A proposito di
Il potere della stupidità
Pubblico volentieri queste ironiche osservazioni
(“scherzose ma non troppo”)
di Dada Montarolo
intenzionalmente connesse a Il potere della stupidità
in particolare ai capitoli 10 La stupidità del potere
e 19 La stupidità delle tecnologie
come a varie osservazioni in diverse parti del libro
sull’incapacità di ascoltare
Giancarlo Livraghi
Due sindromi
della stupidità
Dada Montarolo – luglio 2009
Talvolta incappiamo in un incidente di percorso che ci costringe a interpellare qualche addetto ai lavori. Un guasto alla linea telefonica, per esempio, fa comparire sulla scena gli ometti telecom, tanto per citare un operatore a caso.
Sono creature particolari, afflitte da quella che potremmo definire “la sindrome del capostazione”. Senza nulla togliere ai funzionari delle ferrovie, la tendenza degli ometti in questione è quella di mettersi un berretto sotto al quale pensano si annidi tutto il sapere possibile. Altre categorie che ce l’hanno in dotazione: idraulici, assicuratori, elettricisti, giardinieri e in genere tutti coloro che hanno un potere occasionale e temporaneo su di noi.
Quello che ci combinano è grottesco. Una volta interpellati, assumono un’espressione di sufficiente compatimento, gonfiano il torace e si attivano. Hanno due scuole di pensiero (pensiero?) sulla prima fase operativa: seppellire l’interlocutore sotto una montagna di parole in una lingua sconosciuta (l’informatichese, da un certo punto di vista, è il più entusiasmante) oppure, in sequenza serrata, inarcare un sopracciglio (“stai dicendo scemenze”), alzare una mano (“stai zitto”) e sospirare (“per fortuna ho capito lo stesso”).
Seconda fase, di solito senza varianti: cominciano a lavorare in una sorta di trance, non rispondono alle domande – i più socievoli tutt’al più emettono qualche suono inarticolato – borbottano “chi è quel deficiente che ci ha messo le mani sopra” (questa è un’altra sindrome, l’interessante “sindrome del sarto”).
A operazione conclusa si congedano con un regale “poi ci sistemiamo”. Escono dalla nostra vita lasciandoci la sensazione di essere naufraghi avventati che questa volta l’hanno scampata per un pelo e che comunque la nostra dabbenaggine ci costerà cara.
Bel paradosso: paghiamo per sentirci stupidi. E non è detto che il problema sia stato risolto.
Chissà quale sottospecie della stupidità li spinge a comportarsi così? frustrazione? aggressività sublimata? bisogno di gratificazione? occupazione del territorio? E ne hanno poi benefici reali? E’ difficile trovare una risposta.
Resta solo una vaga certezza: riconoscere la propria stupidità è un bene – e ogni tanto possiamo addirittura permetterci il lusso di considerarla con un certo affetto severo, come si fa con i figli.
Gli ometti telecom e affini non lo non lo sanno fare. È una scelta di vita, diventa arduo metterla in discussione. Se siamo tenaci e armati di buona volontà possiamo provare a vincere la nostra sindrome di sudditanza e cercare un terreno di incontro.
“Anche il viaggio più lungo comincia con il primo passo”, dice un proverbio antico. Prendiamoli sottobraccio e incamminiamoci.