Se la rete non è
libera e trasparente
ci va di mezzo
anche il business

Un incontro di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it con Vint Cerf

Settembre 1999

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Vinton G. Cerf è uno dei “padri” dell’internet. Durante il suo lavoro all’ARPA (1976-1982)
ha avuto un ruolo importante nello sviluppo del protocollo TCP/IP.
Nel 1990 è stato fra i fondatori della Internet Society. Ma non è solo un tecnico,
uno studioso e un esperto della cultura della rete. È anche direttamente impegnato
nel business e siede nel consiglio di amministrazione di alcune fra le più grosse
imprese del settore. In particolare è azionista e dirigente di MCI/WorldCom/UUnet.

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Quando ho incontrato Vint Cerf il 9 settembre a Milano abbiamo parlato di tante cose. Cercherò di riassumere le più interessanti, ma vorrei cominciare con una, perché sta molto a cuore a me – e anche a lui. Gli ho chiesto se le imprese, e in generale chi si occupa di business online, fanno bene a trascurare la libertà della rete, la riservatezza, eccetera; e addirittura a incoraggiare controlli e censure. Come speravo, mi ha risposto che questo è un grave errore. Ha spiegato che nelle imprese di cui si occupa c’è un’attenta protezione della privacy; e che ogni attentato alla libertà dell’internet è un danno anche per l’economia. Solo una rete libera e trasparente, ricca di diversità e senza costrizioni né censure, può essere uno strumento davvero utile per le imprese.

Oltre che dell’importanza di difendere la riservatezza, abbiamo parlato abbastanza a lungo anche di filtri, rating e censure di varia specie. Vint Cerf, come tecnico, ci ha spiegato che questi sistemi non funzionano e non possono funzionare. Ma ci siamo trovati anche d’accordo sul fatto che sono negativi e pericolosi. Nessun sistema “centrale” può o deve mai imporre criteri; ogni famiglia, ogni comunità ha un proprio e diverso modo di valutare se e cosa sia educativo per i giovani; ha il diritto (e il dovere) di fare le scelte più adatte secondo la sua cultura. Famiglie ed educatori devono assumere le loro responsabilità e non abdicare in favore di qualche sciocca “tata elettronica”. E poi... non c’è nulla di peggio che “vietare”. Quando ho detto a Vint Cerf che a 13 anni andavo a vedere i film “vietati ai minori di 14”, non perché mi interessavano ma perché erano vietati... ha risposto che anche lui faceva la stessa cosa; e che oggi, con la rete, “trovare il proibito” è ancora più facile.

Insomma la censura è sempre una sciagura; e una rete ristretta, pilotata, canalizzata, controllata è meno viva, quindi meno ricca e meno efficace da tutti i punti di vista – compresi quelli “commerciali”.


Una conversazione “a ruota libera”

Una breve parentesi “aneddotica”. Vorrei ringraziare Uunet per avermi invitato a incontrare Vint Cerf. La cosa poi si è svolta in modo inaspettato e divertente. Erano programmate due interviste nel pomeriggio, una con Giuseppe Caravita del Sole 24 Ore e una con me. Beppe ha proposto di abbinarle, gli organizzatori e io abbiamo accettato, e così ci siamo trovati in una stanza Vint Cerf, Massimo Fasoli e Lesley Ann Thompson di UUnet, Alessandra Fontana di Gunpowder, Beppe Caravita e io.

Ne è seguita un’animata conversazione che non somiglia a un’intervista, ma da cui si possono ricavare spunti che mi sembrano interessanti. L’articolo di Caravita a proposito di questo incontro è uscito su Il Sole 24 Ore del 17 settembre.


Compatibilità, trasparenza, opensource

Abbiamo chiesto a Vint Cerf di darci il suo punto di vista sulla compatibilità, sulla trasparenza, sull’apertura dei “codici sorgenti”. Ci ha spiegato come fin dall’origine del progetto l’internet sia stata impostata in modo da essere aperta a tutti e completamente trasparente; e solo così è stato possibile che diventasse uno strumento diffuso ed efficiente qual è. Non ci sono dubbi sulla superiorità dei sistemi “aperti” e compatibili e sulla necessità che tutti gli strumenti (in particolare quelli che si usano in rete) siano “opensource” e liberamente accessibili a tutti.

Su un punto, però, non ci siamo trovati d’accordo. Quando ho detto che secondo me in Europa dovrebbero impegnarsi in questo senso i governi e le pubbliche amministrazioni, Vint Cerf (che pure lavorava per il governo americano quando ha contribuito a inventare l’internet) ha detto che meno i governi si occupano di queste cose, meglio è. Secondo lui, ormai la partita è vinta, perché negli Stati uniti c’è una ribellione del pubblico (persone e imprese) che non è più disposto ad accettare soluzioni chiuse e assurdamente costose, sovraccarico di funzioni inutili, aggiornamenti “imposti” quanto inefficienti, eccetera. Le grandi imprese americane che hanno aperto all’opensource l’hanno fatto perché costrette dall’opinione pubblica e dai loro clienti. L’Intel ha già capito che la partita del sovraccarico “forzato” ormai è persa; anche la Microsoft, presto o tardi, si dovrà rassegnare. Spero che abbia ragione; ma non sono del tutto convinto che di debba, ancora una volta, affidare il nostro destino solo alla speranza (non infondata) che negli Stati Uniti prevalga il buon senso. Sarebbe ora che l’Europa, e in particolare l’Italia, cominciasse ad assumere un ruolo più attivo.


Comunità e “conoscenza diffusa”

Dall’opensource alle comunità e al valore della “conoscenza condivisa” il passo è breve; infatti si è parlato lungo anche di questo. Si è confermato che non è solo una teoria umanamente affascinante, ma anche un fatto solidamente confermato nel business, il valore delle conoscenze non segrete o chiuse ma condivise, che arricchiscono tutta la comunità. Si è anche sottolineato che se una comunità allargata è molto più forte di un sistema chiuso, e tutti i partecipanti ne traggono vantaggio, c’è sempre qualcuno che ha un ruolo-guida. «Sapete dov’è il nucleo centrale di Linux? –ha detto Vint Cerf –Nel cervello di Linus Torvalds». La nascita dell’internet utilizzò conoscenze e sviluppi tecnici da mezzo mondo, ma riuscì grazie all’impegno di un piccolo gruppo di persone ostinatamente determinate, il cui ruolo è ancora oggi riconosciuto. Anche altri innovatori, come Tim Berners-Lee (l’ideatore della world wide web) e gli sviluppatori di Mosaic (da cui è nato Netscape) hanno davvero regalato a tutti noi il frutto del loro lavoro; ma ne hanno tratto non pochi vantaggi personali.

Secondo me se ne ricavano due considerazioni importanti. La prima è che sistemi aperti, compatibili e stabili nel tempo sono una premessa importante, se non indispensabile, per lo sviluppo di ogni attività (non solo tecnologica) dovunque –ma ancor più in paesi “periferici” come in nostro. Ma anche quando avremo ottenuto quella “premessa necessaria” e finalmente potremo entrare nel gioco dovremo essere molto bravi, molto attivi, molto innovatori per poter avere un ruolo non troppo marginale.

La seconda è che un campo aperto c’è, ed è proprio la rete. Dobbiamo evitare che si distorca e diventi meno compatibile; perché non conviene a nessuno, ma ancora meno a noi. Dobbiamo anche imparare a usarla per sviluppare territori e comunità in cui le nostra capacità possano avere il massimo successo. Non potremo mai, dall’Italia, avere un ruolo dominante in tutta l’internet. Ma nell’infinita complessità delle reti ci sono tanti spazi, grandi e piccoli, in cui è tutt’altro che impossibile conquistare la leadership.


I “portali”? Boh, vabbè...

Quando ho parlato di “portali”, la risposta di Vint Cerf mi ha un po’ sorpreso. Ha mormorato con aria distratta «Portals? Uhm». Poi ha detto «Vabbè, di che ci stupiamo, vogliono avere un gran numero di persone che passino in un certo posto per cercare di vendere pubblicità. Non c’è nulla di male. Se e quando ci saranno utili, li useremo; ma le persone che entreranno dal portale poi troveranno le porte per uscire. La rete, nella sua sostanza, rimane quella che è».

Ho voluto insistere un po’.... gli ho chiesto se stiamo andando verso “due internet”: una sempre più pesante e centralizzata, secondo il modello dei mass media tradizionali; l’altra apparentemente più piccola ma molteplice, diversa, complessa e diffusa, secondo il modello che lui e gli altri “fondatori” avevano in mente trent’anni fa. Mi ha risposto che secondo lui il problema non esiste. La rete è quella che sappiamo: molteplice, diffusa, decentralizzata. Le parti “centralizzate” sono una presenza inevitabile, talvolta non inutile, ma sono solo un dettaglio; molto più ingombranti in apparenza che in realtà. «È naturale che Cnn e altri sistemi broadcasting facciano il loro mestiere, anche nell’internet; ma questo non cambia la natura né la struttura della rete».

Spero proprio che abbia ragione; non solo perché tengo molto, personalmente e per motivi culturali, alla libertà e molteplicità delle reti; ma anche perché questo conviene alle imprese italiane.


Il ruolo delle “piccole e medie imprese”

Nel 1994 John Naisbitt ha pubblicato un libro, Global Paradox, in cui spiegava che «più l’economia diverta globale più sono forti gli attori più piccoli». Anche altri autori hanno scritto cose molto simili. Da anni è opinione diffusa che la “nuova economia” offra occasioni molto favorevoli alle “piccole e medie imprese” – e che questo sia vero soprattutto nell’internet. Ma intanto vediamo una continua e crescente tendenza –fusioni, acquisizioni, concentrazioni – che sembra dimostrare il contrario.

Ho chiesto a Vint Cerf se considera ancora valido il “paradosso globale”. Ha risposto che oggi è ancora più vero. Non solo la rete è un terreno favorevole alle “Pmi” ma è anche un territorio in cui possono nascere, quasi dal nulla, imprese nuove. Ci sono cose nate per gioco, per il divertimento di sperimentare, che si sono trasformate in business di successo al di là di ogni aspettativa e speranza dei loro inventori. Ci vuole il coraggio di tentare, di rischiare; non tutti gli esperimenti riescono e quindi bisogna anche saper abbandonare un’idea per svilupparne un’altra. Forse oggi negli Stati Uniti c’è un’atmosfera più favorevole, per la più diffusa cultura della rete e per la più abbondante disponibilità di venture capital. Ma non c’è alcun motivo per cui l’Europa non possa partecipare attivamente al gioco.

Insomma, per voce di uno dei “creatori” dell’internet, oggi la “sfida americana” si può leggere così: «Vi abbiamo dato un bel giocattolo, che funziona bene e che è uguale per tutti. Adesso fateci vedere come siete capaci si usarlo».

Verrà una risposta forte dall’Italia? Secondo me, ha ragione Vint Cerf. Se aspettiamo interventi pubblici o grandi progetti “di largo respiro” rischiamo di perdere un’infinità di occasioni. Ma se ognuno “nel suo piccolo” si fa venire un’idea e la porta avanti con coraggio e costanza... non è detto che l’Italia debba rimanere “l’ultima ruota del carro”.





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