Rosa dei venti

I Garbugli della Rete - 24
giugno 1998

La rete cresce davvero

 
 
 
 

Sta cambiando qualcosa. Credo che da un po’ di tempo l’uso della rete stia cominciando a diffondersi anche in Italia. Siamo lontanissimi dai livelli americani e anche da quelli dei paesi europei più avanzati, ma c’è qualcosa di nuovo: persone che fino a ieri consideravano l’internet come una strana mania per tecnomani e misantropi hanno deciso di collegarsi.

Per anni siamo stati inondati di numeri immaginari e di previsioni campate per aria. La tendenza non si è esaurita; continuiamo a leggere qua e là numeri mirabolanti, calcoli fantasmagorici, che fanno ritornare alla memoria la frase di John Kenneth Galbraith «La sola funzione delle previsioni in campo economico è rendere l’astrologia una disciplina più rispettabile» o quella classica di Benjamin Disraeli «Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le sfacciate bugie, e le statistiche». Ma in parte l’onda delle fantasie numeriche si è attenuata. Succede spesso, nelle cose umane, che quando il rumore diminuisce crescano i fatti.

Adesso la ridda delle previsioni “esponenziali” sembra placarsi, la rete viene più spesso descritta come un modo di comunicare e non un’avventura fantascientifica; nonostante il fracasso un po’ confuso che continua a circondare l’internet vediamo persone che fino a ieri guardavano la rete con diffidenza decidere di provare a usarla.

Era ora. Chi ha approfondito un po’ il problema sa che l’Italia è molto arretrata. Senza entrare in calcoli complessi, basta pensare al fatto che il nostro paese rappresenta il 12 per cento dell’economia europea, il 14 delle automobili, il 16 dei telefoni cellulari... e il 4 per cento della rete in Europa. Ci vorrà ancora parecchio tempo prima che la rete entri davvero nel nostro costume. Ma qualcosa sta cominciando a cambiare.

Non voglio addentrarmi qui nel terreno minato delle statistiche e tanto meno buttarmi sulla china scivolosa delle profezie, ma è molto probabile che fra qualche mese metà delle persone in rete siano “nuove”, cioè abbiano meno di un anno di esperienza.

Molte di queste persone fanno un uso limitatissimo della rete. Danno un’occhiata in giro e poi frequentano due o tre siti web dove trovano notizie utili per il loro lavoro o per qualche altra area di interesse; scambiano messaggi con pochi amici; e la cosa finisce lì. Non sanno che cosa sia una chat, un newsgroup, un forum, una lista di dialogo.

Comincio a ricevere messaggi di persone che hanno letto qualche mio articolo e chiedono «ma come si fa a incontrare qualcun altro in rete?»

Ricordo il tempo in cui ero come loro: un newbie, una persona inesperta. Sono passati solo cinque o sei anni, ma sembra un mondo lontano. Entravo in punta di piedi, confuso dalle tecnologie (che pure erano molto più semplici di quelle, falsamente “amichevoli”, di oggi), con la sensazione di affacciarmi in un mondo un po’ iniziatico in cui tutti ne sapevano più di me. Allora non si parlava di internet (che era una cosa riservata a “pochi eletti” nelle università) e nessuno immaginava che sarebbe nata una cosa chiamata world wide web.

È inutile avere nostalgie. Ormai è finito il tempo delle origini, che aveva il fascino del nuovo e dell’inesplorato. Stiamo andando verso un mondo in cui la rete dovrà essere un elemento come tanti della vita quotidiana, come il telefono o il giornale. Ma il rischio è che se ne faccia un uso troppo limitato e banale; che troppe persone (come tante che conosco) si assestino in un cerchio ristretto di abitudini e perdano di vista le possibilità di scambio, di incontro, di esplorazione che la rete offre.

Credo che una responsabilità importante stia sulle spalle di chi ha il compito di “fare cultura” sulla rete. Di chi pubblica una rivista come questa, e di chi ci scrive; di chi parla della rete su riviste e giornali (e spesso, ancora oggi, diffonde incredibili sciocchezze) e di chi scrive e pubblica libri (troppo spesso eccessivamente tecnici oppure scritti da persone che hanno una conoscenza molto superficiale dell’argomento).

Ma non basta. Cinque o sei anni fa mi sarei perso se non avessi trovato persone, molto più esperte di me, disposte a darmi consigli. La rete ha alcune tradizioni che credo siano da conservare e valorizzare. Una di queste è la voglia di aiutare le persone nuove. Non solo a districarsi nelle tecniche (molto meno “amichevoli” e comprensibili di come vogliono sembrare) ma soprattutto a capire i valori umani.

Mi piacerebbe che tutte le persone nuove fossero molto curiose e avessero voglia di scoprire ciò che è meno evidente (cioè non limitarsi a guardare un po’ di siti qua e là ma cercare scambio e dialogo). E che chi ha più esperienza prendesse per mano chi non l’ha e l’accompagnasse nella ricerca non solo di informazioni ma anche di incontri umani. Certo, consuma tempo. Ma è divertente.

 

 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  aprile 1998
 



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