L’internet è una realtà
ma non rinunciamo a sognare

Un articolo su La nuova ecologia
dicembre 2001

di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it


 
 

C’è un grande sogno nell’era dell’informazione e della comunicazione. Fin da quando nel 1980 Jean-Jacques Servan-Schrieber diceva in Le défi mondial:

Nell’era post-industriale la “finitezza” di sempre, che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si infrange. A portata degli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l’unica: l’informazione, la conoscenza, l’intelligenza.

Non è solo una poetica fantasia, un’utopistica speranza. È un’idea molto concreta, che rientra nel mondo del possibile. Ancora più oggi che vent’anni fa, quando non si pensava ancora alla diffusione dei personal computer. Nel 1980 l’internet esisteva da quasi dieci anni, ma pochi la conoscevano. Era ancora un privilegio di un ristretto mondo scientifico. Un sistema per collegare i grandi, complessi, costosi computer di allora.

Quella che poi prese il nome di “inter-net” vent’anni fa collegava 200 host. Oggi sono 120 milioni. Nessuno sa quante siano le persone che possono accedere, ma si tratta di centinaia di milioni. Con una crescita che non è “esponenziale” o mirabolante – ma è veloce e continua.

La rete non è “globale”. Per ora, purtroppo, è diffusa solo in una parte relativamente ristretta del mondo. Gran parte dell’umanità ne è ancora esclusa. Per mancanza di connessioni, per motivi economici o per divieti politici. Non sono pochi i paesi in cui collegarsi alla rete fuori da un ristretto ambito strettamente controllato e censurato dalle autorità vuol dire rischiare la prigione – o la vita. Questo è, in sé, un fatto grave e uno dei problemi che affliggono il mondo intero.

Ma almeno in quella parte del mondo in cui viviamo il “sogno” di una nuova libertà, di un modo di vivere e di pensare libero dalla “finitezza” del passato, dovrebbe essere una realtà diffusa, una pratica abituale. Invece non è così – e dobbiamo chiederci perché. C’è un abisso, che sembra incolmabile, fra quello che potremmo fare con le risorse di comunicazione e di informazione di cui disponiamo e quello che in realtà stiamo facendo.

Le risorse tecniche ci sono – e non sarebbe difficile, se si volesse, renderle molto più semplici, accessibili, compatibili ed efficienti. Quella che manca è l’evoluzione culturale. Molte delle cose che si dicono e si scrivono sulla rete sono deformate e deformanti. Su due percorsi in apparenza opposti ma essenzialmente simili. C’è il mondo degli incubi, delle paure, delle misteriose e oscure minacce. C’è quello delle esagerazioni, delle fantasie, delle promesse miracolistiche. L’uno e l’altro rappresentano la rete per quello che non è. Non è un mondo a parte, popolato di androidi inquietanti o di misantropi chiusi in uno spazio artificiale. Non è, d’altro lato, un paese dei balocchi dove la cosa più importante è giocare con le tecnologie, alla continua ricerca di qualcosa di nuovo o bizzarro, forse divertente per pochi ma inutile o fastidioso per la maggior parte dell’umanità.

Per capire la rete bastano alcuni concetti molto più semplici – e soprattutto più umani. Non mi stancherò mai di ripetere che l’internet è un sistema biologico (anche in analisi strettamente tecniche è definito come un “bioma” o un “ecosistema“). E che la rete non è fatta di macchine, connessioni o protocolli. È fatta di persone.

Ciò che conta non è la tecnologia ma il modo in cui le persone la usano. Le molteplici possibilità di scambio, di incontro, di dialogo, di conoscenza. L’infinita ricchezza di relazioni, di idee, di sentimenti, di somiglianze e diversità. La possibilità per ogni persona di costruirsi una “sua” rete su misura. L’immensità delle risorse disponibili che sarebbe disorientante se non fosse possibile – come di fatto è – costruire un po’ per volta un sistema di scelte e di relazioni “a misura umana” in cui muoversi in modo gradevole, scorrevole, stimolante, tutt’altro che macchinoso o faticoso.

Qualche anno fa era di moda annunciare eventi miracolosi, rivoluzioni improvvise, innovazioni sconvolgenti. Già il non avverarsi di quelle bizzarre profezie basterebbe per dare un senso di delusione e smarrimento. Ma c’è di peggio. Si è inventata un’altra favola, chiamata “nuova economia”. Che ha assai poco a che fare con il mondo vero dell’internet – e con le realtà dell’economia ha scarsa parentela. Si tratta soltanto di avventurose speculazioni in borsa, basate su proiezioni finanziarie irrealizzabili, e perciò condannate a un inevitabile “crollo”. Una bolla d’aria è stata gonfiata a dismisura, si è in parte sgonfiata – e chi aveva rischiato i suoi risparmi i quelle avventure si trova a mal partito se non ha avuto l’astuzia o la fortuna di uscire dal gioco al momento giusto. Ora tutti i profeti che avevano sostenuto quelle effimere avventure si trovano in comprensibile imbarazzo. Ma quelle vicende sono del tutto estranee alla realtà umana, civile, sociale (e perciò anche economica) dei nuovi sistemi di comunicazione.

Purtroppo l’eco degli sconquassi speculativi ha diffuso un’estesa perplessità su tutto ciò che riguarda la rete. Non solo nelle imprese, ma anche nelle persone. L’importante è dimenticare quelle bizzarre avventure e guardare molto più serenamente la realtà.

Fino a due o tre anni fa l’Italia era un paese “arretrato” nell’uso dell’internet. Oggi è ancora lontana dalla situazione dei paesi più “avanzati” (come gli Stati Uniti, il Canada, i paesi scandinavi, l’Olanda). Ma ormai anche da noi la diffusione della rete ha superato una “soglia” da cui non si torna indietro. Non è ancora “di tutti” ma non è più il privilegio di “pochi”. La diffusione della rete è sempre meno diversa per area geografica, situazione economica, livello scolastico, eccetera. Se l’Italia ha “solo” 30 host internet per 1000 abitanti, quando la Finlandia ne ha più di 150, vuol dire che abbiamo ancora molto spazio per crescere. Ma intanto, “in cifra assoluta”, siamo fra i primi dieci, forse fra i primi sei, paesi del mondo per attività online. La quantità ormai c’è e continuerà a crescere. Il problema è riempirla di qualità.

Dobbiamo dimenticare le leggende, positive e negative, e concentrarci sull’unica cosa che conta. I valori umani. E su quella base ritornare finalmente a sognare il vero, grande sogno di un’umanità più libera, più aperta e più ricca – di conoscenza, di dialogo, di scambio. Questa è la base su cui, se la si capisce e la si rispetta, si possono costruire anche solide e sane attività d’impresa. Ma non dobbiamo dimenticare che il 98 per cento della rete è fuori dai nostri confini – e perciò se è bene coltivare con cura il mercato interno è ancora più importante una spinta energica all’esportazione. Di beni, di servizi e di idee.

Un altro aspetto importante è ciò che l’internet può fare per il miglioramento delle organizzazioni e della “qualità della vita”. Da anni penso che vorrei svegliarmi una mattina e vedere un traffico più sciolto, più disteso, meno intasato e nervoso. Se quel giorno verrà, saprò che avremo finalmente imparato a usare la rete.

Non si tratta solo del “telelavoro” ma di ripensare la struttura delle organizzazioni. Da trent’anni gli studiosi delle strutture d’impresa hanno dimostrato che organizzazioni meno gerarchiche, con responsabilità più diffuse, con una più attiva partecipazione delle persone a tutti i livelli e in tutti i ruoli, sono molto più efficienti – e chi ci lavora ha maggiore benessere e migliore motivazione. Le gerarchie, nel settore pubblico come in quello privato, faticano ad adattarsi a questa logica (di cui la rete, usata bene, è lo strumento ideale).

Non si tratta di creare un mondo disumano e crudele in cui ognuno è imprigionato in un cubicolo di isolamento e non incontra mai i suoi colleghi di lavoro. Si tratta di dare a ognuno più responsabilità e flessibilità. Con la possibilità svolgere a casa sua, o dove altro vuole, quella parte del lavoro che non richiede la presenza in ufficio. Si tratta di eliminare tutti quei percorsi inutili, quelle pastoie burocratiche per cui si va a fare qualche inutile coda per cose che si potrebbero fare meglio online. Non solo si risparmierebbe un’enormità di tempo oggi sprecato, non solo si alleggerirebbero i problemi del traffico, ma migliorerebbe la qualità della vita e dei rapporti umani.

Tutto questo è possibile? Senza dubbio. Dobbiamo solo trovare la volontà e la coscienza civile per far sì che questo “sogno”, come quella generale migliore e più ricca vita di conoscenza e di relazione di cui parlavo all’inizio, si possa avverare. È un diritto di tutti noi. Più saremo a volerlo e a cercarlo, con entusiasmo e con ostinazione, più presto diventerà realtà.






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