labirinto
Il filo di Arianna


aprile 2002

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L’arte perversa
del piagnisteo

Stiamo annegando nei piagnistei. Chiagni e fotti, dice un antico proverbio napoletano. Sembra che questa subdola arte sia praticata oggi con inusitata frequenza e sfacciataggine. Fra lacrime di coccodrillo, prevaricatori travestiti da vittime e giustificazioni falsamente pietose per ogni sorta di fiaschi o di imbrogli – rischiamo di sprofondare in una palude attaccaticcia e melmosa.

Fra i più appassionati cultori del piagnisteo ci sono i rompiscatole dello spamming. Dicono che non è colpa loro, che siamo stati noi a chiedere quelle cose (anche se non ci siamo mai sognati di farlo), che smetteranno subito se ci cancelleremo (cosa che in pratica risulta difficile, se non impossibile). Spesso si travestono da sostenitori di qualche immaginaria “causa” benefica. Ce ne sono alcuni “quasi in buona fede”, nel senso che qualche truffaldino venditore di indirizzi sta rifilando in giro liste fasulle promettendo bugiardamente che quelle persone hanno intenzionalmente deciso di ricevere cose di quel genere. Purtroppo le difese sono scarse – anche se con un po’ di addestramento non è difficile riconoscere la spazzatura e buttarla via senza leggerla. In casi estremi un rimedio c’è... cambiare mailbox ogni due o tre mesi e così rendersi difficilmente reperibili.

Ci sono gli ideatori di progetti sballati che, dopo aver speso o fatto spendere un mucchio di soldi per nulla, si giustificano con una immaginaria “crisi”. Compresi grandi monopolisti pubblici come la Deutsche Telekom, che dopo essersi prestata all’enorme bufala dell’Umts ora dichiara di perdere soldi perché aveva pagato troppo la licenza per una tecnologia che sembrava la pietra filosofale – mentre nessuno sa se, come o quando potrà trovare un’applicazione. E “stendiamo un pietoso velo” sui maneggi e pasticci nell’imitazione italiana di quella vicenda.

Ci sono i venditori di “banda larga”, afflitti da sovrabbondanza di una merce utile solo a pochi, che cercano di rifilarla a tutti a un prezzo esagerato (vedi Quei grandi tubi pieni di nulla). Visto l’insuccesso, chiedono sovvenzioni pubbliche – e c’è il rischio che le ottengano.

C’è, per l’ennesima volta, la Fieg, la potente lobby degli editori di giornali, che due anni fa ha avuto profitti straordinari e “passata la festa” deve accontentarsi di guadagnare un po’ meno. Ma piange miseria e chiede sussidi, come ha sempre fatto. E dopo mezzo secolo di guerra furibonda contro la televisione questa volta si trova alleata con le grandi emittenti, che ovviamente godono della benevolenza del potere.

C’è chi fa morire buone iniziative, o le soffoca prima che nascano, invocando “tempi difficili” (perfino trincerandosi dietro cose su cui si deve piangere davvero, come la tragedia dell’11 settembre e il problema del terrorismo – che ovviamente nulla hanno a che fare con questi miopi e pretestuosi comportamenti). Mentre si continua a spendere molto di più in cose molto meno utili.

Vedi a questo proposito
Sciacalli, sciocchi e sciagurati.

C’è chi ha fatto perdere ai risparmiatori un mucchio di soldi in borsa (con o senza il mito della new economy) e oggi approfitta di fatti clamorosi come l’imbroglio Enron (tutt’altro che un caso isolato) per fingersi innocente e travestirsi da vittima.

C’è chi non ha mai capito che cosa sia l’internet (né come si possa offrire qualche servizio realmente utile e trarne onestamente un meritato guadagno) e manifesta il suo cronico e malcelato odio contro la rete proclamando che “non può essere gratis” e cercando di inventare qualche trucco per impadronirsi di un varco e imporre un pedaggio, come i “baroni ladroni” del medioevo.

Tutta questa piagnoneria sarebbe solo stupida se non fosse perversa. Sarebbe solo comica se non fosse pericolosa. Il problema non è solo che i profeti di sventura portano disgrazia. C’è anche il fatto che se tutti cercano di arraffare un pezzo di torta, e nessuno sta in cucina, alla fine resta solo qualche avanzo ammuffito. Sarebbe meglio se i piagnoni si levassero di torno e qualcuno si mettesse a lavorare.


Giancarlo Livraghi     gian@gandalf.it




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