Il potere della stupidità
Kali

La guerra quotidiana
contro la stupidità

settembre 2008


Invece di pubblicare una recensione,
la rivista
“l’attimo fuggente” ha chiesto all’autore
di spiegare il significato del suo libro.


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(migliore come testo stampabile)


Che ci piaccia o no, è una guerra. Non è militare, ma ci sono strategie e tattiche. Quando si cerca di capire il problema della stupidità umana, come ho fatto per tutta la vita – e in particolare nei dodici anni di lavoro da cui nasce il libro Il potere della stupidità – ci si accorge che sono sottovalutate la sua gravità e le sue conseguenze. E perciò non la possiamo trascurare, dobbiamo imparare a combatterla.

È un impegno quotidiano, che non finisce mai, perché non ci può essere una vittoria “definitiva”. Anche se riuscissimo (cosa difficile) a sradicare le origini di ognuna delle stupidità che ci affliggono, qualcuno ne inventerebbe subito una nuova. Ma arrendersi o rassegnarsi non è una soluzione.

La stupidità non è eliminabile, perché fa parte della natura umana. Ma non è invincibile. Il libro che ho scritto e i molti articoli che ho pubblicato sull’argomento non sono un “manuale di sopravvivenza”. Non credo nell’utilità di un “ricettario” che sarebbe inevitabilmente banale e che non potrebbe cogliere gli infiniti travestimenti con cui si manifesta continuamente la stupidità. Ma i fatti dimostrano che quanto meglio si riesce a capirla, tanto cresce la possibilità di evitare, prevenire o correggere le conseguenze della più grande forza distruttiva nella storia dell’umanità.


Il potere della stupidità

Un diffuso errore nel pensare alla stupidità è credere che sia innocua o trascurabile. Si ride degli stupidi e delle stupidaggini – ed è vero che spesso sono comiche. Ma credere di poter “esorcizzare” il problema con scherzi, burle e barzellette è un modo per allontanarsi da una realtà imbarazzante – e così lasciare troppo spazio all’insidioso, pericoloso e onnipresente potere della stupidità.

Il concetto è efficacemente riassunto nel cosiddetto “Rasoio di Hanlon” (che prende il nome dal “Rasoio di Occam” e non è meno tagliente). «Non attribuire a consapevole malvagità ciò che può essere adeguatamente spiegato come stupidità».

“Hanlon” è Robert Heinlein, che aveva fatto quella constatazione in Logic of Empire (1941).

È ribadito da Robert Heinlein anche in una frase più breve e altrettanto incisiva. «Non sottovalutare mai il potere della stupidità umana». Il fatto è ampiamente dimostrato dalla nostra esperienza quotidiana, dalle cronache antiche e moderne di piccoli e grandi eventi – e ci sono studi storici dedicati ai fattori “apparentemente casuali”, ma in realtà provocati dalla stupidità, che hanno cambiato la situazione in ogni sorta di eventi con conseguenze nei secoli e nei millenni.

Per esempio The March of Folly – from Troy to Vietnam di Barbara Tuchman (1984) Der Hinge-Faktor di Eric Durschsmied (1998) History’s Worst Decisions – Encyclopedia Idiotica di Stephen Weir (2005). E vari altri.

Fra gli esempi “classici” c’è il cavallo di Troia. Nell’Iliade si spiega che gli dei avevano volutamente “intontito” i troiani per farli cadere nella trappola. Ma non occorre scomodare l’Olimpo per capire che la stupidità umana è capace di enormi misfatti – e chi cerca di prevenirli o contrastarli rischia la fine di Cassandra o di Laocoonte. Di cose analoghe sono piene non solo le saghe e le leggende in tutte le culture, ma anche le realtà dei fatti, come le conosciamo nello studio della storia e della preistoria, dall’età della pietra ai nostri giorni.

Un fatto sconcertante è che gli stessi errori continuano a ripetersi. Uno dei motivi è che non si dedica abbastanza studio o attenzione al problema della stupidità.


Chi è lo stupido?

Un altro errore molto diffuso è pensare che ci sia una netta divisione fra stupidi e non. In questa deformazione di prospettiva sono caduti anche autori che, per altri aspetti, hanno scritto cose interessanti sull’argomento. Il problema ha due conseguenze. Credere che esistano persone “totalmente stupide” o “totalmente intelligenti”. E pensare che lo stupido sia sempre qualcun altro.

Così come il più ignorante degli ignoranti è chi crede di sapere tutto, il più stupido degli stupidi è chi crede di non esserlo mai. Una mia personale “consolazione” è che spesso mi accorgo di essere stupido. E da questo si deduce che non lo sono completamente.

Forse può esistere uno “stupido assoluto”, ma è un caso raro. Un fatto certo è che nessuno è immune dalla stupidità. La stessa persona può essere intelligente in alcune cose, stupida in altre. E capita a tutti di essere, imprevedibilmente, stupidi anche in materie o situazioni in cui abitualmente si è ben preparati.

Albert Einstein, per esempio, lo sapeva, come risulta da alcune sue osservazioni, scritte in tono scherzoso, ma non per questo prive di serio significato. Una è abbastanza nota. «Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità. Sull’universo non sono sicuro».

Dopo la pubblicazione di Il potere della stupidità l’ho vista più spesso ripetuta, insieme ad altre cose prese dal mio libro. Ma non voglio essere troppo maligno su chi copia “senza citare la fonte”.

L’altra è in una lettera scritta a Heinrich Zangger nel 1919. «Con la fama divento sempre più stupido, d’altronde è un fenomeno molto comune. C’è una tale sproporzione fra quello che uno è e gli altri pensano che sia, o almeno quello che dicono di pensare che sia. Ma bisogna prendere tutto con buonumore».

Pubblicata da Helen Dukas e Banesh Hoffmann nell’interessante libro Albert Einstein – Il lato umano (1979) edito in italiano da Einaudi nel 1980 (traduzione di Annamaria Gilberti).

Un valore dell’intelligenza è capire i propri limiti – e la propria stupidità. Con buonumore, perché nessuno ne è immune, ma chi la conosce la sa gestire meglio.

Per combattere bene la guerra contro la stupidità dobbiamo capire la nostra, prima ancora di badare a quella degli altri. E se capiamo che tutti, in un modo o nell’altro, sono un po’ stupidi, evitiamo anche la deprimente sorpresa (e le perverse conseguenze) di comportamenti inaspettatamente stupidi da parte di persone che siamo abituati a considerare intelligenti.

Il problema non è solo che errare humanum o quandoque dormitat Homerus. Quando abbiamo capito che “tutti sbagliano” siamo al primo passo di quel processo mentale che ci aiuta a capire (e perciò a combattere) la stupidità. Ma non si tratta di farne un “sistema di regole” rigido, omogeneo e formale, che sarebbe pedante e noioso quanto inadatto a un avversario disordinato, imprevedibile e più mutevole di un camaleonte.


La stupidità è imprevedibile

La stupidità è pericolosa perché è imprevedibile. La malvagità può essere terribile, ma (se non è contemporaneamente stupida, cosa che accade spesso) tende a comportarsi in modo da nuocere agli altri traendone un vantaggio – o almeno senza farsi del male. Perciò può essere prevedibile. La stupidità no. Fa danno a sé e anche agli altri. Questo è uno dei motivi per cui è molto pericolosa.

Tuttavia, come ogni cosa, anche la stupidità ha sintomi riconoscibili, percorsi ripetitivi. Più si impara a conoscerla, più diventa possibile, se non prevedere esattamente la sua prossima manifestazione, almeno capire come alcuni problemi si possano prevenire, altri attenuare sapendo che il rischio esiste e preparando prima ciò che occorre per ridurne le conseguenze.


La moltiplicazione della stupidità

La stupidità è contagiosa. È un fatto noto che le folle sono spesso più stupide delle persone che le compongono. La stupidità è incoerente – non ha bisogno di pensare, organizzarsi o progettare per produrre effetti combinati. Il trasferimento e coordinamento dell’intelligenza è un processo meno semplice e spontaneo.

Le persone stupide possono aggregarsi istantaneamente in un gruppo o “massa” super-stupida, mentre le persone intelligenti funzionano come gruppo quando si conoscono bene e hanno esperienza nel lavorare insieme. Questo non vuol dire che la stupidità sia “più forte” dell’intelligenza, ma è un fatto ampiamente dimostrato che la stupidità cresce e si moltiplica come un microbo patogeno o un parassita, mentre contrastarla richiede metodo, impegno, consapevolezza e disciplina, come ogni efficace terapia.

Gruppi ben armonizzati che condividono intelligenza possono generare notevoli forze anti-stupidità, ma (contrariamente alle aggregazioni stupide) queste comunità hanno bisogno di essere organizzate e coltivate con cura. E possono perdere una parte della loro efficacia per l’infiltrazione di persone stupide o per inattese crisi di stupidità in persone abitualmente intelligenti.

La ricerca dell’armonia e della reciproca comprensione, in ogni rapporto umano, è in sé una cosa piacevole, attraente, stimolante. Ed è anche un efficace antidoto al potere della stupidità.


L’ossessione della stupidità

I biografi di Gustave Flaubert raccontano che era ossessionato dalla stupidità. Aveva dedicato molti anni a raccogliere migliaia di esempi, con l’intenzione di farne un’enciclopedia. Ma non riuscì mai a scriverla. Cercò di svolgere l’argomento in un romanzo, Bouvard et Pécuchet, ma senza arrivare a finirlo (fu pubblicato, postumo e incompiuto, nel 1881).

Anche Emma Bovary era perseguitata dalla stupidità e dalla meschinità delle persone che la circondavano. Vedi Flaubert e l’ossessione della stupidità.

Ci sono altri esempi dello stesso genere. Il tema è così vasto e così preoccupante che può diventare ossessivo. Ma averne paura è un modo per esserne sconfitti. La stupidità non è la gorgone Medusa. Non ci impietrisce se la guardiamo. Al contrario, teme la luce, preferisce l’oscurità in cui si nascondono i suoi molteplici travestimenti. Quando riusciamo a smascherarla, spesso si sgretola come una pietra corrosa – o si scioglie come una medusa su una spiaggia.


La “legge di Murphy”

Nel mio libro ho citato varie “leggi”. Quelle, giustamente famose, di Carlo Cipolla sulla stupidità umana. La “legge di Parkinson” e il “principio di Peter” sui motivi per cui le cose non funzionano. E alcune altre.

Nel libro Il potere della stupidità il quarto capitolo riguarda la legge di Murphy, il quinto la legge di Parkinson, il sesto il principio di Peter e il settimo le leggi di Cipolla. Sono citate anche alcune altre, come la “legge di Finagle” e gli ironici (ma più seri che buffi) “principio di Dilbert” (Scott Adams) e “principio di Natreb”.

Ma ce n’è una che non è mai stata definita come “legge” nel senso scientifico della parola – tuttavia merita di esser presa molto sul serio, anche se è solo un “modo di dire”.

L’origine è attribuita a un tecnico dell’aeronautica militare, il capitano Edward Murphy, nel 1949. Pare che la sua osservazione si riferisse a un caso specifico di stupidità umana: un esperimento in cui qualcuno aveva rischiato la vita a causa di uno strumento mal regolato.

La “legge di Murphy” dice che se qualcosa può andare storto lo farà, nel momento peggiore possibile. È generalmente trattata come un tema umoristico, con un’infinità di varianti e corollari, di cui esistono svariate collezioni. Ma ciò che sfugge è il suo valore pratico, che non è uno scherzo. Progetti, procedure e sistemi sono troppo spesso concepiti in modo da non tener conto degli “imprevisti” – che ci sono quasi sempre, provocati non solo da guasti o errori, ma anche da cambiamenti dell’ambiente e della situazione. Occorrono perciò strategie meno rigide, metodi più flessibili (i cosiddetti what if) che permettano di adattarsi alle circostanze senza eccessiva difficoltà.

Basarsi sulla “legge di Murphy” come metodo organizzativo è utile anche per evitare quelle condizioni di confusione (e perciò fonti di nuovi errori) in cui cadono inevitabilmente le organizzazioni rigide e impreparate all’imprevisto.

Ma c’è di più. Fra gli infiniti “corollari di Murphy” ce n’è uno (mai citato nelle antologie sull’argomento) di fondamentale utilità. Se una cosa che si è guastata è in grado di aggiustarsi da sola, lo fa nel momento in cui si è avviato il processo per correggerla. Il marasma che ne consegue è la fonte di nuovi errori e pasticci. Essere coscienti di questa “variante di Murphy” vuol dire non solo saper dare tempestivamente un “contrordine”, ma anche essere preparati a gestire una situazione confusa senza innervosirsi o perdere la trebisonda.


L’arte difficile della semplicità

Fin da quando ero un ragazzino, mi sentivo perseguitato da una perversa organizzazione a cui avevo dato il nome di U.C.C.S. – Ufficio Complicazione Cose Semplici. Gli anni passano, ma la persecuzione continua. Assume spesso forme estreme nella burocrazia, ma è presente anche in molti altri aspetti delle comunità umane. Talvolta le complicazioni sono intenzionali, da parte di chi preferisce non rendersi troppo comprensibile o vuole assoggettare tutti al suo modo di essere e di pensare. Ma spesso sono involontarie, per una cronica incapacità di ascoltare e di “mettersi nei panni degli altri”.

Il problema è che complicare è facile, semplificare è difficile. Molte delle più grandi innovazioni e scoperte sono semplificazioni di cose che sembravano complicate. La vera creatività sta spesso nelle sintesi che superano le apparenti complessità. È nota nelle organizzazioni, ma raramente applicata, la massima KISS: «keep it simple, stupid». Molte soluzioni brillanti sono così semplici da sembrare ovvie – ma questo si scopre dopo averle trovate.


La stupidità della guerra

Anche se dobbiamo concedere, malvolentieri, che talvolta la violenza è necessaria, ci sono ampie conferme del fatto che la guerra è quasi sempre stupida. Non solo le grandi, sanguinarie guerre combattute con armi sempre più letali. Ma anche le “piccole guerre” che si scatenano nelle famiglie, fra gli amici, in minuscoli villaggi o in grandi città, nelle stanze del potere o nelle rivalità che infestano ogni genere di organizzazioni, dalle grandi o piccole imprese alle bocciofile o alle partite a carte o alle discussioni da “bar sport”. Uno dei modi per combattere la stupidità e le sue conseguenze è saper spegnere quei fuochi con un tocco di leggerezza. Ci sono persone che lo sanno fare – e meritano molta gratitudine.

Un testo di straordinaria qualità su questo argomento è Brown’s Job, scritto da Robley Feland nel 1920.

A metà del ventesimo secolo, dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, aveva cominciato a diffondersi la convinzione che la guerra non è necessaria, né inevitabile (come si era sempre pensato nella precedente storia dell’umanità). Ma vediamo, purtroppo, che in pratica quella lezione non è stata sufficientemente imparata.

Abbiamo ancora meno imparato la lezione sull’inutilità dei conflitti, polemiche e astiosi contrasti che infettano troppo spesso la vita di tanta gente. Le cronache se ne occupano solo quando arrivano a conseguenze sanguinarie. Ma sarebbe meglio trovare un modo per evitarle prima che diventino acute o croniche. Senza false “bonomie” o inutili formalismi, ma con più sincero rispetto per le opinioni e le abitudini altrui – non solo di chi proviene da culture remote, ma anche del nostro vicino di casa o della zia di Poggibonsi. E questo è uno dei modi per combattere la stupidità.

Anche in quella che qui sto chiamando “guerra contro la stupidità” non si tratta di essere polemici, aggressivi o feroci. Al contrario, l’arma più efficace è la serenità (anche se è difficile averla quando qualche stupidaggine ci complica inutilmente la vita).

Contro la stupidità dobbiamo essere spietati. Non lasciarle mai lo spazio per crescere e moltiplicarsi. Stroncarla sul nascere ogni volta che ne vediamo i primi sintomi. Ma senza rancore, senza rabbia, senza malumore. Più ci lasciamo innervosire, più rischiamo di concimare il terreno in cui cresce la malapianta della stupidità.

La comicità banale e ripetitiva sulle stupidità convenzionali non solo è inutile, ma è dannosa, perché distrae dalla vera natura del problema. Ma funziona bene una sana dose di umorismo – e, in particolare, di autoironia. Un po’ di buonumore, un guizzo di fantasia, un sorriso inaspettato, sono spesso armi vincenti nell’eterna lotta conto la stupidità.


L’arte allegra di questa “guerra”

Il problema della stupidità è serio e preoccupante. Ma l’arte di combatterla non è triste. Ogni vantaggio che si riesce a ottenere, anche quando è (o sembra) piccolo, ogni riduzione della sua invadenza, è una soddisfazione. Porta non solo sollievo e distensione, ma anche buonumore. A differenza delle guerre che si combattono con le armi, o anche solo con astio e ostilità, questa è un’impresa allegra, piacevole, divertente.

Mentre l’esercizio fisico è fatto di monotone ripetizioni, quello della mente si nutre di continui cambiamenti di prospettiva. Scoprire i meandri in cui cresce la stupidità e decifrare i labirinti in cui si nasconde non è solo un percorso interessante. È anche un’efficace ginnastica mentale.
 

Giancarlo Livraghi  



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