convinto che Leonardo, se fosse qui a parlarne con noi, si riconoscerebbe in quel concetto (e si dispiacerebbe di aver talvolta ceduto alla tentazione di complicare, come nella tecnica di affresco del Cenacolo).

Ebbene si, anche i geni sbagliano (e sbagliando imparano). Ma se sono davvero geniali sanno quanto sia importante (e impegnativa) la conquista della semplicità – e non si arrendono alle insidie della complicazione.


Semplicità e armonia – scrittori, artisti, filosofi

La semplicità è armonia. Lo sanno i più grandi artisti, i più bravi scrittori, i migliori filosofi. Anche nella scienza i più grandi progressi sono spesso soluzioni semplici di problemi che sembravano inestricabilmente complicati (su questo tema ritorneremo più avanti).

La semplicità è eleganza. Non solo nell’abbigliamento, nell’arredamento, nello stile. Anche nel pensiero e in ogni genere di attività. Non è un caso che una soluzione particolarmente efficace (e perciò brillantemente semplice) sia spesso definita “elegante” in diversi mestieri e discipline.

«Nulla è vero, se non ciò che è semplice» (Johann Goethe). «La semplicità è la forma della vera grandezza» (Francesco De Sanctis). «Non c’è grandezza dove non c’è semplicità» (Lev Tolstoy). «In carattere, maniera, stile, in tutte le cose, la suprema eccellenza è la semplicità» (Henry Wadsworth Longfellow). Molti altri l’hanno detto. Soprattutto, i migliori l’hanno fatto. È affascinante, illuminante, disarmante, la semplicità con cui si sa esprimere un grande scrittore o un autentico poeta.

Semplice vuol dire sciocco? È un modo diffuso di esprimersi o di pensare. Ma è profondamente sbagliato. Le sottilissime astutie di Bertoldo (come le chiamava Giulio Cesare Croce) sono davvero così diverse dalle piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino? Nella malinconica ironia di Miguel Cervantes, c’è più saggezza e nobiltà in Don Chisciotte o in Sancho Panza? Nel racconto di Italo Calvino, è più consapevole Agilulfo, il “tutto pensiero” cavaliere inesistente, o il “tutto fisico” Gurdulù? Nell’Idiota di Dostoievski c’è più sensibilità e umanità nel principe Myskin che in tutti gli arroganti presuntuosi che lo circondano.

Tutti noi, nelle esperienze della nostra vita, incontriamo persone “semplici” che sono molto più intelligenti di tanti cosiddetti “intellettuali”.

Lo dice un filosofo (non particolarmente noto per la facilità del suo pensiero). «Gli aspetti delle cose che sono più importanti per noi sono nascosti a causa della loro semplicità e familiarità» – Ludwig Wittgenstein.

Vogliamo il parere di un architetto? Eccolo. «Semplicità e armonia sono le qualità che misurano l’autentico valore di ogni opera d’arte» – Frank Lloyd Wright.

Le opinioni di due musicisti molto diversi. «La semplicità è la conquista finale. Dopo che si è suonata una vasta quantità di note, e poi ancora tante note, è la semplicità che emerge come il premio incoronante dell’arte» – Frederic Chopin. «Rendere il semplice complicato è luogo comune, rendere il complicato semplice, stupendamente semplice, quella è creatività» – Charles Mingus.

Grazie, Charlie. Così mi dai la nota giusta – lo spunto per un argomento che non può mancare in questi ragionamenti. Di che cosa stiamo parlando quando diciamo “creatività” o “creativo”?


Che cosa vuol dire “creatività”?

Questa è una delle parole più stupidamente usate – e abusate – nel linguaggio di oggi. Stranamente ci sono mestieri che si definiscono “creativi”. Quando cerco di spiegare perché questa usanza è assurda e ridicola, spesso faccio un semplice esempio. Se chiedessimo a Mozart, a Raffaello o a Einstein “che mestiere fai?” ci sentiremmo rispondere musicista, pittore o fisico (con una certa tendenza di Einstein a dire “non saprei, diciamo essere umano”). Si metterebbero a ridere se qualcuno li chiamasse “creativi”.

Una mia amica (Elda Lanza, brillante scrittrice e giornalista) ha conosciuto Coco Chanel. Un giorno le ho fatto una domanda. Che cosa avrebbe detto Coco a qualcuno che le avesse chiesto qual era il suo mestiere? La risposta è stata quella che mi aspettavo. Si chiamava orgogliosamente “sarta” – certo non “stilista”.

C’è gente che va in giro con l’etichetta “creativo” e non ha mai creato qualcosa di interessante – se non forse un’ideuzza trent’anni fa che si è fatta notare per un paio di giorni perché dava fastidio a qualche benpensante (e che si continua a citare nelle agiografie come se fosse chissà quale rivoluzionaria meraviglia). Mentre c’è chi ha davvero trovato sintesi significative e non sopporta l’idea di lasciarsi classificare con quella goffa definizione.

Una categoria immune da questo malanno sembra essere quella degli scrittori. Nessuno, che io sappia, è mai stato definito “creativo” (anche se qualcuno ha avuto il cattivo gusto di lasciarsi chiamare “vate”). Forse dipende dal fatto che conoscono un po’ meglio l’uso della lingua. (Non è colpa di Dante se qualcun altro ha appiccicato alla sua commedia l’aggettivo “divina”).

La creatività esiste, ma è tutt’altra cosa. Una sintesi che semplifica la complessità. Ci sono, nei secoli e nei millenni, persone che sono meritatamente passate alla storia per aver avuto, in tutta la loro vita, una sola intuizione di quel genere.


Quando la scienza si complica, è in una fase confusa

Molte cose nel mondo di oggi ci fanno venire il dubbio che Giacomo Leopardi avesse ragione quando era scettico sulle magnifiche sorti e progressive (vedi Le ambigluità dell’innovazione).

Ma c’è un campo in cui il progresso è reale – e sconcertante. La ricerca scientifica. I confini della conoscenza si stanno allargando al di là della nostra capacità di capire. Ciò che cinquanta o cento anni fa sembrava una scoperta sconvolgente, oggi è superato in nuovi orizzonti sempre più interessanti, ma sempre più difficili.

A parte la mia scarsa competenza in materie molto specialistiche, come la cosmologia, la fisica quantistica e la genetica, un approfondimento di questi temi andrebbe molto oltre lo spazio e la sostanza di questo articolo. Ma un fatto è chiaro. Siamo in una fase in cui si moltiplica la complicazione. Ogni sostanziale passo avanti deve andare, presto o tardi, nella direzione della semplicità, ma è difficile capire come si possa arrivare alla sintesi – che, se e quando ci sarà, sarà davvero il superamento di una soglia fondamentale.

Così diceva Albert Einstein. «Se non lo sai spiegare semplicemente, non l’hai capito abbastanza bene». Quante sono le cose, non solo sulle estreme frontiere della fisica, che qualcuno non ci sa spiegare semplicemente, perché non le ha capite abbastanza bene? Quante le “presunzioni” di sapere che qualcuno ci somministra perché non si rende conto di quanto non ha capito o perché sta cadendo nell’errore del semplicismo?

Niels Bohr, nel 1927. «Chi non è confuso dalla teoria dei quanti non la capisce». Più icasticamente Richard Feynman, nel 1967. «Nessuno capisce la teoria dei quanti». Non sembra che oggi, dopo altri quarant’anni di studi, le difficoltà siano diminuite.

Spero che gli scienziati mi perdonino un’impertinente osservazione da incompetente catecumeno. Ho l’impressione che il crescente numero di “particelle” variamente conosciute o ipotizzate – come le proliferazioni terminologiche in altre scienze – sia un’accozzaglia di nomi di cose presunte di cui non è identificabile l’esistenza (o non si riesce a capire che cosa siano). Probabilmente questo tormentato passaggio è necessario, ma è faticosamente dispersivo. In attesa che un nuovo Archimede, o Newton, o Darwin, o Mendeleyev, o Einstein, sciolga i nodi delle complicazioni e ci dia un nuovo strumento di sintesi cognitiva.

Il vantaggio intrinseco della scienza è che ha il dovere di non sapere – di dubitare perennemente, essere sempre aperta alla possibilità di rimettere in discussione ciò che sembrava “certezza”. Ma proprio per questo ogni tentativo di divulgazione è pericoloso quando è assolutistico o banalizzante.

L’affascinante “teoria delle stringhe” potrebbe essere uno strumento essenziale per capire “la natura delle cose”, come la chiamava Lucrezio. Ma ciò non vuol dire che (con l’aiuto di un buffo errore di traduzione) qualcuno possa venire a spiegarci che l’universo è una scarpa.

Vedi la voce string (che non vuol dire “stringa”) in Ambiguità di alcune parole inglesi.


La perversità della complicazione

Quando l’intelligenza si propone in modo intricato, o difficilmente comprensibile, vuol dire che è immatura. Per raggiungere la sua piena efficacia e chiarezza dovrà evolversi verso la semplicità.

Complicare è facile, semplificare è difficile. Non solo nelle forme più elevate della filosofia, della scienza, della cultura, ma anche nella pratica del lavoro, o nelle piccole esperienze di ogni giorno, le soluzioni più efficaci sono quasi sempre le più semplici.

La semplicità, purtroppo, è vulnerabile. Ci sono forze spaventose che si accaniscono in mille modi per rendere le cose inutilmente e assurdamente complicate. Ero ancora adolescente quando cominciavo a preoccuparmi per le molteplici insidie di un tenebroso e perverso organismo chiamato UCCS – Ufficio Complicazione Cose Semplici. Sono passati tanti anni, i mille tentacoli del mostro ci avvolgono in modo sempre più minaccioso.

Quella piaga contagiosa non nasce solo negli apparati burocratici che intenzionalmente complicano ogni genere di procedure per affermare il loro potere e asservirci alle loro fisime. Ma anche in infinite situazioni dove nessuno lo fa di proposito, ma ugualmente i nodi diventano gordiani – e purtroppo non sempre è possibile brandire la spada di Alessandro (anche perché, un po’ troppo spesso, siamo noi a cadere inavvertitamente nella trappola della complicazione – e tagliarci le mani, o spaccarci il cervello, sarebbe una terapia troppo drastica).


Svegliare la bella addormentata

Una sigla che non ho inventato io, ma si insegnava (con scarso successo pratico) nelle scuole di gestione, è KISS. Che ovviamente vuol dire “bacio”, ma sta anche per Keep It Simple, Stupid (pressappoco si può tradurre “non fare lo stupido, cerca di semplificare”). Già parecchi anni fa, ancora prima che si arrivasse a certe complicazioni oggi imperversanti, tenevo appeso nel mio ufficio un cartello che diceva KISS.

Quando qualcuno (succedeva spesso) arrivava con qualche problema esageratamente complicato, il mio primo gesto era indicare (se possibile, con un sorriso) la “parolina magica”. Ma più spesso il promemoria serviva per ricordare a me che le soluzioni semplici ci sono quasi sempre, il problema è che non riusciamo a vederle (compreso il fatto che talvolta un problema è davvero insolubile – e allora è meglio prenderne chiaramente coscienza anziché disperdersi nella ricerca di soluzioni impossibili o impraticabili).

L’esperienza illuminante, spesso affascinante, della sintesi creativa – o di un’intuizione che ci aiuta a risolvere un problema – ci porta quasi sempre a constatare che la soluzione “col senno di poi” appare ovvia, ma il nostro modo di ragionare e percepire si era complicato in modo da impedirci di vederla.

Da che mondo è mondo, uno dei problemi che ci rovinano la vita è l’assillante accumulo di complicazioni inutili. In un periodo di transizione complessa, come quello in cui stiamo vivendo, questo fenomeno assume una particolare intensità.

Molte cose sono diventate più semplici, rispetto a un non lontano passato, per la diffusione di conoscenze e risorse che prima non c’erano o erano disponibili solo a pochi privilegiati. Ma ci stiamo anche complicando la vita in infiniti modi, che in parte dipendono dalla farraginosa inefficienza delle comunicazioni, in parte dal nostro comportamento e da quello di altre persone – e in parte da una sbagliata concezione e da un cattivo uso delle tecnologie (più si complicano, peggio funzionano).

Un mondo in cui l’assurdità della complicazione ha raggiunto livelli astronomici (ma continua a crescere con una caparbietà da fare invidia a un buco nero) è quello delle tecnologie cosiddette “avanzate”. Nella sua divertente Hitch-Hiker’s Guide to the Galaxy, Douglas Adams spiega con questo assioma il comportamento della Sirius Cybernetics Corporation, gigantesca impresa elettronica interspaziale. «La principale differenza fra una cosa che può andare male e una cosa che non può mai andare male è che, quando una cosa che non può mai andare male va male, di solito si scopre che è impossibile raggiungerla o aggiustarla». (Vedi La stupidità delle tecnologie).

Queste stupide complicazioni sono una cosa molto diversa dal serio e profondo problema della complessità, così come è studiato dalla “teoria del caos”. Su questo argomento ci sono alcune “impertinenti” annotazioni (forse fin troppo semplificate) in una breve appendice a Il potere della stupidità.


I complici della complicazione

Non sempre la complicazione nasce dalla perversa volontà di rendere le cose difficili. Più spesso è il frutto involontario di umana incomprensione e stupidità. Ma non è raro che il potere, in tutte le sue forme, grandi o piccole, palesi o nascoste, se ne serva per confondere le cose, renderle incomprensibili, nascondere la semplice realtà dei fatti dietro una cortina di inestricabili complessità. (Vedi La stupidità del potere).

Non solo la burocrazia, ma anche altre oligarchie, consorterie o corporazioni usano spesso un gergo complicato, incomprensibile per i “non addetti”, che serve ad affermare il loro predominio e tenere in soggezione il resto dell’umanità.

Anche il mondo accademico o “intellettuale” ricorre spesso allo stesso trucco. Si esprime in modo incomprensibile per nascondere il fatto che non sa di che cosa stia parlando. E anche per suscitare fra i catecumeni un riverente timore – la percezione di essere stupidi perché non riescono a capire. Un’osservazione di Marcel Proust su qualcuno che si comportava in quel modo. «Come molti intellettuali, era incapace di dire semplicemente una cosa semplice». E una tagliente ironia di Jacques Prévert. «Non bisogna lasciare che gli intellettuali giochino con i fiammiferi».

C’è una differenza sostanziale fra intelligenza e intellettualismo. Sarebbe superficiale e semplicistico dire che l’uno è il contrario dell’altra. Ma è un fatto che non sono la stessa cosa – e che l’intelligenza è tanto più utile e consapevole quanto più si sa esprimere in modo semplice e chiaro.


La semplicità è di moda? Non è confortante

Pare che in questo periodo (anche per l’ovvio ingombro di perniciose complicazioni) la semplicità sia di moda. Ma questo non ci avvicina alla soluzione del problema. Anzi, lo può peggiorare.

La “semplicità di moda” si riduce quasi sempre a patetica finzione o a superficiale banalità. Al semplicismo di vuote promesse o di squallidi luoghi comuni. A modi di dire che non semplificano, non risolvono, non spiegano, ma ripetono all’infinito gli stessi insulsi manierismi.

Quando la semplicità è ridotta e umiliata a un tale squallore, può accadere di doversi affezionare, almeno provvisoriamente, alla complessità. Come passo necessario per uscire dal pantano, andare oltre – nella speranza di poter trovare, all’altro capo del labirinto, il tesoro nascosto della vera semplicità.


Le trappole del semplicismo

Il “rovescio della medaglia” sta nella falsa semplicità. Nella stupida arroganza di chi ha la pretesa di spiegare ciò che non ha capito. Nell’invadenza dei tuttologi presuntuosi, degli opinionisti senza arte né parte, dei pressapochisti enciclopedici, dei pettegoli frettolosi che si sentono in dovere di avere un’opinione prima ancora di aver capito di che cosa si sta parlando.

Per esempio, nel campo della burocrazia, si moltiplicano le promesse di semplificazione. Credo che qualcuno, talvolta, abbia tentato davvero. Ma il compito è arduo – le resistenze dei sistemi (non solo quelli pubblici) sono profondamente radicate e ostinatamente stupide. (Vedi La stupidità della burocrazia).

In Italia (dove siamo afflitti da una delle peggiori burocrazie del mondo e da un’allucinante moltiplicazione di norme e regole mal concepite e peggio applicate) c’è perfino un “ministero della semplificazione”. Che cosa sia e a che cosa serva (oltre a creare inutili sovrastrutture) non è facile capire. La realtà dei fatti è che le complicazioni continuano ad aumentare – e dove (caso raro) c’era davvero una piccola semplificazione è stata poi divorata da qualche successivo inghippo.

Quanto a sistemi di informazione e di educazione... la divulgazione, quando è ben fatta, è una risorsa preziosa. Ma è un compito delicato e difficile. Dobbiamo essere molto grati ai bravi divulgatori, quando riescono a proporci in modo semplice e chiaro il frutto di anni di studio e approfondimento. Ma troppo spesso con la scusa di divulgare o semplificare ci si somministra di tutto fuorché utile informazione e cultura.

Lo diceva un giornalista, Erwin Knoll. «Tutto ciò che leggiamo nei giornali è assolutamente vero, fuorché nel raro caso in cui si tratta di un argomento di cui abbiamo conoscenza diretta». Non è raro che ci sia lo stesso problema in congressi, convegni, dibattiti, lezioni universitarie, libri di testo o altre opere con (apparenti) intenzioni divulgative.

Alla radio accade spesso che l’ossessione del tempo (la presunta necessità di dire tutto in un minuto) porti a frettolose semplificazioni che confondono invece di spiegare. In televisione siamo fortunati quando un bravo cronista sa riassumere efficacemente una notizia – o un buon conduttore sa equilibrare bene un dibattito. Ma troppo spesso vediamo incompetenti presuntuosi che interrompono chi sa di che cosa sta parlando con la pretesa di “spiegare meglio” qualcosa che non hanno capito.

Da quarant’anni (da venti in modo diffuso) abbiamo una risorsa che non c’era mai stata in tutta la storia dell’umanità. Quella che con una semplificazione eccessiva (ma, in questo caso, accettabile) siamo abituati a chiamare “internet”. Uno strumento molto utile, se lo sappiamo usare. Ma con tutto lo stupido fracasso sulle velocità di connessione, che non sono la risorsa più importante, si è diffusa, anche in questo caso, una tragicomica cultura del semplicismo.

Possiamo, è vero, con gli strumenti che ci offre l’internet, fare in pochi giorni, o in poche ore, ricerche che prima richiedevano settimane o mesi in biblioteca. Ma questo non è un buon motivo per cadere nella superficialità. In rete si trova di tutto e il contrario di tutto. Quando è capita bene, questa è una risorsa. Ma se cadiamo nella trappola del semplicismo le stupidaggini e le deformazioni si moltiplicano – e non diventano meno stupide o devianti solo perché le troviamo (o si diffondono) più in fretta. (Vedi La stupidità e la fretta).

I tempi cambiano, gli strumenti si evolvono, ma la sostanza è sempre la stessa. Il gustoso frutto della semplicità può talvolta spuntare inaspettatamente da una fortunata coincidenza. Ma più spesso nasce da lunga, attenta e paziente coltivazione.


Innamorarsi della semplicità

L’intelligenza è luce o lucidità – non oscurità. Il peggiore degli stupidi non è chi non capisce, ma chi non si sa spiegare. Il punto delicato, quanto fondamentale, sta nel non confondere la semplicità con il semplicismo. Una spiegazione apparentemente semplice può essere solo un’insulsa banalità, un infondato luogo comune, un preconcetto diffuso quanto sbagliato – o una semplificazione solo apparente che ci viene somministrata per disorientarci, per toglierci il desiderio di capire o di approfondire.

In altre parole, la complicazione è quasi sempre stupida, ma non sempre ciò che sembra semplice è intelligente.

L’arte della semplicità è difficile e sottile quanto l’esercizio dell’intelligenza. L’una e l’altro richiedono impegno, pazienza, approfondimento, un’insaziabile curiosità – e una perenne coltivazione del dubbio. Per quanto chiara, nitida ed efficace possa essere una soluzione, dobbiamo continuare a chiederci se e come ce ne possa essere un’altra ancora più funzionale, più lucida e più semplice.

Sembra faticoso – e spesso è impegnativo. Ma se sappiamo come apprezzarne il gusto può essere molto divertente. Trovare soluzioni o spiegazioni autenticamente semplici è rasserenante, stimolante, piacevole, allegro, spesso entusiasmante.

La semplicità non è solo una conquista intellettuale, è anche un’emozione. Scoprire la chiave semplice di un problema apparentemente complesso ha un intenso valore estetico. È una gioia in sé, prima ancora delle sue piacevoli conseguenze. Ci dà una chiara, inconfondibile percezione di bellezza e di armonia.

Innamorarsi della semplicità è un’esperienza affascinante. Ed è uno dei modi più efficaci per coltivare l’intelligenza, migliorare la nostra vita e quella degli altri.





indice
indice delle rubriche


Homepage Gandalf
home