Offline Riflessioni a modem spento


Il (tentato) suicidio
del marketing

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giugno 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
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e tre libri:
  La coltivazione dell’internet
L’umanità dell’internet
Il potere della stupidità
 

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Non guardo molto la televisione. Ma una sera, girovagando un po’ col telecomando, mi sono trovato in quella trasmissione su RaiTre che parla dei tanti modi in cui si imbroglia la gente. Un tale, che vende cassette di sesso esplicito, aveva raccontato in giro che le protagoniste di un suo film erano “casalinghe” di una certa località. E le signore del luogo, del tutto estranee alla vicenda, si erano comprensibilmente irritate. Il tizio, preso in castagna, tentava di giustificare la sua menzogna dicendo che “quello è marketing”.

Non è un episodio isolato. Ormai marketing, in un lessico disgraziatamente diffuso, è diventata una parola oscena. La scusa e il pretesto per ogni sorta di truffe, inganni, falsificazioni e mitologie. Il trionfo dell’imitazione, dell’approssimazione, di un insulso e ripetitivo manierismo.

Secondo la dottrina dominante, la qualità è un accessorio e l’informazione è un ingombro fastidioso. Ciò che conta è “fare immagine”, cercare notorietà purchessia, raccontare favolette senza capo né coda, tanto si trova sempre qualche scemo che ci casca.  (Vedi Il circolo vizioso della stupidità).

 
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Che ci sia spazio per gli imbroglioni e i venditori di patacche... purtroppo è sempre stato vero.

Forse oggi sarebbe un po’ meno facile se i grandi mezzi di informazione non avessero dato così tanto credito, per così tanti anni, a indovini, astrologi, veggenti, fattucchiere e bidonisti di ogni specie – e se non si fosse sparsa la convinzione che essere non importa, conta solo apparire.

Ma non c’è mai stata una cultura umana in cui non ci fosse spazio per l’imbroglio e per l’inganno. E anche se crediamo di essere diventati più attenti, e meglio informati, purtroppo i fatti dimostrano che siamo meno evoluti di quanto potevamo sperare.

Il fasullo c’è sempre stato. Il problema di oggi è che lo si è elevato a sistema. Lo si predica nei seminari, lo si insegna nelle università, lo si venera come profeta del benessere, della fama, della ricchezza. Cosa che conviene a chi, nelle pieghe di quell’andazzo, si mette in tasca un bel po’ di soldi. Ma per il sistema delle imprese è un suicidio collettivo.

Il marketing, quello vero, non è l’arte di imbrogliare il prossimo. Né di “sedurre” con qualche piacevole apparenza cui non corrisponde alcun contenuto.

É un mestiere molto più serio e impegnativo. Capire che cosa davvero le persone vogliono. O, ancora meglio, sorprenderle indovinando ciò che in realtà desiderano, ma non avevano ancora capito di volere. O proponendo qualcosa che è davvero utile e concretamente meglio di ciò che c’era prima.

Marketing vuol dure far lavorare ricerca e sviluppo insieme a un’analisi attenta delle esigenze reali delle persone, delle famiglie, delle imprese. Cioè del mercato – che non è una nozione astratta, uno schema automaticamente applicabile o una serie più o meno arbitraria di proiezioni numeriche, ma una realtà concreta di fatti, situazioni e valori umani.

 
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Ci sono altri termini che hanno assunto un significato bizzarro. Pensiamo, per esempio, a “valore aggiunto”. Valore per chi? Se un’impresa è in grado di aggiungere valore a ciò che vende, dal punto di vista di chi compra, può legittimamente aspettarsi di essere ricompensata. Cioè di vendere a un prezzo un po’ più alto perché accompagna il prodotto con un servizio in più, apprezzabile e rilevante per chi lo acquista.

Ma andiamo a vedere come viene inteso qual concetto, per esempio, nella telefonia. Ogni sorta di marchingegni per indurre le persone a chiamare linee molto costose. L’aggiunta di valore è per chi vende, a scapito di chi ci casca. E qualcosa di simile accade anche per altri generi di prodotti o di servizi. Cose così non si chiamano marketing, si chiamano truffe.

Nel mondo delle tecnologie abbiamo superato la soglia del ridicolo per cadere nell’abominevole. Le “funzioni aggiunte” e gli “aggiornamenti” non sono soltanto inutili e fastidiosi. Sono la causa di infinite disfunzioni, con conseguenze spesso irritanti, talvolta catastrofiche.  (Vedi La stupidità delle tecnologie).

Non basta più fare un passo indietro. Occorre risalire alle origini e ripensare con una prospettiva radicalmente diversa, dove semplicità, funzionalità ed ergonomia prendano finalmente il sopravvento

Andiamo a vedere quante bufale si sono messe in giro con la leggenda del cosiddetto one to one. C’è perfino una banca, andata meritatamente a remengo, che tutti chiamavano “centoventuno” perché nessuno ha mai capito che cosa volesse dire, pronunciata all’inglese, la sigla numerica 121.

Certo, una relazione umana e diretta, da una persona a un’altra, è la più forte che possa esistere. Ma è illusorio che si possa meccanizzare – che i valori reali di un rapporto umano possano essere sostituiti da un automatismo.

 
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Il concetto risale alle origini del commercio. Gli antichi mercanti greci o fenici sapevano che vendere una volta non basta, bisogna guadagnarsi la fiducia dei clienti, costruire relazioni durevoli. E così è stato per secoli e millenni.

Il marketing, come disciplina moderna, è nato nel ventesimo secolo. In Italia se n’è cominciato a parlare dopo la seconda guerra mondiale, quando eravamo usciti dall’autarchia e si cominciava a diffondere un certo benessere economico. C’erano più persone in grado di comprare qualcosa di utile, attraente o interessante. Perciò diventava importante capire come andare incontro alle loro esigenze e ai loro desideri.

È passato mezzo secolo. Sembra che ciò che avevamo imparato allora sia stato dimenticato. Il marketing si è dato un gran daffare per suicidarsi. E sembra che ci sia riuscito. Quando sono in agonia la fiducia e la credibilità, la morte del marketing è imminente.

 
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Qualcuno, anche cinquant’anni fa, lo chiamava marchètting. Benché le pubbliche istituzioni da cui nasceva quel termine siano chiuse da 46 anni, il significato è ancora chiaro. Ma se allora era una battuta ironica, o una critica delle varianti meno attendibili, oggi sembra che sia diventata la prassi ufficiale.

Dobbiamo quindi prendere atto dell’avvenuto suicidio e limitarci a un sommesso funerale? Non credo. Perché sono convinto che il marketing, nel giusto significato della parola, sia immortale. È difficile immaginare una società umana in cui non ci sia qualcuno che ha qualcosa da vendere e qualcun altro che vuole comprare – e perciò ci voglia un modo per aiutarli a incontrarsi, a conoscersi, e se possibile a stabilire un rapporto di reciproca fiducia.

Naturalmente c’è un modo per abolire il marketing. Si chiama monopolio o cartello. Se fra fusioni, acquisizioni, concentrazioni eccetera si arriva al punto in cui un certo bene (prodotto o servizio) è offerto solo da uno, o da pochi coalizzati, il compratore non ha scelta. Non c’è marketing perché non c’è mercato.

 
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Ma se, come è sperabile, resterà ancora qualche spazio di concorrenza e di libertà di scelta... allora è inevitabile che il marketing, per quanto malmenato e dimenticato, risorga dalle sue ceneri. Si tratterà solo di capire se potremo ancora chiamarlo marketing – o se la parola sarà talmente sputtanata che dovremo inventare un nome nuovo.

Intanto c’è un’occasione immediata, e premiante, per fare marketing – quello vero. In un clima diffuso di delusione e sfiducia aumenta lo spazio per chi ha la voglia e la capacità di andare controcorrente. L’occasione è seria, precisa e concreta. Proprio perché la soluzioni solide e credibili sono meno diffuse, offrire qualità, trasparenza, autentico servizio è, oggi più che mai, una scelta vincente.

Nell’internet la cosa è diversa? Niente affatto. Amazon, la piccola libreria diventata grande, il più classico successo del “commercio elettronico”, è stata data per morta mille volte dai profeti delle avventure speculative. Ma conserva la forza che ha conquistato, quasi dieci anni fa, con una chiara strategia di servizio. (Vedi un’intervista a Jeff Bezos del gennaio 2000).  Qualcuno comincia ad avere dubbi su Google: drogato dal successo e dal denaro cambierà strada e identità? Vedremo. Ma intanto sappiamo che si è affermato con servizio e trasparenza, mentre i motori di ricerca allora dominanti si sono suicidati per eccesso di avidità. Vedi La legge di Google.
 

C’è un problema: il tempo. Per sviluppare prodotti e servizi di reale utilità, costruire e coltivare rapporti di fiducia e credibilità, ci vuole impegno, pazienza, costanza, attenzione. In un clima di fretta esasperata sembra che sia molto difficile. Ma se si hanno le idee chiare i risultati possono arrivare senza farsi aspettare troppo. E comunque sarà meglio trovare quel tempo e quella pazienza, prima di essere divorati da un’orda famelica di gattini ciechi.

 
Vedi La fretta non è velocità. E inoltre – quattro anni fa (gennaio 2000) il titolo in questa rubrica era  La gatta frettolosa fa i gattini ricchi?.  La risposta è nei fatti.



 

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