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Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
marzo 2003




La televisione “generalista”

Se la televisione fosse nata con le tecnologie di oggi, probabilmente non sarebbe mai stata “generalista”. Ma Benedetto Croce ci ha insegnato che “la storia non si fa con i se e con i ma”. Non c’è alcun motivo tecnico per cui non possa essere disponibile a tutti una scelta di 500 canali, ovviamente specializzati per tipo di contenuti (e anche per orientamento di opinione). Se la televisione “generalista” rimane sostanzialmente uguale a se stessa è perché chi la produce non è in grado di fornire alternative rilevanti (o non vuole farlo?) e perché chi la guarda preferisce rimanere nel solco delle abitudini.

Non è una “scoperta” il fatto che la televisione è il sistema di comunicazione più diffuso. In Italia raggiunge praticamente “tutti” (98,5 %) ed è, di gran lunga, il mezzo con la percentuale più elevata di “utenti abituali• (95,8 %). La sua penetrazione è molto alta (vicino al 100 %) anche fra le persone che usano la gamma più vasta di risorse. Ma non è solo la sua estrema diffusione che la rende un sistema dominante.

Nessun altro mezzo di comunicazione nella storia ha creato un’illusione percettiva così intensa e così estesa. Un elettrodomestico che è diventato parte della vita famigliare e personale. Un senso di intimità per cui sembra che i “salotti” televisivi siano nelle nostre case – o viceversa. E con le (finte o condizionate) “partecipazioni attive” degli spettatori gran parte della programmazione televisiva è dedicata a intensificare questa falsa percezione di “appartenenza”. Ne nasce una confusione fra il mondo costruito della televisione e il mondo percepito dell’esperienza quotidiana da cui possono (in parte) liberarsi solo le persone che usano intensamente altri mezzi di informazione e di comunicazione.

Un altro motivo per cui la televisione è dominante è il modo in cui gli altri mezzi si “adeguano” (in Italia ancor più che altrove). I giornalisti e gli editori della stampa sono ben coscienti di quanto le loro scelte siano condizionate dalla televisione, ma nonostante infinite discussioni sull’argomento non riescono a liberarsi del “giogo” televisivo.

E c’è anche un fenomeno di concentrazione “globale”. Le emittenti televisive si copiano a vicenda e le “fonti” fondamentali sono principalmente americane – in particolare la Cnn, che finora è l’unica emittente “specialistica” (è fatta quasi solo di notiziari) con un’estesa diffusione mondiale. Ne deriva un sistema estremamente centralizzato, che determina le scelte di gran parte del flusso culturale – compresa l’editoria libraria e compresa la scuola (il fatto che si invitino personaggi della televisione a far lezione nelle università è solo una piccola punta di un immenso iceberg di “omogeneizzazione”).

Non è questa la sede per trarre conseguenze etiche o culturali da questo fenomeno. Ma il fatto è che la “ricchezza” informativa, nonostante la vasta disponibilità di strumenti, rimane molto “povera” se all’omogeneità dell’informazione non si rimedia con l’iniziativa personale, per scoprire “fonti” di adeguata diversità. Cosa possibile a tutti, in un paese relativamente “ricco” come l’Italia, ma solo al prezzo di un impegno di tempo, attenzione e curiosità di cui pochi possono (o vogliono) disporre. Il maggiore o minor grado di “condizionamento” televisivo è un “fattore di riferimento” che influisce, in qualche misura, sull’uso di tutti gli altri sistemi di informazione e comunicazione.



Altre forme di televisione

La televisione “satellitare” è solo uno dei molti sistemi possibili. In Italia non si è mai diffusa la televisione “via cavo” e perciò oggi il satellite è l’unica alternativa disponibile alla televisione “generalista”. Con una diffusione ancora limitata (penetrazione totale 12 %, uso “abituale” 9 %). E con una gamma di offerta molto modesta rispetto a ciò che sarebbe “potenzialmente possibile”. Siamo appena agli inizi di uno sviluppo il cui percorso è largamente imprevedibile. L’evoluzione futura non dipenderà dalle risorse tecniche. Quelle già esistenti sono utilizzate solo in minima parte. E nessuno è in grado di prevedere quali nuove soluzioni potranno essere disponibili.

Si discute sulle possibiltà della “piattaforma digitale“. Ma gli eventuali sviluppi non dipenderanno dalle tecnologie. Si tratterà di vedere quali servizi saranno concretamente offerti – e se e come le persone saranno interessate a usarli.

Già oggi il confine fra la televisione “abituale” e quella “satellitare” non è omogeneo. In un edificio che abbia un collegamento centrale, in un albergo o in altri luoghi è possibile ricevere un canale via satellite (per esempio Cnn) come se fosse una delle reti italiane. Con la combinazione di diverse tecnologie sono infinite le possibilità di soluzioni “miste”.

La diffusione della televisione satellitare in Italia è ancora troppo recente, e relativamente limitata, perché si possa tracciare un quadro chiaro in relazione agli altri strumenti di comunicazione e di informazione. Ma è molto probabile che l’uso di soluzioni diverse dalla tradizionale televisione “generalista” tenda a diffondersi soprattutto fra le persone che hanno già un’ampia gamma di risorse – e quindi a intensificare il problema della scelta.

Siamo ancora lontani da quell’estensione del “menu” televisivo che le tecnologie hanno già reso possibile (se non a 500 canali, si potrebbe arrivare facilmente a più di cento) e che potrebbe cambiare radicalmente la “fruizione” dello strumento (a partire dalle categorie di spettatori più attente e più disponibili all’innovazione). Come in ogni altro caso, è soprattutto un problema di contenuti, di strategie editoriali e di qualità del servizio.

In un’evoluzione di questo genere la televisione tenderebbe anche a un uso meno collettivo e più individuale. Già oggi i televisori sono più di uno nelle case dei più probabili “pionieri” di una tale tendenza.

Forse fra cinquant’anni la televisione di oggi sembrerà un residuato archeologico (mentre quella di oggi, a parte l’ormai vecchia aggiunta del colore, è sorprendentemente simile al passato). O forse no? Dipenderà dalla cultura, dai desideri delle persone e dalla qualità dell’offerta.



La radio

La radio è uno dei più vistosi esempi del fatto che i nuovi strumenti si aggiungono ai vecchi, ma non li sostituiscono. Per molti anni considerata, superficialmente, un mezzo “secondario” e “superato” dalla televisione, la radio mantiene una grande vitalità e un suo ruolo “insostituibile” – in Italia come nel resto del mondo. Con il 65,4 % delle “utenze” in assoluto, si colloca al terzo posto dopo la televisione e l’imperversante telefono cellulare. Ma con il 56,4 % di “uso abituale” è saldamente al secondo posto nell’arsenale di informazione e comunicazione degli italiani.

La radio non è uno strumento per i “poveri di informazione”. L’ascolto è più concentrato fra le persone che usano abitualmente anche altre risorse (oltre all’onnipresente televisione).

Uso “abituale” Quotidiani     Libri     Cellulare Computer  Internet 
Radio si 48 33 57 37 24
Radio no 37 24 36 18 12
Totale popolazione 44 29 48 29 19

Ci sono significativamente più lettori di quotidiani (+ 30 %) e di libri (+ 38 %) fra gli ascoltatori della radio che nel resto della popolazione. Ci sono anche più utilizzatori di computer (+ 95 %) e dell’internet (il doppio).

Ci sono ancora spazi importanti di evoluzione della radio. Ha già un livello di “specializzazione“ maggiore della televisione (facilitata anche dalla minore complessità di costruzione dei programmi) e può fare ancora passi importanti in quella direzione.



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