Pare che stiano per nominare un
santo patrono
dell’internet – e che sia Isidoro di Siviglia.
Un vescovo del settimo secolo, noto per la sua dottrina
e per una raccolta enciclopedica di studi classici.
Le autorità cattoliche mostrano una certa benevolenza verso la rete.
Ci sono state interessanti coincidenze. A ogni ondata di
demonizzazione dell’internet
è seguita una dichiarazione delle più alte gerarchie
ecclesiastiche in cui si smentisce che la rete sia diabolica e si afferma
che è utile per il progresso dell’umanità.
Ma non si sono visti quei cattolici che avevano partecipato alle
cacce alle streghe recitare un ragionevole mea culpa.
È un fenomeno stranamente diffuso –
indipendentemente dalle scelte di fede, di filosofia o di
opinione. Nessuno ha mai torto, nessuno ammette di avere
sbagliato. Se dovessi mandare una letterina al nostro futuro
patrono gli chiederei di aiutare la gente ad ammettere gli
errori. Non solo per liberarsi l’anima e la coscienza, ma
anche perché sbagliando s’impara.
Che si sia sbagliato – e di grosso – è evidente.
Ma nessuno lo ammette. Le borse crollano, le imprese chiudono
o si precipitano a licenziare le persone cui promettevano
facili arricchimenti. Gli analisti di borsa dicono che
è colpa dei giornali, i giornali dicono che è
colpa degli analisti. Gli uni e gli altri dicono «è
quello che il pubblico voleva». Cioè il pubblico
sarebbe cretino? O siete stati voi a ingannarlo? Non sarebbe stato
compito vostro (e delle imprese che ottenevano finanziamenti)
spiegare un po’ meglio di che cosa si trattava?
Siamo stati inondati di statistiche e proiezioni che non
reggevano a un minimo di analisi ma venivano citate e
pubblicate come vangelo. Nessuno ha la bontà di
spiegarci come tutti quei numeri fossero stati messi insieme
e che cosa si pensa di fare per evitare altri errori del genere.
Sono stati spesi miliardi (decine, centinaia, migliaia di
miliardi) in base a progetti e business plan campati per
aria. Qualche capo d’azienda, in America, si è
dimesso. In Italia, a quanto pare, nessuno. Tutti infallibili, tutti
bravissimi, tutti accoccolati nella loro imperturbabile arroganza.
Se qualcosa non va bene è colpa del “mercato”
che non ha capito, della concorrenza che ha inquinato il quadro
competitivo, di un “ritardo tecnologico” che non
si sa bene che cosa sia – o della “mano pubblica”
che continua a proteggere alcune operazioni non impeccabili ma
non è andata in soccorso a tutti per rimediare tutti i buchi nell’acqua.
Molti dei miei amici sono persone piuttosto critiche,
ironiche e senza peli sulla lingua. Sento la loro voce...
«già, ma tu quando hai sbagliato?».
Tante volte, amici miei. Come quando ho comprato software che
non mi serviva – o quando poi sono diventato così
allergico che non installo neppure quello che mi serve. Come
quando, più di un anno fa, dopo tante solenni
dichiarazioni sulla generale impreparazione in fatto di
comunicazione e nuove tecnologie, mi aspettavo “un giro
di boa” e una sana scoperta del buon senso – che non
c’è stata e forse non c’è ancora oggi
(se non nel caso di chi lavora seriamente, e perciò della
tanto chiacchierata “crisi” non ha alcuna paura –
imprese e persone così ci sono e ci saranno, ma non
sono l’ondata dominante delle chiacchiere).
Errare humanum. Soprattutto sbagliare è utile.
Una delle qualità dell’internet è l’infinita
possibilità che offre di fare, tentare, sbagliare,
imparare e correggere. Ma per farlo occorre capire i propri
errori, riconoscerli, trarne lezioni e insegnamento. Cosa che
sfugge ai tanti frettolosi convinti di essere
infallibili e di sapere tutto. Credono che si possa insegnare (e fare)
senza imparare. Quando le conseguenze dei loro errori
diventano troppo evidenti per essere negate... si affidano
al vecchio e brutto gioco dello scaricabarile. O a qualche
benevolo santo protettore.
Il gioco è finito? Pare di no. Probabilmente altri
palazzi di cartone dovranno crollare prima che si faccia
strada la semplice verità: si è sbagliato
molto, si sbaglierà ancora... ed è naturale che
sia così.
Ma se vogliamo vedere sviluppi più
seri dovrà diffondersi una cultura in cui si ammette
di sbagliare – e si correggono gli errori prima che sia
troppo tardi. Non c’è specie più pericolosa
di quelli che credono di non sbagliare mai.