Vorrei chiarire subito che non mi riferisco alla
cosiddetta “navigazione” delle persone online, ma
al modo in cui un’impresa traccia una rotta e governa il suo
percorso nell’internet. Quando penso a questo problema, e
alla situazione in cui ci troviamo oggi, mi viene in mente un
episodio di vent’anni fa. Ero su una piccola barca a vela
(proprio quella che sta all’ancora in questa pagina). Una
mattina all’alba, uscendo dalla baia di Stintino, ci siamo
trovati in mezzo a una fitta nebbia. Per alcune ore la
navigazione è stata difficile.
Su quella barchetta non avevo un radar. Lo scandaglio
c’era, ma vedeva solo ciò che si trovava sotto la
barca; non lo scoglio che poteva essere poco più
avanti. E dopo la prima mezz’ora i riferimenti erano persi;
non era facile capire esattamente dove si fosse, quali
insidie potesse nascondere il fondale, né se si
rischiasse una collisione con qualcuno che stesse andando un
po’ alla cieca come noi. Procedendo piano, con prudenza, ne
siamo usciti bene. Ma (per questa e altre esperienze) so che
navigare nella nebbia non è facile.
Sotto costa bisogna badare al percorso, metro per metro.
In mare aperto il fondale è più lontano e
prevedibile... ma ci sono altri rischi. Ci sono bestie grosse
che possono non vederci sul radar (e anche se ci vedessero
non avrebbero la possibilità di accostare abbastanza
velocemente per schivarci). Come ci può essere
qualcosa di simile a quel sommergibile che è emerso al
largo delle Hawaii e ha sfasciato una barca giapponese.
Nel mare dell’internet la foschia è tanta – spesso
è nebbia fitta – e non ci sono carte né
portolani di cui ci si possa fidare. I fondali sono instabili
– come quelli dei mari caldi dove la barriera corallina
cambia continuamente. Quando andiamo in “altura”
transita un po’ di tutto e nessuno si scansa per lasciare
spazio al nostro passaggio.
La tentazione, in situazioni come queste, è stare
in porto e aspettare che passi la nebbia. Ma questa nebbia
non si alzerà in qualche ora, col salire del sole o
con un giro del vento. Può durare parecchi anni. Se un
giorno svanirà, probabilmente sarà troppo
tardi.
Un’altra tentazione (molti lo fanno) è mandare
allo sbaraglio barche ed equipaggi che ci si può
permettere di perdere. Qualcuno andrà a scogli, o
andrà a fondo, o si smarrirà chissà
dove. Ma se uno arriva e trova l’Eldorado... Questo è
il (vecchio) concetto su cui si è basata finora la
cosiddetta “nuova economia”. I risultati sono
quelli che vediamo.
Una terza, e ancora più sbagliata, ipotesi
è cementificare: costruire “autostrade” su
cui si possa andare in automobile o con qualsiasi mezzo che
siamo abituati a usare in terraferma. Ma il mare della rete
è troppo grande e turbolento. Quei tentativi si
traducono in ingombranti ruderi che ostacolano la navigazione.
La soluzione valida è una sola: imparare a
navigare nella nebbia. Con strumenti sensibili ed efficienti.
Bussole e sestanti (il sestante non funziona quando non
vediamo il cielo... ma ci sono i posizionatori satellitari).
Mappe meteorologiche. Scandagli, sonar, radar (sensibili da
lontano e da vicino, per avere obiettivi strategici ma anche
tattiche precise nelle circostanze immediate). Soprattutto
con gente che sappia leggere e interpretare non solo gli
strumenti, ma tutti i segnali del clima e dell’ambiente. Con
una barca solida e ben organizzata, un equipaggio capace di
adattarsi alle circostanze e di imparare da ogni nuova
esperienza. Con una guida che, come ogni buon comandante in
mare, sappia essere insieme prudente e coraggiosa,
lungimirante e attenta a ogni dettaglio.
Non è facile. Ma non è così
difficile come sembra. Il problema è che bisogna
uscire da molte delle abitudini tradizionali; e
contemporaneamente non lasciarsi affascinare da immaginari
miracoli promessi da qualche tecnologia di moda o da qualche
inaffidabile fattucchiera.