Rosa dei venti

I Garbugli della Rete - 25
luglio 1998

La Torre di Babele

 
 
 
 

Per vivere attivamente in rete non occorre “sapere le lingue” – o almeno così sembra. Anche qualche anno fa, quando la rete era molto più piccola, c’erano siti e spazi di dialogo in italiano; oggi il numero è così grande che è facile perdersi anche se si esplora solo ciò che si scrive e si dice nella nostra lingua.

I dati più recenti dicono che ci sono 300 mila host internet italiani. Pochi rispetto a oltre un milione in Gran Bretagna e in Germania o 20 milioni negli Stati Uniti; ma il doppio di quanti erano 18 mesi fa, dieci volte di più che nel 1994.

Insomma è possibile fare una quantità crescente di cose in rete senza capire alcun’altra lingua. Ma la cosa non è così semplice.

Se usiamo la rete solo come uno strumento in più per ripercorrere la cultura che già conosciamo, per restare nel solco delle nostre abitudini, perdiamo una grossa occasione per aprire gli occhi sul mondo. Se andiamo per liste e per chat vediamo che spesso sono molto ripetitive; le conversazioni sono le stesse che potremmo sentire in qualsiasi bar.

Non dico che questo sia sbagliato. La rete serve anche per leggere le stesse notizie che troviamo sui giornali e per fare le stesse chiacchiere che facciamo all’osteria. Ma sarebbe un peccato se ci riducessimo a fare solo quello.

Ci sono in giro statistiche, spesso poco credibili, su un po’ di tutto... ma non ne ho ancora trovata una su quante persone sanno l’inglese. Credo che avere dati precisi sia quasi impossibile, perché non è facile definire che cosa significa “sapere” una lingua: vuol dire solo cavarsela a chiedere un indirizzo o ordinare un panino, o riuscire a dialogare in modo significativo con le persone di mezzo mondo?

Comunque, temo che gli italiani siano molto indietro. Sappiamo che questo è un problema serio per il futuro umano, sociale, culturale ed economico del nostro paese. Spero che si arrivi davvero all’insegnamento della “lingua globale” in tutte le scuole, “di ogni ordine e grado”. E se imparassimo anche qualche altra lingua... tanto meglio.

Cinquant’anni fa in Italia non era “lingua comune” neppure l’italiano. Oggi siamo arrivati a capirci dal Brennero a Lampedusa, ma non basta. Non si tratta soltanto dell’Unione Europea. Uno dei fatti più importanti della nostra epoca è che possiamo viaggiare in ogni angolo del mondo e possiamo comunicare con gran parte del pianeta (anche se per ora lo strumento di scambio più efficace, cioè l’internet, raggiunge meno del due per cento dell’umanità).

La cultura e l’informazione, che ci piaccia o no, sono “globalizzate”. Se non approfittiamo della possibilità, che la rete ci offre, di andare oltre la superficie restiamo prigionieri di ciò che ci somministrano i grandi mezzi di informazione; che è quasi sempre banale e ripetitivo, spesso visto da prospettive ristrette, ingombro di molti più errori di traduzione e di interpretazione di quanto possiamo immaginare se non andiamo a controllare.

Oggi abbiamo a disposizione uno strumento che non c’era mai stato nella storia dell’umanità. La possibilità, per ognuno di noi, di costruirsi un sistema personale di informazione; e di dialogare con persone che non avrebbe avuto modo di conoscere in altro modo. Sarebbe un vero peccato se non approfittassimo di questa occasione per guardare oltre la punta del naso e rimanessimo chiusi in qualche cantina male illuminata sotto la Torre di Babele.

La lingua è importante (se non si riesce a scambiare qualche parola è difficile capirsi). Ma secondo me il vero problema è un altro: è una questione di atteggiamento. Siamo sicuri, in ogni dialogo e incontro umano, di saper ascoltare? Di aver davvero la voglia di capire?

Proviamo a seguire con attenzione critica qualsiasi conversazione: in rete, di persona, o in uno degli infiniti dibattiti pubblici. Ci accorgeremo che molto spesso ognuno va avanti all’infinito a ripetere il suo punto di vista, senza badare a ciò che dicono gli altri. Siamo quasi sempre prigionieri dei nostri pregiudizi, delle nostre abitudini, di “luoghi comuni” senza senso né valore.

Continuiamo a ripeterci che la diversità è importante, nella cultura umana come in biologia; ma poi cerchiamo rifugio nella comoda, confortante ma cieca ripetizione di ciò che ci è abituale.

Se dovessimo darci un “compito per le vacanze” proporrei che fosse questo: con o senza la rete, cercare di imparare qualcosa di diverso, scoprire qualcosa che non sapevamo, conoscere idee e modi di pensare che non ci erano abituali. Insomma far crescere la nostra curiosità. Se tutti facessimo un po’ di queste cose durante la “pausa estiva”, e poi ce le raccontassimo a vicenda... a settembre saremmo tutti più ricchi di idee, meno banali e più umani. Non vi sembra che valga la pena di provare? :-)

 

 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  giugno 1998
 



Per notizie aggiornate sulla crescita della rete vedi la sezione dati


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