Il potere della stupidità
Kali
Capitolo 8


Il grafico stupidologico


Con il metodo di valutare la stupidità, l’intelligenza e altri comportamenti in base ai loro effetti pratici, ovviamente i dati (o le ipotesi) risultanti si possono inquadrare con una semplice, quanto efficace, sintesi grafica basata sulle classiche “coordinate cartesiane”.


grafico

Non so perché la regola sia numerare i “quadranti” da I a IV in senso “antiorario”.
Ma se così vuole la matematica, così sia.


Se sulle ascisse (cioè sull’asse X) collochiamo il vantaggio (o svantaggio) che qualcuno ottiene con le proprie azioni, e sulle ordinate (asse Y) il beneficio (o danno) ad altri, ognuno di noi può definire, in base alle conseguenze pratiche di un comportamento, dove si colloca una persona o un gruppo di persone – in generale o in una particolare circostanza. È evidente che i comportamenti collocati nel “primo quadrante” (in alto a destra) sono a vari livelli di “intelligenza”, mentre nel “terzo quadrante” (in basso a sinistra) si tratta di stupidità.

È altrettanto ovvio che nel quarto quadrante (in basso a destra) si possono collocare diversi livelli di “banditismo”. Invece le situazioni del secondo (in alto a sinistra) possono richiedere interpretazioni più complesse.

Come già osservato nel capitolo precedente, si può trattare di “sprovveduti” quando inconsapevolmente danneggiano se stessi mentre danno un vantaggio ad altri. Ma può anche accadere che una simile collocazione sia il risultato di comportamenti consapevolmente generosi o “altruistici”.

In questo caso l’analisi può procedere in due modi. Può tener conto dei vantaggi umani, morali e sociali – e perciò collocare quei comportamenti nell’area dell’intelligenza. Oppure lasciare che si trovino, in queste coordinate, a sinistra dell’asse Y, ma usare una definizione diversa da “sprovveduti” (ritorneremo su questo argomento nel capitolo 11).

Senza entrare nei dettagli, che possono essere complessi, di analisi come queste, il fatto sostanziale è che gli effetti di diversi comportamenti si possono valutare su scala individuale (rapporti fra due persone) oppure su una base più estesa, riferita a “grandi” sistemi (nazioni, comunità internazionali o anche tutta l’umanità in generale) o ad ambiti più ristretti (situazioni locali, imprese, associazioni, gruppi organizzati o spontanei, aggregazioni umane di qualsiasi specie, natura e dimensione).

Il sistema, nel suo complesso, può progredire o arretrare per una combinazione di comportamenti di varia specie, non tutti e non sempre “altruistici”. Ma è chiaro che il massimo beneficio collettivo si ottiene con azioni “intelligenti” – e il massimo danno con quelle “stupide”. In altre parole, se ognuno bada troppo al suo interesse particolare, trascurando gli effetti del suo agire sugli altri, si ha un degrado generale della società nel suo complesso – e così anche chi credeva di essere “furbo” si rivela stupido. Ma spesso accade che questa constatazione avvenga quando è troppo tardi per poter rimediare.

Questo conferma la premessa fondamentale: il fattore di maggior danno in ogni società umana è la stupidità.

Naturalmente si creano particolari, e spesso drammatiche, conseguenze quando c’è uno squilibrio fra causa ed effetto. Come nel caso in cui le azioni di pochi influiscono sulla condizione di molti. Per qualche ulteriore osservazione su questo tema vedi il capitolo 10 La stupidità del potere.

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Nell’uso di queste coordinate ci sono alcune differenze fra il metodo proposto da Carlo Cipolla e quello che sto seguendo in questi ragionamenti. Sono principalmente tre.

Le osservazioni di Cipolla (come quelle di Walter Pitkin e di quasi tutti quando si occupano di questo argomento) si basano su un’ipotesi di separazione netta: alcune persone sono intelligenti e altre sono stupide. Come già osservato nei capitoli precedenti, e come vedremo in particolare nel capitolo 9, la mia convinzione è che quasi nessuno è totalmente stupido e (soprattutto) nessuno può illudersi di essere sempre intelligente. Perciò è necessario tener conto della componente di stupidità (come di altre categorie di comportamento) che è presente in ognuno di noi.

Le analisi basate sui risultati possono essere fatte tentando di definire in generale il comportamento di una persona oppure limitandosi a un particolare sistema di circostanze. Questa seconda soluzione non è da escludere, anzi può essere particolarmente interessante per scoprire come la stessa persona, in situazioni o in ruoli diversi, possa avere un comportamento diversamente classificabile e definibile.

Ognuno di noi può essere più spesso “stupido” in un certo genere di situazioni, meno in altre. Può essere utile cercare di capire quali circostanze, o settori di attività, possono influire più spesso sul comportamento di certe persone – o sul nostro. E così, per quanto possibile, evitare che gli stessi problemi si ripetano troppo spesso – o almeno essere meglio preparati alla possibilità che si verifichi quel genere di errore.

Non è meno rilevante constatare che risultati stupidi si verificano anche al di fuori di ogni verificabile o ipotizzabile situazione “abituale” per un certo carattere personale (o area di incompetenza – ma qui entra in gioco il “Principio di Peter”, di cui si è parlato nel capitolo 6). E così aiutarci a ricordare quanto la stupidità possa essere imprevedibile (per fortuna accade anche, talvolta, che ci siano imprevisti risultati di “intelligenza”. Può essere interessante capire, se possibile, come si verificano – ma comunque su quelli è prudente non contare, perché non sono mai abbastanza frequenti).

La più ovvia tendenza è, quando si traccia un grafico di questo genere, collocare se stessi nelle ascisse (asse X) e qualcun altro nelle ordinate (asse Y). Ma può essere molto utile fare il contrario: cioè valutare il nostro comportamento in base all’effetto sugli altri. La difficoltà sta nel fatto che, ovviamente, la qualità dei risultati deve essere valutata dal punto di vista di chi ne subisce l’effetto – ma sapersi “mettere nei panni degli altri” è sempre utile, specialmente quando tentiamo di verificare il nostro livello di stupidità (o di intelligenza).

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Ognuno si può esercitare come preferisce nell’uso del “grafico stupidologico”. Costruirlo è facile: basta tracciare su un foglio due rette incrociate. Si può usare un foglio di carta quadrettata, che rende più facile la collocazione degli indici numerici. Non è necessario usare un software di calcolo (o di grafica) con un computer, ma anche con quel metodo il risultato è lo stesso.

Non sempre è possibile avere dati precisi con cui “misurare” i dati da inserire nel grafico. Ma l’esattezza matematica non è indispensabile. L’uso di “valori percepiti”, anche se vagamente stimati o approssimati, può avere un significato rilevante.

Alcuni lettori trovano divertente, interessante e stimolante l’uso delle “coordinate cartesiane”, mentre altri lo considerano ostico e noioso. Ma non è un problema. Si può ragionare su questi argomenti senza mai tracciare uno schema. E anche senza approfondire il significato dei cinque grafici che si trovano nel capitolo 11 (i concetti sono spiegati nel testo).




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